Filippo Ceccarelli, La Repubblica 1/2/2014, 1 febbraio 2014
LE LUCI ROSSE DELLA POLITICA
NEL febbraio del 1984 — sono giusto 30 anni — Craxi presentò il decreto sulla scala mobile. Intervenuto a Montecitorio, Berlinguer disse: «Pare a me, onorevoli colleghi, che ostinarsi a mantenere in piedi il decreto rasenti i limiti di un atto osceno in luogo pubblico».
Non è per prenderla troppo alla lontana, anche se nello specifico qualche attenuante ci sarebbe. Ma a distanza di un trentennio, se il luogo pubblico è rimasto quello di allora, e quindi il Parlamento della Repubblica, l’atto osceno ha gettato il mantello della metafora; e così ieri tutti, nei vecchi palazzi del potere e in quelli semi-nuovi dell’informazione, per non dire nelle più evolute e immateriali piattaforme dei social media, tutti, ma proprio tutti hanno dovuto fronteggiare qualcosa che a questo punto tanto vale designare con il nome che intimamente e tecnicamente le appartiene: i pompini.
E allora si avrà misericordia di un giornalista, per giunta politico, chiamato a esaminare la rilevanza di tale novità, peraltro relativa. Ma da quando, nel pieno della baraonda cinquestelle, l’onorevole Massimo De Rosa, un giovanotto come minimo privo di cultura e di garbo, ha imprecato contro alcune deputate collegando il loro ruolo e la loro presenza in quelle aule alla loro esclusiva inclinazione ai pompini, ecco, ormai era troppo tardi.
Nel senso che si poteva far finta di niente, come forse sarebbe accaduto – cosa di cui si ha qualche dubbio in radice – ai tempi dell’aspra battaglia sulla scala mobile. Mentre oggi l’ampia gamma di reazioni, dallo sghignazzo ammiccante alla denuncia penale passando per il desiderio di fuga, l’estraneità da horror vacui e l’ardore da cupio dissolvi, non solo certifica l’obiettivo abbassamento del discorso pubblico, ma anche sollecita un antico e nuovissimo interrogativo che se ne trascina appresso altri, a cascata: il re è davvero nudo, per caso?
Senza minimamente svalutare la torva offesa sessista, né le comprensibili e forse anche salutari reazioni di carta bollata, è purtroppo e piuttosto la facile, clamorosa e irresistibile risonanza dei pompini che dice molto, anzi dice troppo sull’Italia, sul potere malato che l’ha imprigionata, sul precipizio politico, culturale e antropologico degli ultimi anni.
Dice: tutto questo per un volgare stereotipo sfuggito di bocca a un ragazzotto? Beh, per ragioni d’ufficio tocca tentare, con allegra apprensione, un’esegesi e magari recuperare qualche precedente di questa pratica che nulla ha che fare con l’erotismo e molto, illusoriamente, con la sottomissione della donna. Finora la faccenda era relegata agli annali di Sgarbi che in tv, per ragioni abbastanza sue, aveva sostenuto, con tanto di inequivocabile mimica, che certe competenze gli erano negate perché il suo ministro – lui era sottosegretario – soggiaceva con soddisfazione alla pressante oralità della sua amante.
La cosa non fece ovviamente piacere alla coppia. I giornali ci inzupparono un po’ il pane. Aldo Grasso definì la scena «Un grande monologo tragico mascherato da pettegolezzo». A seguito del quale Sgarbi dovette mollare la poltrona, ma di immaginari e immaginati servizietti carnali mirati all’ottenimento di questo o quel beneficio da allora più niente.
Altro discorso – che qui non s’intende per nulla avvalorare – sull’eventuale nesso tra la prostituzione e l’impegno parlamentare. Qui la casistica è più ampia, e perciò a suo modo sintomatica. Alla Camera e al Senato, in altre parole, arriverebbero donne (e anche uomini, per la verità) premiate per aver concesso il loro corpo ai potenti.
Ne ha parlato Grillo, nel 2009: è stato denunciato e poi archiviato per via della genericità dell’assunto. Ne ha poi parlato nel 2010 l’onorevole Angela Napoli, di Fli. Al fenomeno ha fatto riferimento anche Sabina Guzzanti, poi querelata e condannata. Ma il senatore Paolo, anche lui, anzi prima di lei, Guzzanti, ha dedicato alla faccenda un libro dall’esplicito titolo di Mignottocrazia (Aliberti, 2010) - che per ironia della sorte figura acquistato con i rimborsispese della regione Lombardia dall’allora consigliere regionale Nicole Minetti.
Per cui l’altro giorno l’onorevole De Rosa, che come tutti prima di parlare dovrebbe farsi girare la lingua sette volte, e poi altre sette, ha certamente sbagliato bersaglio. Ma è pur vero che il sospetto grava da anni sulle assemblee elettive, né contribuisce a ripristinarne l’antica virtù. Anche l’onorevole Crosetto, accusato di aver accampato lauree inesistenti, si è difeso alla radio facendo notare che, rispetto alla sua pecca, ce ne sono di più gravi e guarda caso c’è chi «porta puttane in Parlamento». Così come non molto tempo fa, fresco assessore in Sicilia, Franco Battiato ha rilevato che alla Camera e al Senato ci sono «troie inaccettabili e disposte a tutto». Seguirono scandalo e dimissioni.
Ma non è questo, o meglio non è solo questo il punto sensibile. Ciò che allarma, semmai, è che per vie traverse il passato prossimo del potere sta presentando un prezzo impietoso da pagare. C’entra poco che De Rosa ne sia sempre stato lontano. E’ la spudoratezza ormai che ha la maggioranza. La necessità di rivelare come tutto sia sporco, come ogni presenza abbia una inconfessabile ragione. Il linguaggio politico si è definitivamente omologato a quello della strada, dei bar, dello stadio.
Mostrare ciò che è privato è stata davvero la legge di questo tempo. Lo si nota dice da osservatori quasi distaccati. Forse il comando poteva offrire altri esempio. Ma ha dispensato la tirannia dell’intimità, l’imperativo morale dell’esibizionismo culminato in un pornoromanzo a base di sciagurate e sciagurati personaggi. I pompini – se è consentito, anche se suona assurdo e fa ridere metterla così – arrivano nel palazzo dove si fonda la Norma da lontano, ma pure da molto vicino. Hanno a che fare le confessioni esibizionistiche dei talk-show e con le parolacce, i gesti osceni, le pernacchie, gli sputi che abbondano in questi anni.
Si è detto che l’Italia politica sempre più andava assomigliando a un cinepanettone, ma dietro si poteva già intravedere l’ombra del Bagaglino, l’energia dissoluta e irrefrenabile di figure che vivevano di puro istinto, e se facevano ridere bene, se no andava bene lo stesso. Quando il re appare nudo non è che tutto prosegue come prima. Gli spettacoli, a loro volta, celano una crisi di cui non s’indovina la portata, uno smottamento che va accelerandosi, profondo, cataclismatico. Altro che pompini. Altro che grillini. Altro che trent’anni sprecati senza nemmeno accorgersene.