Simone Pieranni, il manifesto 2/2/2014, 2 febbraio 2014
I NUOVI CITTADINI IN CINA
Xu Zhiyong, avvocato pechinese di 40 anni, fondatore del Movimento nuovi cittadini è stato condannato a 4 anni di reclusione da un tribunale di Pechino. La sua storia e quelle di altre persone che l’hanno accompagnato e sostenuto nella sua battaglia racconta diversi aspetti della Cina contemporanea, specie riguardo quella parte del paese che costituisce l’ossatura di una nascente società civile.
La recente piega delle vite di Xu e di un altro attivista arrestato, Wang Gonquan, incrocia le traiettorie dell’attuale anima di quella che spesso viene catalogata come «dissidenza», confondendo non poco i contorni di un fenomeno che, piaccia o meno, è intrinsecamente «cinese». Significa che il dissenso in Cina, quello vero, e con esso l’opposizione alla centralità e unicità politica del Partito Comunista, prende strade realmente pericolose per la leadership locale, quando si manifesta attraverso parole d’ordine capaci di fare breccia tra la popolazione in modo naturale e quando finisce per essere sostenuto da un’élite economica oltre che intellettuale, che chiede — forse — più spazio e potere all’interno delle logiche che regolano la politica nazionale. Quello che fa paura al Partito Comunista non è l’intellettuale solitario, l’eroe, l’immaginario «dissidente» costruito dai media occidentali, che critica e sentenzia, ma non è in grado di aggregare.
Chi fa terrore al potere in Cina, è un mix di soldi, a rappresentare un contro potere economico ed esponenti della società civile, avvocati, scrittori, professori, in grado di chiedere a gran voce uno «stato di diritto», senza pontificare cambiamenti epocali per lo Stato cinese, ma in grado di fare proprio un sentimento comune. E costituirsi come potenziale alternativa al Partito. Tempo fa un docente di una nota Università pechinese, nel mezzo di una discussione riguardo le modifiche alla Costituzione, invitò ad osservare quanto succedeva nel mondo delle società di beneficenza; secondo il professore all’interno di quell’universo si starebbe formando un nucleo politico forte, determinato, attraverso il quale alcuni miliardari cinesi proverebbero a infastidire il Partito Comunista. Fino al 2004, i privati non potevano entrare in società di beneficenza; da allora arrivò il via libera e ad oggi ci sono 2100 istituti privati in Cina.
E da allora il controllo del Partito sulle attività di charity è aumentato. In questo nuovo ambito – secondo molti osservatori – si anniderebbe la potenziale alleanza tra facoltosi e intellettuali liberal cinesi, i cui spiragli si allargherebbero infine a progetti più definiti, da un punto di vista politico.
La storia di Wang
Il miliardario cinese Wang Gongquan è stato arrestato lo scorso novembre. Il reato: assembramento di persone finalizzato al disturbo dell’ordine pubblico. In precedenza aveva fondato tanti imperi economici, che lo avevano fatto assurgere al pantheon degli uomini più ricchi del paese. Patrimonio maturato grazie alla sua attività industriale nel ramo del real estate e grazie, si dice, a investimenti oculati a suo tempo nella Silicon Valley. Ad occhio e croce, Wang, sembrerebbe il tipico miliardario prodotto dal miracolo cinese.
Dire real estate in Cina, significa riferirsi a costruzioni, espropriazione di terreni, rivalutazione di zone geografiche, urbanizzazione e mazzette, tante. Significa avere i contatti giusti con chi ha informazioni basilari su quel mercato. In Cina, si fanno soldi nell’immobiliare, solo se si hanno agganci politici. Ma Wang – 52 anni — è particolare, ha un afflato democratico, o forse – potrebbero sostenere i suoi detrattori — vuole semplicemente contare di più politicamente. Nel 2011 si fa notare perché partecipa alle iniziative contro le «black jail» (luoghi anonimi nei centri cittadini dove vengono rinchiusi molti dei «petizionisti» che giungono a Pechino per denunciare un torto subito nella città da cui provengono). Poi si dice che abbia dato le dimissioni e si sia messo a studiare politica e buddismo. Infine, ha incontrato Xu.
La storia di Xu
L’avvocato Xu Zhiyong, è stato arrestato lo scorso luglio. Il reato: assembramento di persone finalizzato al disturbo dell’ordine pubblico. Quarantenne, già noto per le sue attività a favore dei diritti civili, ha fondato poco tempo (nel 2012) fa il Movimento Nuovi Cittadini. Attraverso questo strumento ha saputo raccogliere – soprattutto in rete – molto seguito. La richiesta principale del Movimento nei confronti del Partito Comunista è stata sempre chiara: si chiede che vengano resi pubblici i patrimoni economici dei funzionari cinesi. Una richiesta di trasparenza che ha saputo fare leva sulla voglia dei cinesi di vedere davvero stroncata la corruzione dei suoi politici.
