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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

“SOLLECITO DOVEVA FARSI INTERROGARE IL SUO SILENZIO NON L’HA AIUTATO”


Ascensore del palazzo di Giustizia. Alza lo sguardo e sul suo viso si stampa un sorriso simpatico. E’ lui il giudice del giorno. Alessandro Nencini, il presidente della Corte d’Assise d’Appello che ha condannato Amanda Knox a 28 anni e sei mesi, e Raffaele Sollecito a 25 anni di carcere. Nel suo ufficio, racconta il processo, le sue aspettative: «Eravamo consapevoli della gravità della situazione, non ci lasciava indifferenti la decisione che sarebbe stata presa».
Scusi, Presidente, 12 ore di Camera di consiglio lasciano ipotizzare una decisione sofferta, combattuta.
«C’era la necessità che i giudici popolari prendessero cognizione degli atti, che la discussione fosse vera e condivisa. È innegabile il ruolo nefasto che ha giocato in processi come questo la sovraesposizione mediatica. Con un dibattimento che va avanti per mesi, può accadere che al termine di una udienza si celebri in televisione un vero e proprio bombardamento, con ospiti che del merito del processo conoscono ben poco e che prendono una posizione controversa. E può succedere che il giorno dopo i giudici popolari si interroghino, condizionati da ciò che hanno visto e sentito».
A quel punto?
«Abbiamo dovuto fare un lavoro di ricerca tra gli atti e i faldoni e riprendere quei passaggi di cui si era occupata la trasmissione televisiva e ricostruire i fatti: un conto è discutere una volta assunta una decisione, un altro è costruire processi paralleli».
Presidente, come si ci sente il giorno dopo una decisione così importante?
«Dopo la camera di consiglio, molto liberato. Ma per tutto il processo mi ha accompagnato l’angoscia. Pensi all’età di questi ragazzi, della vittima. E ai figli che hai. E sai che le vite dei protagonisti saranno stravolte...».
La Cassazione aveva indicato un percorso molto stretto. In sostanza riprendere tutti gli indizi del processo per dare una lettura unitaria degli stessi in una visione «osmotica».
«Al contrario, la Cassazione ci ha indicato un sentiero molto largo. Procedere a una nuova istruttoria dibattimentale perché il percorso argomentativo dell’assoluzione non era logico. Il legislatore nel 2006 aveva allargato il ventaglio delle possibilità di ricorrere in Cassazione anche per un difetto di motivazione».
Presidente Nencini, per l’omicidio Kercher si partiva anche da una condanna passata in giudicato per Rudy Guede «in concorso»...
«Effettivamente, la particolarità è stata anche la celebrazione di due processi per uno stesso omicidio».
Nel corso delle arringhe finali, è sembrato che la difesa di Sollecito chiedesse di separare i destini processuali tra i due imputati. Del resto, nel suo memoriale Amanda si era collocata nella scena del crimine con Patrick Lumumba. Non citando Raffaele.
«Il dispositivo non dà questa lettura. Una caratteristica di questo processo è che Raffaele Sollecito non è mai stato interrogato e del resto nessuno ha chiesto di farlo. Non esiste un suo interrogatorio utilizzabile. Ha detto solo quello che gli interessava dire attraverso dichiarazioni spontanee. Non c’è traccia di un suo contraddittorio processuale. Quanto questo abbia influito nella decisione della Corte lo leggerete nelle motivazioni».
Il pg Crini ha ridimensionato il movente del gioco erotico privilegiando i dissidi tra Amanda e Meredith per la pulizia della casa.
«L’affronteremo nelle motivazioni. E una idea l’abbiamo maturata, consapevoli che si potrà prestare a valutazioni diverse. L’omicidio è nato e maturato in una serata tra ragazzi. Non saremmo qui a parlarne se quella sera del primo novembre fino alle 20.15 Amanda fosse andata a lavorare al pub e Raffaele fosse dovuto andare alla stazione. Quegli impegni sono saltati per entrambi e si sono determinate le condizioni perché poi si consumasse il delitto».
