Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 01 Sabato calendario

MAMMA, SORELLA E FIGLIA DELLA TV LA RADIO FA 90


È stata la mamma, la sorella, e da un certo punto della sua lunga storia anche la figlia della tv. Ma a dispetto dei novant’anni che si porta sulle spalle, la radio non è affatto una vecchina con la pelle sciupata dalle rughe. Ci sveglia al mattino. Ci accompagna in macchina al lavoro. Spunta dallo smart-phone. Malgrado quasi un secolo di vita, resta uno dei migliori antidoti alla solitudine.

Tutto quel che esiste nel mondo della comunicazione - esclusa, ovviamente, la carta stampata - è nato sulla radio. Per dire, il talk-show è cominciato ai microfoni di Radio-Rai nel 1952. Si chiamava Il convegno dei cinque, riuniva cinque personaggi coordinati, talvolta, da Arturo Carlo Jemolo, che della Rai è stato anche presidente. E la condivisione, ora di moda su Facebook e Twitter, in radio cominciò mezzo secolo fa, ai tempi di Chiamate Roma 3131. Pensiamo alle dirette delle partite, alle grandi catene di solidarietà in occasione di disastri, alla riscoperta di documenti inediti. Ecco, la radio è tutto questo. Ed è stata - prima - ciò che la tv e i moderni media dovevano diventare dopo.
Non fosse perché l’inventore era stato l’italiano Guglielmo Marconi, la vita della radio è più lunga di un secolo. Ma la storia vera comincia il 24 marzo 1924, con la messa in onda, tentata e fallita, del discorso di Mussolini al teatro Costanzi (oggi dell’Opera) a Roma. Il Duce inizia a parlare, gli altoparlanti gracchiano, e non si capisce più nulla. C’è chi sostiene che questa sarà la causa della diffidenza iniziale del capo del regime nei confronti della radio, che il 6 ottobre dello stesso anno comincia le sue regolari trasmissioni. Negli Anni 20, soprattutto nel Nord Italia (la radio nasce a Torino) ci sono già club e gruppi d’ascolto. Le trasmissioni cominciano con il cinguettìo di un uccellino, il più antico richiamo per gli ascoltatori. I giornali sono pieni di pubblicità di enormi apparecchi racchiusi in eleganti mobili di legno e radica: il modello più popolare, la «Radio Balilla», costa 430 lire.
Ma è dopo il viaggio del 1937 di Mussolini in Germania, dove vede come Goebbels abbia trasformato la radio nel più formidabile strumento di consenso per il nazismo, che il Duce si convince a fare lo stesso in Italia. Stavolta le dirette dei discorsi funzionano, le Cronache del regime, con Forges Davanzati, danno voce ogni giorno alla retorica della «grande avanzata», che alterna messaggi incomprensibili ad assolute falsità, pur di non dar conto della rotta italiana. La voce principale dal ’41 sarà Mario Appelius: memorabili resteranno le sue provinciali tirate contro la «Perfida Albione» e il grido disperato «Dio stramaledica gli inglesi». Dal 1934 al ’37 I quattro moschettieri, sceneggiato a puntate di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, ha un tale successo, che nasce la leggenda che per ascoltarlo vengano spostate d’orario le riunioni del Gran Consiglio del fascismo. Sono anche gli anni dell’epopea del Trio Lescano, le sorelle nederlandesi che cantano in coro «Tuli-Tuli-Tulipan» e ricevono in dono da Mussolini la cittadinanza italiana. Fino all’ultimo, da Salò, il Duce tenterà di riaccreditarsi con la radio. Ma gli italiani hanno ancora nelle orecchie la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, la promessa di un conflitto breve e una sicura vittoria, con il disastro che sotto i loro occhi ne è seguito.
Dopo l’8 settembre, con il lugubre annuncio dell’armistizio, letto con tono grave da un’altra voce assai nota, Titta Arista, e dal maresciallo Pietro Badoglio, nel Sud d’Italia, dove s’è stabilito il governo provvisorio, partono le prime radio libere. Il programma più importante è Italia combatte, un bollettino di contro informazione sull’avanzata della guerra partigiana e degli Alleati che va in onda prima da Palermo (dove al microfono c’è Mikhail Kamenetzki, il futuro Ugo Stille che sarà direttore del Corriere della Sera), poi da Bari e Napoli, infine da Roma. Realizzato da civili o da aspiranti giornalisti, avrà tra i suoi speaker un giovane Arnoldo Foà.
La radio della Repubblica continuerà per un certo tempo ad essere pedagogica, attenta, cauta. Cambia solo la musica. Arrivano le prime canzonette, furoreggiano Alberto Rabagliati, Beniamino Gigli; direttori d’orchestra come Gorni Kramer, (autore della Vecchia fattoria del Quartetto Cetra) sorpassano in popolarità le annunciatrici. La radio si trasforma nell’incubatrice della tv che sta per nascere. Tra la fine dei 40 e l’inizio dei 50 sono la prosa, il varietà e i quiz a mettere in scena un’Italia che ancora non telefona, non viaggia, non conosce se stessa: c’è Nunzio Filogamo con la sua erre moscia e il suo Cari amici vicini e lontani. Alberto Sordi che fa «Mario Pio»; ci sono le filastrocche di Renato Rascel, il poer nano milanese di un Dario Fo non ancora cacciato dalla Rai. E poi Walter Chiari, Franca Valeri e la sua irresistibile «signorina snob».
