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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

QUELLA RIVOLTA CONTRO LA LEGGE TRUFFA PER UN PREMIO CHE NON VINSE NESSUNO


Il premio di maggioranza era analogo, assegnava alla coalizione vincente un 15 per cento di seggi in più. Ma la soglia da raggiungere per ottenerlo era ben più elevata rispetto al 37 per cento di cui si parla oggi. La riforma elettorale voluta da Alcide De Gasperi nel 1953, che è passata alla storia come «legge truffa», richiedeva infatti la maggioranza assoluta: l’alleanza di partiti apparentati che avesse superato il 50 per cento dei voti avrebbe ottenuto alla Camera il 65 per cento dei seggi.
La legge fu approvata in via definitiva dal Senato il 29 marzo 1953, in un clima di violenta contrapposizione. Quel giorno l’aula di Palazzo Madama divenne un autentico campo di battaglia, con i parlamentari socialisti e comunisti all’assalto e i commessi a fare da baluardo per proteggere dall’aggressione il presidente Meuccio Ruini, un anziano liberaldemocratico di scuola prefascista, nato nel 1877. Volava di tutto: penne, calamai, libri, rotoli di carta delle macchine stenografiche. Ruini venne colpito alla fronte da un pezzo di tavoletta di legno, ma portò a termine il compito che la coalizione governativa gli aveva assegnato: far passare la legge negli ultimi scampoli della legislatura, in tempo per applicarla alle successive elezioni.
Facciamo un passo indietro. Nel 1948 la Democrazia cristiana aveva ottenuto un successo enorme e aveva potuto governare stabilmente insieme a socialdemocratici, repubblicani e liberali. Ma poi il quadripartito aveva perso consensi: Pci e Psi si erano ripresi dalla disfatta, ma soprattutto l’elettorato di destra, che nel 1948 aveva puntato sulla Dc per battere i comunisti, aveva preso a orientarsi verso i monarchici e i neofascisti del Msi. I risultati delle elezioni amministrative nel biennio 1951-52, con una forte avanzata delle opposizioni, facevano temere che alle politiche la Dc e i suoi alleati avrebbero perso i numeri necessari per governare.
Fu allora che De Gasperi, contrario all’ipotesi di un’intesa con le destre, giocò la carta della riforma elettorale, che fu subito bollata come «legge truffa» dalle opposizioni. Pci e Psi dissero che violava il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini, poiché attribuiva al voto di alcuni elettori un peso superiore rispetto al suffragio degli altri italiani. Ma il progetto era inviso anche a monarchici e missini, perché li avrebbe resi del tutto irrilevanti rispetto agli equilibri di governo. Per bloccare la riforma venne adottata una tattica di agguerrito ostruzionismo, cui De Gasperi rispose ponendo la questione di fiducia. Alla Camera la proposta passò il 21 gennaio 1953, dopo una seduta fiume di 70 ore, segnata da gravi incidenti.
Per l’approvazione definitiva al Senato era rimasto un tempo esiguo e il presidente di Palazzo Madama, Giuseppe Paratore, cercò una mediazione. Poi suggerì di sciogliere il Parlamento e andare alle urne con le regole vigenti. Ma De Gasperi non cedette e Paratore si dimise. Al suo posto fu eletto Ruini, che affrontò la tempesta di cui si è detto. Le sinistre sostennero che la legge, in quella baraonda, non era stata approvata in modo regolare, ma il presidente della Repubblica Luigi Einaudi la promulgò e sciolse le Camere. Nello scontro i partiti laici avevano subito importanti defezioni. Ferruccio Parri lasciò il Pri e Piero Calamandrei ruppe con il Psdi: contrari alla «legge truffa», crearono insieme la lista di Unità popolare.
Dopo una campagna elettorale arroventata, il premio di maggioranza non scattò per un soffio. Il 7 giugno 1953 Dc, Psdi, Pri e Pli ottennero insieme il 49,8 per cento, appena 54 mila voti sotto il quorum richiesto. Si apriva un periodo d’instabilità governativa: la «legge truffa», ormai ritenuta inutile, fu cancellata nel 1954.