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 2014  febbraio 01 Sabato calendario

GRILLO NON HA INVENTATO NULLA: LE RISSE SONO NEL DNA DELL’AULA


Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, come dice­va Lenin, neanche la vita parlamentare è roba per stoma­ci deboli: pugni, schiaffi, insulti, corse su e giù per i banchi inse­guiti dai commessi, parolacce da mercati generali, risse violen­te e qualche­mal represso impul­so omicida fanno parte della tra­dizione italiana. È ormai mezzo secolo che frequento il Parla­mento, quarant’anni come gior­nalist­a e una decina come sena­tore e deputato, poi di nuovo co­me ex. Ed è mezzo secolo che so­no testimone delle piccole e grandi turpitudini e violenze nelle aule parlamentari. Dico l’opinione che mi sono fatto.Gli italiani si dividono in due: parla­mentari e antiparlamentari e tutte e due le categorie detesta­no il Parlamento. Non che in Francia, Germania, Regno Uni­to o Svizzera non scoppino del­le risse e non volino gli stracci in­sieme alle parolacce, ma quel che è sempre successo da noi da un secolo in qua (mettiamoci anche l’Italietta giolittiana e poi le sanguinose risse fra fascisti, socialisti e comunisti) non si è vi­sto quasi mai in altri Paesi di lun­ga tradizione e anche di antico patriottismo parlamentare. Non ricordo risse ed epiteti da banco del pesce al Congresso americano, alla Camera dei co­muni o al Bundestag tedesco, dove pure le urla non mancano.
Quando nel 1949 fu votata l’adesione alla Nato, presiede­va la Camera Giovanni Gron­chi, futuro inquilino del Quiri­nale. Volarono per la prima vol­ta insieme agli insulti anche gli schiaffi quando Giuliano Pajet­ta, fratello del più noto e sangui­gno Giancarlo, si precipitò co­me un ariete contro un collega dando inizio a una rissa. Il vec­chio Pci di Palmiro Togliatti ri­spettava la democrazia parla­mentare e le sue regole, ma lo fa­ceva a cor­rente alternata non di­menticando mai la tradizione ri­voluzionaria e anche manesca, come facevano del resto i neofa­scisti del Msi che scendevano dai loro banchi per rafforzare con la forza dei pugni le loro opi­nioni. Del resto si faceva a botte anche sulle piazze del Paese: gli studenti si picchiavano nelle università, i lavoratori in sciope­ro facevano a botte con la Cele­re del ministro Scelba e il Parla­mento, specialmente la Came­ra era prima di tutto un luogo di scontro e propaganda.
Facendo un salto in avanti di quasi trent’anni ricordo Aldo Moro (che sarebbe stato rapito, imprigionato ed ucciso di lì a po­co) gridare con voce ferma che «la Dc non si farà processare nel­le piazze » (si riferiva allo scanda­lo Lockheed) e ricordo i furori di comunisti e socialisti, ma an­che missini.
I presidenti della Camera era­no quasi tutti politici di lungo corso, alcuni dei quali salirono poi al Quirinale, come il già cita­to Gronchi, Leone e Pertini: sa­pevano governare le assemblee con mano ferma, come del re­sto Ingrao, Jotti, Violante, tutta gente cresciuta nel Pci. Il clima in quei decenni era spesso ran­coroso (non meno di oggi) ma molto più composto. Parlavano sempre e soltanto i capi, i lea­der, grandi vecchi di tutti i parti­ti della Prima Repubblica al cui passaggio nel salone detto Transatlantico si aprivano le ali dei giornalisti obbligati ad in­dossare- come i deputati del re­sto- giacca e cravatta e a mante­nere un atteggiamento discreto e sottomesso. Certo, all’occor­renza scorreva anche il sangue, ma erano quattro gocce per le grandi occasioni come quelle che sgorgarono dalla fronte di Randolfo Pacciardi al momen­to dell’approvazione della «leg­ge truffa» (una sorta di Porcel­lum dell’epoca) colpito da cas­setti e tavolini divelti nella ba­garre.
Se si va su internet si scopro­no­tracce di antiche scazzottatu­re non passate alla storia, come quella con robusto ceffone che si beccò il pacifico deputato mo­na­rchico nonché agricoltore Et­tore Viola, raggiunto dal demo­cristiano Albino Stella. Ma tutto il lungo periodo della guerra fredda, quasi calda, che va dal 1948 agli anni Ottanta, fu una stagione di insulti feroci, postri­bolari, assalti bloccati dai com­messi i quali si prendevano la lo­ro dose di botte.