A preparare l’avvento della tv sono anche le prime radiocronache, ad opera di una redazione sportiva che inventa un genere: evento-simbolo dell’epoca è il duello Coppi - Bartali e indimenticabile è il racconto che in diretta ne fa Mario Ferretti: «C’è un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi». Dal ’59, con Tutto il calcio minuto per minuto, gli italiani passeranno i pomeriggi domenicali con le radioline incollate al viso e le voci di Enrico Ameri, Nicolò Carosio e Sandro Ciotti nelle orecchie.
All’arrivo della tv, nel 1954 c’è chi preconizza la crisi, se non proprio la fine della radio. E in effetti, almeno nei primi anni, la tv funziona da grande idrovora di talenti e programmi radio. La rivincita della radio arriverà all’inizio dei 70, con Renzo Arbore, Gianni Boncompagni e la loro comicità demenziale in Alto gradimento, affollata fucina di creature comiche come il colonnello Buttiglione e Scarpantibus. Ma la riscossa vera è quella dell’informazione. La tv infatti è ancora un mezzo pesante, ingessato sul governo, lento sulla cronaca. Per la radio, invece, la diretta e il contatto telefonico con il pubblico sono la normalità. C’è un programma di successo, gestito da grandi giornalisti radiofonici (Corrado Guerzoni, Franco Moccagatta, Luca Liguori, Paolo Cavallina) e intitolato Chiamate Roma 3131. A rispondere al pubblico che chiede aiuto, solleva problemi, riflette, discute, si dispera e attacca l’uso disinvolto del potere è Lidia Motta, un’altra grande signora della radio.
Franco Cremascoli, uomo chiave del fascismo, aveva costruito l’informazione negli anni della censura su uno slogan: «Notizie brevi, banali, esatte». Ora gli uomini che hanno raccontato la II guerra mondiale sentono che è arrivato il momento di dare personalità al loro mestiere. Se il re di questa stagione è un giovane Sergio Zavoli, il principe è Ruggero Orlando, che lascerà una traccia indelebile con il suo «Qui Nuova York», detto con voce strozzata e gusto un po’ sadico di pause lunghissime. Ma della prima generazione dell’informazione radiofonica fanno parte Antonio Piccone Stella e Vittorio Veltroni (il papà di Walter, fondatore del Pd), che dirigeranno il Gr, Aldo Valori, Ezio Maria Gray e Ugo D’Andrea, che conducono la rubrica di commenti; un ragazzo, Jader Jacobelli, che inventerà le Tribune politiche in tv; Luca Di Schiena che nel ’48 parlerà dal luogo dell’attentato a Togliatti; Gianni Bisiach, che va in Sicilia a raccontare i primi delitti di mafia, e poi collaboratori illustri come Mario Soldati, Alba De Cespedes, Alberto Moravia, Leo Longanesi; e un gruppetto di napoletani ribelli: Antonio Ghirelli, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi. Il 1 ottobre 1950 parte il Terzo programma, oggi Radio 3: costruito sul modello della BBC - musica, teatro, letteratura -, decollerà con la direzione di Leone Piccioni seguito da Enzo Forcella, Roberta Carlotto, unica donna direttore radio, Sergio Valzania e oggi Marino Sinibaldi, conduttore di Fahrenheit .
La nuova crisi arriverà a metà degli Anni 70, quando nascono le piccole emittenti private. Trasmettono da ogni dove, fanno informazione e, coraggiosamente, «contro informazione». Sono radio politiche o dei «movimenti», anche se, come succede a Radio Città Futura a Roma, può capitare di subire un’occupazione delle femministe. Sono ancora emittenti impegnate su un tema specifico: un esempio per tutte, «Radio Aut» di Terrasini, un paesino vicino Palermo, in cui Peppino Impastato, un ragazzo di vent’anni, attacca il capomafia del posto, Gaetano Badalamenti, chiamandolo «Tano seduto» e per vendetta, nel ’78, viene ammazzato.
È una sfida imprevista, di tanti piccoli David contro il Golia di Radio Rai, che però sa reagire subito giocando sulle proprie esperienze e capacità. Decisiva l’agilità, l’uso del telefono, delle dirette, dei ponti radio, ciò che consente ai microfoni della Rai di essere ovunque, trasmettere per prima la telefonata delle Br che annuncia l’assassinio di Moro, le interviste ai calciatori campioni del mondo nel 1982, le urla di gioia la notte della caduta del Muro di Berlino nell’89, le ultime telefonate delle vittime delle Torri gemelle l’11 settembre 2001, oltre alla contaminazione che crea un continuo ping-pong tra Prima pagina, dal titolo della fortunata rassegna stampa creata da Forcella su Radio3, e ascoltatori, o tra tv e radio (Zapping, oggi Zapping 2.0, inventato nel ’94 da Alberto Severi e Giancarlo Santalmassi: commento serale dei titoli dei tg). Si fanno le ossa ai microfoni del GR gli attuali direttori di Rai3 Andrea Vianello e di Rainews24 Monica Maggioni, e i conduttori di Ballarò Giovanni Floris e di Agorà Gerardo Greco.
La radio dei nostri giorni sarà ricordata anche per la capacità di sorridere di se stessa: Fiorello che prende in giro Andrea Camilleri, Il ruggito del coniglio di Marco Presta e Antonello Dose, Un giorno da pecora di Claudio Sabelli Fioretti, i 28 minuti di Barbara Palombelli. O Caterpillar, programma di attualità e satira , voluto da Bruno Voglino, ideato da Massimo Cirri e Sergio Ferrentino. O ancora, per opinioni forti, come quelle di Gustavo Selva, che si guadagnerà il soprannome di Radio Belva, sul Gr2, o di Oliviero Beha su Radio Zorro, o per le interviste politiche di Livio Zanetti sul Gr1, le Conversazioni al Caminetto. Così, anno dopo anno, momento per momento, la sfida continua all’infinito. La radio non invecchia: e dopo un primo secolo di vita, è pronta ad entrare nel secondo.