Ascensore del palazzo di Giustizia. Alza lo sguardo e sul suo viso si stampa un sorriso simpatico. E’ lui il giudice del giorno. Alessandro Nencini, il presidente della Corte d’Assise d’Appello che ha condannato Amanda Knox a 28 anni e sei mesi, e Raffaele Sollecito a 25 anni di carcere. Nel suo ufficio, racconta il processo, le sue aspettative: «Eravamo consapevoli della gravità della situazione, non ci lasciava indifferenti la decisione che sarebbe stata presa».
Scusi, Presidente, 12 ore di Camera di consiglio lasciano ipotizzare una decisione sofferta, combattuta.
«C’era la necessità che i giudici popolari prendessero cognizione degli atti, che la discussione fosse vera e condivisa. È innegabile il ruolo nefasto che ha giocato in processi come questo la sovraesposizione mediatica. Con un dibattimento che va avanti per mesi, può accadere che al termine di una udienza si celebri in televisione un vero e proprio bombardamento, con ospiti che del merito del processo conoscono ben poco e che prendono una posizione controversa. E può succedere che il giorno dopo i giudici popolari si interroghino, condizionati da ciò che hanno visto e sentito».
A quel punto?
«Abbiamo dovuto fare un lavoro di ricerca tra gli atti e i faldoni e riprendere quei passaggi di cui si era occupata la trasmissione televisiva e ricostruire i fatti: un conto è discutere una volta assunta una decisione, un altro è costruire processi paralleli».
Presidente, come si ci sente il giorno dopo una decisione così importante?
«Dopo la camera di consiglio, molto liberato. Ma per tutto il processo mi ha accompagnato l’angoscia. Pensi all’età di questi ragazzi, della vittima. E ai figli che hai. E sai che le vite dei protagonisti saranno stravolte...».
La Cassazione aveva indicato un percorso molto stretto. In sostanza riprendere tutti gli indizi del processo per dare una lettura unitaria degli stessi in una visione «osmotica».
«Al contrario, la Cassazione ci ha indicato un sentiero molto largo. Procedere a una nuova istruttoria dibattimentale perché il percorso argomentativo dell’assoluzione non era logico. Il legislatore nel 2006 aveva allargato il ventaglio delle possibilità di ricorrere in Cassazione anche per un difetto di motivazione».
Presidente Nencini, per l’omicidio Kercher si partiva anche da una condanna passata in giudicato per Rudy Guede «in concorso»...
«Effettivamente, la particolarità è stata anche la celebrazione di due processi per uno stesso omicidio».
Nel corso delle arringhe finali, è sembrato che la difesa di Sollecito chiedesse di separare i destini processuali tra i due imputati. Del resto, nel suo memoriale Amanda si era collocata nella scena del crimine con Patrick Lumumba. Non citando Raffaele.
«Il dispositivo non dà questa lettura. Una caratteristica di questo processo è che Raffaele Sollecito non è mai stato interrogato e del resto nessuno ha chiesto di farlo. Non esiste un suo interrogatorio utilizzabile. Ha detto solo quello che gli interessava dire attraverso dichiarazioni spontanee. Non c’è traccia di un suo contraddittorio processuale. Quanto questo abbia influito nella decisione della Corte lo leggerete nelle motivazioni».
Il pg Crini ha ridimensionato il movente del gioco erotico privilegiando i dissidi tra Amanda e Meredith per la pulizia della casa.
«L’affronteremo nelle motivazioni. E una idea l’abbiamo maturata, consapevoli che si potrà prestare a valutazioni diverse. L’omicidio è nato e maturato in una serata tra ragazzi. Non saremmo qui a parlarne se quella sera del primo novembre fino alle 20.15 Amanda fosse andata a lavorare al pub e Raffaele fosse dovuto andare alla stazione. Quegli impegni sono saltati per entrambi e si sono determinate le condizioni perché poi si consumasse il delitto».