Arrivarono poi i radicali e non dettero prova di pacifismo gan­dhiano. Le questioni roventi della P2 e delle associazioni se­grete spinsero il radicale Ciccio­messere a saltare olimpionica­mente sul banco del governo, salvo mancarlo e accasciarsi sul pavimento dove alcuni deputa­ti del Pci accorsero non per aiu­tarlo ma per riempirlo di calci. Il pestaggio fu bloccato dai com­messi, che ebbero la loro parte di calci e gomitate, mentre il de­putato Tessari, radicale anche lui partiva in quarta contro un questore del Pci accendendo un altro focolaio di rissa.
Fra i ricordi personali, quello della lunga notte in aula dopo una contestazione di noi di For­za Italia contro il presidente del Senato Marini (quello che poi fu silurato dai «democrats» du­rante la votazione per il Quirina­le) quando partimmo come schegge verso la Presidenza che secondo noi usava il regola­mento con due pesi e due misu­re. Il senatore Lucio Malan, con lancio preciso, fece atterrare una pesante copia del regola­mento sul tavolo del presidente del Senato e si scatenò l’infer­no. I commessi intervennero e noi rivoltosi occupammo l’aula per qualche ora dopo la chiusu­ra.
Gli episodi di intemperanza, maleducazione, violenza verba­le e il lancio di insulti grevissimi -gli stessi che si usano d’abitudi­ne sotto il semaforo- non fanno notizia. Anzi, proprio la necessi­tà di «fare notizia» fu oggetto di accurate ricerche di tecnica del­la comunicazione specialmen­te da parte dei radicali nel mo­mento del loro primo fulgore -Pannella imbavagliato, i cartel­li subito rimossi da commessi ­e poi dai leghisti. Si vide che qualsiasi violazione dei regola­menti commessa attraverso le immagini e non soltanto con le urla, diventava telegiornale e giornale. La scena è sempre la stessa: i deputati (più raramen­te i senatori) entrano in aula na­scondendo l’armamentario prestabilito (cartelli, oggetti, in­dumenti...) e al segnale conve­nuto li estraggono. I commessi ogni volta sono già avvertiti e corrono stancamente per se­questrare il materiale mentre il presidente di turno interrompe i lavori. I fotografi scattano, i ca­meramen riprendono e il gioco è fatto.L’indomani siamo su tut­ti i giornali e telegiornali, maga­ri anche sulla stampa interna­zionale sempre famelica di vi­cende italiane: dopo gli spaghet­ti- western, lo spaghetti-Parla­mento.
I più grandi successi di happe­ning di questo genere, più vicini alla pop art che alla pratica de­mocratica, sono stati i famosi cappi della Lega: ecco Luca Leo­ni Orsenigo agitare il nodo del boia sotto il naso del governo, mentre una pattuglia di deputa­ti di maggioranza scatta al suo inseguimento. Ed eccone un al­tro memorabile: quello del mis­sino Teodoro Buontempo che scappa urlando «ladri-ladri» in un megafono introdotto di con­trabbando, inseguito dai com­messi per essere poi espulso in­sieme al suo camerata Maren­co. Una vera rissa con groviglio umano? Quella del 23 luglio 2004 quando scesero sul ring dell’emiciclo Davide Caparini della Lega, che puntò Roberto Giachetti della Margherita, bloccato dal solito cordone dei commessi, cosa che non impe­dì lo s­contro fisico con successi­vo ricovero di alcuni deputati in infermeria, fra cui Renzo Luset­ti. Anche il «vaffanculo politico» non è un’invenzione di Grillo: il 15 novembre 2007 questo fu l’in­vito rivolto da alcuni senatori di Forza Italia al presidente della commissione Giustizia Cesare Salvi, dopo uno scontro a testa­te fra opposte fazioni e ossa cra­niche. Si potrebbe continuare. Poco c’è di nuovo sotto la luce del sole, come si vede, salvo le ac­cuse alle­deputate renziane di fa­re carriera attraverso il sesso ora­le, per sua natura accuratamen­te distinto dal sesso scritto.