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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

BANKITALIA, TUTTI I PERCHÉ DI UNA RISSA


Non si spegne la polemica contro l’aumento di capitale della Banca d’Italia a beneficio dei suoi attuali azionisti, che per la maggior parte sono banche. Pur se ormai è legge, le opinioni restano aspramente, e confusamente, contrapposte. Beppe Grillo accusa i parlamentari di comportarsi da «camerieri dei banchieri»; l’opposizione di centro-destra ieri ha espresso due posizioni agli antipodi, Fratelli d’Italia sugli stessi toni dei 5 stelle, Renato Brunetta secondo cui occorreva andare molto più in là. Ecco i principali punti controversi.
1. A chi giova l’operazione Banca d’Italia?
Innanzitutto allo Stato, che ricaverà dalle banche (tassando l’aumento di valore delle quote azionarie) un’entrata fiscale una tantum di circa 800 milioni di euro. Giova poi alle banche, che si sottopongono volentieri a questo onere tributario perché è un modo relativamente poco costoso di rafforzare il loro capitale in vista delle nuove regole mondiali per la stabilità finanziaria (Basilea 3) e dei nuovi test di vigilanza europei; gli attuali gruppi di controllo ne escono rafforzati.
2. La Banca d’Italia non teme di essere asservita?
No. Il timore dei suoi dirigenti è sempre stato un altro: che venisse attuata la legge del 2005, voluta da Giulio Tremonti, secondo la quale la proprietà azionaria della Banca d’Italia doveva essere riportata allo Stato. In altri paesi questo è normale; da noi si poteva rischiare un eccesso di influsso della politica. Il governatore Ignazio Visco ha detto ai deputati che il nuovo provvedimento gli sta benissimo. Oltretutto stabilisce che nessun azionista potrà detenere più del 3%, mentre oggi il gruppo Intesa San Paolo domina con circa il 44%.
3. Ma è normale che la banca centrale, istituzione pubblica, sia di proprietà delle banche?
In Italia lo è per tradizione, ma con norme che impediscono agli azionisti di esercitare influenza, e che l’attuale provvedimento rafforza. Nel mondo gli ordinamenti sono vari. Anche negli Usa, in Giappone e in Svizzera della banca centrale sono azioniste le aziende di credito. All’interno dell’area euro, le banche centrali del Belgio e della Grecia sono quotate in Borsa, cosicché chiunque ne può comprare una azione; quelle della Francia e della Germania appartengono allo Stato.
4. Rivalutando il capitale della Banca d’Italia, si fa un regalo alle banche?
Una ipotesi assai più generosa esisteva. La prima proposta, avanzata da Fulvio Coltorti, economista di Mediobanca, e da Alberto Quadrio Curzio, noto docente universitario, suggeriva una cifra oltre i 20 miliardi di euro, che avrebbe fortemente rinsaldato tutte le banche italiane nonché messo al sicuro i loro attuali gruppi dirigenti. Brunetta, appoggiandola, sosteneva che con le tasse pagate dalle banche, fino a 4 miliardi, si sarebbe potuto alleggerire il fisco altrove. La polemica contro il «regalo» nacque allora, perché così si sarebbe spartito tra le banche l’intero patrimonio della Banca d’Italia attinente alle sue funzioni pubbliche, ovvero l’oro e le riserve valutarie. Sarebbe andata agli azionisti, sotto forma di interessi, una larga quota dei diritti di signoraggio (guadagni sull’emissione di moneta).
5. Adesso il prezzo è giusto?
La commissione di esperti nominata dalla Banca d’Italia aveva proposto, a tutela dei diritti dei cittadini, di rivalutare in misura tra i 5 e i 7,5 miliardi di euro. Il governo ha scelto il valore massimo, 7,5, con l’occhio alle entrate fiscali; ma ha chiarito nel testo che le banche non possono considerare «cosa loro» il resto della Banca d’Italia. Secondo alcuni, la cifra resta troppo alta: l’economista Luigi Zingales sostiene che ci si poteva benissimo fermare a 3,3 miliardi.
6. Quanto costano ai contribuenti le difficoltà delle banche?
Per ora in Italia nulla. Lo Stato ha solo concesso crediti – prima i «Tremonti bond» poi il prestito speciale al Monte dei Paschi – a tassi onerosi. Certo, se Mps non riuscisse a trovare nuovi azionisti privati e dovesse essere nazionalizzato un onere ci sarebbe, di almeno 4 miliardi. Invece la Germania per le malefatte delle sue banche di miliardi ha già spesi 23 e forse non è finita.