Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 01 Sabato calendario

FRANCESCA NERI «A CINQUANT’ANNI SOGNO ANCORA IL CINEMA»


Cinquant’anni. E avere ancora quella sensualità felina, sussurrata, come di chi si nasconde al tuo sguardo. Ma se lo trovi, quello sguardo, allora puoi anche essere perduto per sempre. Compie cinquant’anni, il prossimo 10 febbraio, Francesca Neri. E sembra incredibile.
Eppure è vero. La ragazzina di Trento, iscritta al Centro sperimentale di cinematografia, a poco più di vent’anni era già sul set di un film importante: Il grande Blek di Giuseppe Piccioni. Esordiva anche lui, che sarebbe stato l’autore di Fuori dal mondo e di Chiedi la luna, i film per i quali si sarebbe parlato di rinascita del cinema italiano negli anni ’90. E anche il produttore era esordiente: un ragazzo che si chiamava Domenico Procacci, e avrebbe reso possibili tanti film italiani d’autore.
Tappe di un cammino quasi da diva, senza volerlo essere mai. L’incontro col regista catalano Bigas Luna, l’erotismo torrido de Le età di Lulù, nel 1990. Quello con Massimo Troisi, e il film che le vale il primo Nastro d’argento, Pensavo fosse amore, invece era un calesse. E la Toscana percorsa con Carlo Verdone Al lupo al lupo - con Francesco Nuti e con Alessandro Benvenuti - Ivo il tardivo. I set con Pedro Almodovar, con Salvatores, con Ridley Scott. E la nuova avventura come produttrice, l’intuizione di acquisire i diritti di Melissa P., l’esperimento di Riprendimi. Se aggiungi anche la lunga storia d’amore con Claudio Amendola, e il difficile mestiere di mamma - il figlio Rocco adesso ha quattordici anni - componi il disegno di una donna che ha molto amato, molto dato, molto vissuto.
Francesca, lei è nata quando l’Italia viveva ancora la fiducia del boom economico. Come ricorda la sua infanzia?
«Ricordo un’infanzia molto felice, e una grande armonia con la natura. Io sono cresciuta praticamente in campagna. Sono nata nel 1964, sono cresciuta senza telefonini, con la televisione in bianco e nero, cose dell’altro mondo!».
Qual era il suo desiderio più grande?
«Volevo conoscere il mondo, viaggiare, andare in mille posti anche solo d’Italia. L’ho fatto da adulta».
Ma non voleva essere attrice?
«Io? Ma neanche per sogno! Mi piaceva fare sport, mi piaceva stare insieme alle amiche. Sì, magari vedevo un film e per un attimo sognavo di essere quel personaggio... L’amore per il cinema, semmai, viene da mia nonna, che da giovane aveva fatto la maschera in un cinema. Ho amato prima il cinema come luogo del cinema come macchina dei sogni».
La sua famiglia proviene dalla ex Jugoslavia, è vero?
«Sì: mio padre, istriano, era uno dei tanti profughi dal comunismo jugoslavo di Tito. La famiglia finì prima in Liguria, poi in Trentino. Quando mi dissero che ero l’erede di Alida Valli, ridevo: in una cosa forse sì, sono di origine istriana come lei!».
Era ragazzina negli anni ’70. Si sentiva l’ombra degli anni di piombo?
«In realtà, in qualche modo io ero lontana da tutto questo. Ricordo quando a scuola annunciarono il rapimento di Aldo Moro; ma ero ancora una ragazzina, pensavo alla pallavolo. E poi, tutto mi sembrava accadere in un mondo lontano, a Roma. Quella città dove poi sono andata, inseguendo il sogno del cinema».
Chi le piace ricordare, fra i suoi molti compagni di cinema?
«Massimo Troisi, prima di tutto. Un uomo intelligentissimo e anche generoso di consigli per il mio lavoro; Massimo, che mi ha fatto vincere il Nastro d’argento, e che era un uomo delicato, timido, gentile. Bigas Luna, un folle che mi manca da morire. Giuseppe De Santis, mio professore al Centro sperimentale».
È stato difficile per lei imporsi come donna, per esempio come produttrice?
«Come produttrice moltissimo! Fare l’attrice è molto più semplice: ma ci sono certi ruoli che vengono ancora considerati “maschili”. E comunque, il cinema italiano non dà mai un vero ruolo di protagonista a una donna, come nei casi di Blue Jasmine di Woody Allen, o di Philomena di Frears».
Suo figlio Rocco, quattordici anni, sogna di fare l’attore come i genitori?
«Ma neanche per sogno! È un ragazzo sportivo, scatenato, ama il calcio. È simpatico, buono, generoso, gentile, ed io sono felicissima di questo. A fare l’attore, per fortuna, non ci pensa».