Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 01 Sabato calendario

CASCHI BLU, UN FALLIMENTO CHE CI COSTA 8 MILIARDI


Dalla tragedia di Srebre­nica al genocidio in Ruanda, fino al disa­stro della Somalia, la storia del­le missioni di pace delle Nazio­ni Unite è costellata di grandi fallimenti, a fronte di qualche sporadico successo come la missione Unifil in Libano. Se­condo il nuovo rapporto Onu sul peacekeeping, oggi nel mon­do­ci sono 98.200 caschi blu pro­venienti da 110 Paesi, di cui 1.118 italiani. Molto spesso pe­rò la loro azione si è rivelata falli­mentare: se gli anni Novanta hanno segnato un decennio di grandi sconfitte, i primi anni Duemila hanno rappresentato l’impotenza dell’organizzazio­ne internazionale di fronte alla guerra irachena. La bestia nera delle Nazioni Unite resta l’Africa, dove sono stati inviati un numero record di uomini, che raramente si so­no rivelati in grado di contrasta­re o contenere guerre e violen­ze. «La risposta politica e diplo­ma­tica della comunità interna­zionale alla maggior parte dei conflitti africani è stata lenta e non efficace»,spiega John Pren­dergast, attivista per i diritti umani da tempo impe­gnato in Sudan e Sud Su­dan con il gruppo Enough Project. «Que­sto ha fatto sì che au­mentasse la pressio­ne sulle forze di pa­ce, gravate dell’im­pegno di raggiunge­re obiettivi per i quali i caschi blu sono totalmente impreparati».
Le missioni di peacekeeping co­stano troppo, e i fondi spesso so­no male impiegati. Secondo di­versi osservatori, serve una più efficace allocazione delle risor­se, anche attraverso un’opera di spending review come quel­la che il segretario generale dell’ Onu, Ban Ki-moon, si è impe­gnato a portare avanti. Gli ulti­mi dati delle Nazioni Unite mo­strano che il budget per l’anno fiscale dal 1˚ luglio 2013 al 30 giugno 2014 dedicato al pea­cekeeping è di 7,83 miliardi di dollari. Tra i primi dieci finan­ziatori, guidati dagli Stati Uniti con il 28,38% delle risorse, ci so­no anche Giappone, Francia, Germania e Gran Bretagna. L’Italia si piazza al settimo po­sto, con un contributo del 4,45% e un impegno in termini di risorse umane pari a 1.118 unità. Nonostante tale sforzo tuttavia, il nostro Paese conti­nua ad avere un peso politico li­mitato in seno agli organi deci­sionali delle Nazioni Unite.
Dal 1948 ad oggi, l’Onu ha at­tuato oltre 60 missioni, di cui 15 sono ancora operative, men­tre sono morte sul campo 3.186 persone, sovente nell’ ambito di un fallimento. Bo­snia, Ruanda e Somalia sono si­curamente i tre casi più clamo­rosi. L’Europa ricorda ancora con orrore la strage di Srebreni­ca, quando nel luglio 1995 ol­tre ottomila musulmani bosni­aci furono massacrati dalle truppe del serbo Ratko Mladic nella città che era- teoricamen­te - protetta da centinaia di ca­schi blu olandesi. Quella che verrà ricordata come la più grande sconfitta delle Nazioni Unite è però la missione Una­mir, in Ruanda. I peacekeeper, inviati nel Paese africano per placare le tensioni etniche tra gli Hutu e la minoranza Tutsi, nel 1994 hanno assistito impo­te­nti al genocidio di oltre un mi­lione di persone. E ancora la Somalia: la mis­sione Unosom scattò nell’apri­le del 1992, per stabilizzare l’anarchia nello Stato africano. Dopo il disastro della battaglia di Mogadiscio, gli americani si ritirano nei primi mesi del 1994, seguiti dai caschi blu.
Tra le forze di pace si registra anche qualche sporadico suc­cesso, come quello della mis­sione Unifil, in Libano, dove i peacekeeper sono riusciti a porre fine alle ostilità sfociate nella guerra del 2006 tra Hezbollah e Israele. E oggi, da un lato tentano di controllare le spinte degli Hezbollah, e dall’ altro sono impegnati nel diffici­le sminamento della fascia di confine con Israele.
Da segnalare anche l’aumen­to dei caschi rosa, ovvero della componente femminile, tra i peacekeeper. Secondo un dos­sier del Dpko, la divisione del Palazzo di Vetro dedicata alle operazioni di pace, ci sono 1.327 donne dispiegate in Dar­fur, 529 a Haiti, 548 in Libano, 527 in Liberia, per un totale di quasi 5.300, con una percen­tuale per l’Italia che si aggira in­torno al 10%.