Fabrizio Paladini, Panorama 30/1/2014, 30 gennaio 2014
LA CANDIDATA BEST SELLER
[Michela Murgia]
Uno spettro si aggira per la Sardegna, quello di Michela Murgia, scrittrice candidata a governare l’isola a dispetto di centrodestra (che ripresenta Ugo Cappellacci, governatore uscente) e centrosinistra (il Pd dilaniato da guerre interne che presenta il compito economista Francesco Pigliaru). La terza incomoda non ha però un aspetto spettrale. È solare e giunonica.
A differenza di tante sue colleghe che trasmettono magrezze smunte, centrifughe di sedano e carote, e sofferenze d’autrice, lei, 41 anni, impersona porceddu, seadas e cannonau. Ma terrorizza lo stesso i due blocchi storici perché la vincitrice del Campiello 2010, con il romanzo Accabadora (Einaudi) punta a mettersi in tasca buona parte del primo partito sardo, quel Movimento 5 stelle che alle scorse politiche prese il 29,68 e che al prossimo giro del 16 febbraio (per liti tra le diverse anime sarde del movimento e i guru Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio) non ha presentato alcuna lista.
A tenere in braccio la Murgia ci pensa il partito indipendentista Progres (Progetu republica Sardigna), la lista civica Gentes (l’immancabile «società civile») e la lista civica Comunidades (sindaci, assessori, consiglieri comunali, consulte giovanili, insomma gente che sa di politica amministrativa). Basterà? Abituati alla pugna in nome del bipolarismo, i partiti tradizionali attaccano la Murgia perché la temono. Traditrice, opportunista, arrivista, trasformista. Supponente, vendicativa, iena. I suoi ex compagni di partito, in Irs (Indipendentzia repubrica de Sardigna) prima e Progres poi, non la sopportano. L’accusano di essersi portata via il partito (Progres, appunto) dopo avere pianificato la scissione.
Dicono che abbia tentato, attraverso Renato Soru, di farsi nominare lei candidato del centrosinistra e poi, visto che non c’era trippa per gatti, abbia deciso la terza via scippando il nome del partito, portandosi via qualche bella mente di organizzazione territoriale e piazzandosi né con la destra né con la sinistra per accaparrarsi strumentalmente i voti dei grillini, degli indecisi, di tutti quelli che non amano la politica di Palazzo. Dice lo stimato semiologo Francisco Sedda, ex Irs, ex Progres, ora nel Partito dei sardi: «Mentre io e centinaia di donne e uomini di Irs durante le elezioni sarde del 2009 ci dedicavamo a una lotta solitaria per testimoniare la crescita di un nuovo indipendentismo, Murgia proponeva il voto disgiunto a favore di Soru e dell’oggi odiatissimo centrosinistra sardo».
Una voltagabbana, dunque? Il partito di Sedda aveva proposto un’Agenzia delle entrate per la Sardegna e la Murgia che fa? Propone nel suo programma l’Agenzia per le entrate regionale. Scippatrice. Rincara la dose Paolo Maninchedda, anche lui anima del Partito dei sardi: «Ho letto il programma di Michela Murgia, Non ricorrono mai le parole “libertà”, “ricchezza”, “sovranità”, “indipendenza”, “nazione”. La parola “lavoro”, solo tre volte. Quando parla di presenza della Sardegna in Europa, parla di attività di lobby, svelando la verità della struttura concettuale dell’ambizione di potere del gruppo che sta dietro alla Murgia: editori italiani ricchi e annoiati, editor, mariti e mogli di editor, giornalisti ammaliati dalla promessa di diventare grandi scrittori».
La lobby esiste? Certo è che Michela Murgia ha buoni contatti e buona stampa (alla Repubblica, a La7). I detrattori l’accusano di frequentare troppi salotti romani, qualche pezzo snob ex di Rifondazione comunista, qualche psicoanalista di lotta e di divano. Gli scrittori Einaudi invece ne parlano benissimo. La considerano «una di sinistra» anche se lei, ora, finge che non sia vero.
Vulcanica, intelligente, prodigiosa, una forza della natura, vendicativa, idee precise, consapevolezza dei propri diritti. Un’ infanzia complicata, un padre violento, una famiglia adottiva, il suo essere «figlia d’anima» come Maria, la bambina di Accabadora, studi virtuosi, studi teologici, inglese e francese ben parlati. Poi lavoretti per sbarcare il lunario. Operatrice in un call center su cui poi ha scritto Il mondo deve sapere (da cui Paolo Virzì ha tratto il film Tutta la vita davanti). Poi portiera di notte in un albergo, cosa che le ha fatto esplorare internet ed entrare in contatto con le fanfiction, veri e propri romanzi scritti in rete dai fan di personaggi di storie famose. È sposata con Manuel Persico, un ragazzo di Bergamo che fa l’informatico. Non fuma, ama cibo e vino, cucina benissimo (sua mamma ha una trattoria casereccia a Cabras), ha la fobia dei ragni e agli amici confida che è scesa in politica perché sente il bisogno di «fare qualcosa per la mia terra».
Tosta, è tosta. E ha pure un bel seguito sul suo blog da cui può decidere di armare falangi di internauti pronti a dare consenso o a manganellare. Un paio d’anni fa, per esempio, decise di scagliarsi contro il Festival dell’inedito che si doveva svolgere a Firenze. Era una iniziativa meritoria e senza fini di lucro che metteva chiunque avesse scritto qualcosa di inedito nella condizione di essere valutato e pubblicato. Un’idea appoggiata da scrittori come Antonio Scurati e sponsorizzata da importanti aziende. Ma la Murgia aveva deciso che quello era il Male assoluto e ha iniziato una campagna contro il Festival dell’inedito (che inedito è rimasto) raccogliendo molti consensi proprio nel mondo di piccoli, piccolissimi e sedicenti scrittori aizzati alla lotta contro la «mercificazione della creatività».
«Ma chi la paga?» è la domanda che i malevoli fanno sui fondi per la campagna elettorale. Cappellacci l’accusa di essere finanziata occultamente da Vincenzo Onorato, il patron di Moby. Lei dice che spende poco e investe i suoi guadagni letterari. Perfino il vestito di Kenzo che indossò alla serata del Campiello (memorabile scontro con Bruno Vespa in diretta tv) ha messo all’asta per far colletta. Base: 2 mila euro. È finito a chissà chi per 1.250, ma va bene così.
Dice Paolo Piras, segretario del partito indipendentista Progres: «È una occasione unica. Abbiamo scelto la Murgia perché essendo finiti i soldi, i partiti tradizionali non possono più comprare i voti e non ci saranno clientele. Ci sono a disposizione i voti dei grillini, c’è voglia di indipendentismo e lei è la persona giusta. Prima di dirci di sì, ha girato un mese per la Sardegna e alla fine ha deciso». Il suo slogan, questa volta con scarso apporto creativo, è: Sardegna possibile. I nemici lo hanno già stravolto in Sardegna improbabile. Ma è un altro segnale di forza dello spettro che agita le loro notti.