Federico Fubini, La Repubblica 1/2/2014, 1 febbraio 2014
GLI AFFARI DI BERLUSCONI IN CINA UNA TV BENEDETTA DAI COMUNISTI CON UN FLOP DA DECINE DI MILIONI
SILVIO Berlusconi non ha mai amato particolarmente la Cina. Molte volte gli è capitato di prendersela con quella che ha definito la «concorrenza sleale» del colosso asiatico. Nel 2006 disse che i leader della Repubblica popolare «bollivano i bambini». Ed ha visitato decine di volte la Russia, mentre da premier volò a Pechino quasi solo quando fu costretto a farlo come presidente di turno della Ue per un vertice.
EPPURE a volte le apparenze ingannano, specie quando politica e affari procedono in parallelo. Se Berlusconi perlopiù si è tenuto lontano dalla Cina, non lo ha fatto le figure di vertice della azienda. A Pechino si sono sempre mosse con discrezione, senza annunci né cerimonie ufficiali. Neanche al momento di firmare degli accordi, quando il gruppo di Berlusconi ha investito in quella che fu chiamata «la prima vera rete tivù non statale in Cina». L’operazione è stata compiuta volando sotto i radar, presto si è rivelata in perdita e mostra come i conflitti d’interessi possano ramificarsi ben oltre i confini italiani. Ma l’attività resta in piedi: alle più recenti comunicazioni della società, Mediaset è ancora impegnata in una joint-venture a Pechino.
Tutto parte ufficialmente nel 2007 quando il gruppo del Biscione acquisisce il 49% di Sportsnet Media, una società domiciliata alle Cayman Islands. L’altro 51% di Sportsnet Media è controllato da un altro veicolo societario domiciliato alle British Virgin Islands. Chiunque ne sia il proprietario, deve trattarsi molto probabilmente
di un investitore cinese in ottimi rapporti con il governo di Pechino, perché la joint-venture con Mediaset penetra subito un mercato blindatissimo come quello dell’informazione televisiva nella Repubblica popolare.
Non che non ve ne sia traccia nelle comunicazioni ufficiali del Biscione. Nel suo bilancio per l’esercizio 2007, l’azienda del Cavaliere riferisce di aver costituito la società New Century Advertising: un’impresa con sede a Pechino, si legge, «interamente detenuta all’estero» e con capitale sociale di 35 milioni di dollari. Ciò avviene in base ad accordi sottoscritti con China Global Media che, con ogni probabilità, è la scatola societaria delle British Virgin Islands di cui il Biscione è socio. Mediaset informa che China Global Media «ha iniziato le trasmissioni di un canale sportivo in chiaro, trasmesso in sette provincie cinesi ». E secondo la dichiarazione a bilancio 2007, la joint-venture italo-cinese New Century Advertising «gestirà principalmente le attività di raccolta pubblicitaria in Cina di tale canale». Da quel giorno in poi, ogni anno, sul bilancio Mediaset comparirà in una riga giusto la notizia di una partecipazione di minoranza a George Town, Grand Cayman, nella Sportsnet Media Limited.
L’operazione però ha l’aria di qualcosa di più articolato di quanto possa esprimere una semplice comunicazione aziendale. Non si tratta infatti solo di gestire la pubblicità, ma della vera e propria comproprietà di Mediaset con investitori cinesi - attraverso i veicoli alle Cayman e alle Virgin Islands - di una tivù satellitare a tema sportivo nella Repubblica popolare.
Questo almeno è ciò che risulta dalla «presentazione ai potenziali investitori» che la rete Cspn ha fatto il 24 gennaio 2009. Un documento che porta quella data parla di una «rete di sei canali provinciali (in Cina, ndr), incluso un canale satellitare». Secondo la presentazione, «l’italiana Mediaset ha investito 323 milioni di renmimbi (circa 32 milioni di euro, ndr) nel primo ciclo di finanziamento» del progetto. All’apice della struttura societaria che controlla Cspn figura Sportsnet Media, il veicolo di cui Mediaset ha il 49%. Tre piani più sotto nella piramide di controllo ci sono poi le tre società operative che forniscono la pubblicità e i contenuti di Cspn. Insomma il Biscione appare in affari con un’emittente che gode, o godeva, del benestare del governo di Pechino per trasmettere in Cina. Nel board, Mediaset esprimeva tre consiglieri su sette (Andrea Goretti, Claudio Anselmi e Yichin Lee), più vari manager operativi mandati espressamente dall’Italia.
La presentazione agli investitori del 2009 sottolinea il potenziale di Cspn, ma le cose non sembrano andare bene. Dopo due anni di attività, la tivù aveva già accumulato perdite per 520 milioni di renmimbi (52 milioni di euro) e cercava risorse fresche. Dal 2009 poi Mediaset scende dal 49% al 12%, forse perché non segue un aumento di capitale, senza peraltro mai disimpegnarsi del tutto.
Non ci sono evidenze che Berlusconi abbia usato il suo ruolo politico per accattivarsi i governanti di Pechino e fare affari in Cina. Ma da premier ha gestito i rapporti dell’Italia con la Cina e ha presieduto i negoziati del G8 all’Aquila del 2009, dove la Cina era invitata - mentre aveva interessi privati nella Repubblica popolare: un investimento nei media per il quale il beneplacito del partito comunista cinese e del governo di Pechino erano indispensabili. Qualcuno, da qualche parte, lo chiamerebbe con un nome antico: conflitto d’interessi.