Arrestato, Xu nell’agosto scorso fece parlare di sé in Cina e non solo, perché fu capace di fare uscire dalla prigione un video, nel quale rilanciava la richiesta e le principali motivazioni della sua battaglia. In un appello straordinariamente empatico, come quello che avrebbe voluto leggere durante il suo processo, Xu ricordava le ragioni del Movimento, invitando tutti i suoi alleati a continuare nella lotta. Alcuni che lo hanno supportato sono finiti male. Giornalisti, attivisti, sono stati arrestati, fermati o intimiditi per averlo aiutato e per aver chiesto a gran voce la sua liberazione. Tra di loro, è stato arrestato anche Wang.
Il processo
Wang avrebbe finanziato e sostenuto le attività di Xu e del Movimento Nuovi Cittadini. E’ un’accusa che durante il processo, Wang avrebbe confermato. Si è trattato di una confessione estorta dal tribunale, che potrebbe consentire al miliardario filantropo di cavarsela con una condanna minore rispetto a Xu, condannato a quattro anni. Wang avrebbe ammesso il sostegno economico a Xu e secondo i giudici avrebbe anche cominciato un serio periodo di riflessione sul suo operato. Chiaro che la sua confessione e contemporanea sconfessione delle sue recenti attività, porterebbe ad un nuovo caso di un magnate impegnato nelle lotte civili, che di fronte all’insistenza della «giustizia» cinese, confessa i propri reati e chiede perdono al potere che in precedenza combatteva. Ultimamente il Partito ha optato per un ritorno alle pubbliche confessioni e con esse alla «rieducazione» del presunto colpevole, come ai tempi della Rivoluzione Culturale.
E’ capitato anche con alcune star di Weibo, il Twitter locale: persone con molto seguito, che hanno finito per diffondere sulla rete messaggi considerati dannosi dai solerti censori. Alcuni sono stati arrestati, con accuse varie, come ad esempio quello di essere coinvolti in casi di prostituzione. Poi sono stati presi, messi davanti ad una telecamera e costretti a confessare la propria colpa e la propria abiura in diretta televisiva.
Xu non ha mollato, per niente, in attesa della sentenza. Durante il processo è stato in silenzio, ha provato a leggere un documento, ma è stato interrotto. La consueta abilità a far trapelare informazioni dei cinesi, si è messa in moto e ben presto il testo del suo intervento ha cominciato a girare nell’internet. Parole che hanno scosso il seguito del movimento e che presumibilmente saranno capace di accendere altri cuori: «Quello che chiediamo – ha scritto Xu — è che ogni cinese sia capace e in grado di comportarsi come un cittadino (…) Significa anche prendere sul serio le responsabilità che porta con sé il concetto di cittadinanza, a cominciare dalla consapevolezza che la Cina appartiene a tutti e a ciascuno di noi e di accettare che spetta a noi difendere e definire i confini della coscienza e della giustizia. Quello che il Movimento Nuovi Cittadini chiede è lo spirito civico che consiste di libertà, giustizia e amore».
Si tratta del primo movimento sorto negli ultimi anni che si è proposto come una reale alternativa al Partito: per questo è massacrato dalla repressione. Attivisti presenti al processo sono stati fermati, alcuni giornalisti sono stati importunati, come sempre accade in questo genere di occasioni, dalla polizia locale.
Una poliziotta che avrebbe sostenuto il movimento è stata a sua volta arrestata. Significa che Xu e il suo seguito hanno colto nel segno, sapendo sfruttare una debolezza del sistema: la clamorosa differenza tra funzionari e persone comuni, perfino appartenenti ad una nascente classe media locale. E non è un caso che lo scandalo legato ai conti dei leader nei paradisi fiscali, sia venuto a galla proprio nel giorno in cui cominciava il processo a Xu. Qualcuno, di sicuro, ad esempio i tanti cinesi che hanno collaborato con il team investigativo internazionale, ha voluto che tutto uscisse proprio il giorno in cui Xu ricordava l’impegno primario del suo Movimento: smascherare i conti dei funzionari cinesi. E il suo scritto circola in rete, dove pare sia stato letto da almeno 100mila persone, taggato con un nome che sa già di storia: China Manifesto.