Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 28 Martedì calendario

IL FAR WEST DELLE CASE POPOLARI A ROMA

Non solo graduatorie e liste d’attesa. A Roma le case popolari si tramandano anche per dinastia: dal padre al figlio, dal nonno ai nipoti. Cognomi e tradizioni in cui, di tanto in tanto, svettano antieroi dell’illegalità. Quello dell’emergenza abitativa nella Capitale è dramma nazionale nonché mare magnum rimasto per anni senza governo tra degrado, sfratti e privilegi. Dalla disperazione di chi ha perso casa e lavoro, 30.000 famiglie attendono un alloggio, fino a chi lucra sul caos delle popolari. Con centinaia di inquilini che migliorano le proprie condizioni di vita, perdono i requisiti per gli alloggi ma restano «mantenuti a vita» dallo Stato. «Addirittura si scoprono situazioni di occupanti abusivi che resistono dagli anni Sessanta grazie a confusione e malgoverno», denuncia a Linkiesta Annamaria Addante, presidente dell’associazione inquilini Ater, che nel 2012 ha visto bruciare la propria auto per aver denunciato il far west di abusi nelle case popolari della città eterna. Poi le vicende di “affittopoli” e “svendopoli” (celebre la copertina de L’Espresso «Casa Nostra»), scandali che hanno solcato gli ultimi quindici anni tra canoni bassi e dimissioni di patrimoni facenti capo a enti e amministrazioni per immobili di pregio cui hanno beneficiato inquilini vip, politici e “amici di”.
Ecco appunto, ma la politica? Tra lacune, speculazioni edilizie e giri di valzer nelle stanze dei bottoni, lo scontro all’ombra del Colosseo è uno scambio di frecce avvelenate che affogano nel fango: dall’amministrazione rimproverata per il «lassismo» nei confronti delle occupazioni abusive «de sinistra» ai giornali accusati di fare campagne stampa funzionali agli editori «palazzinari» (Il Messaggero-Caltagirone, Il Tempo-Bonifaci). Nel mezzo soffoca il grido di chi, dopo il lavoro, sta per perdere anche il tetto in quella che è diventata la Capitale degli ossimori, con numeri da record per sfratti e appartamenti sfitti. «L’emergenza abitativa si è trasformata con la crisi del 2008 inglobando il ceto medio e tanti insospettabili, oggi abbiamo 40.000 famiglie che rischiano di perdere l’alloggio», dichiara a Linkiesta Daniele Ozzimo, assessore alle politiche abitative del Comune di Roma i cui uffici sono quotidianamente assediati da storie di disperazione. «Stiamo cercando di mettere ordine a un settore che in ordine non è mai stato, ma la priorità è bloccare l’emorragia nella perdita della casa».
Ater è l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale che ha in pancia 50.000 alloggi (degli 80.000 popolari a Roma) e 480 dipendenti. Se il Comune dirige la graduatoria degli assegnatari, l’ente con sede a Lungotevere Tor di Nona è chiamato a gestire appartamenti, comprensori e relativa manutenzione da Quarticciolo a Torre Gaia, da Corviale a La Rustica, da San Basilio a Rebibbia, dal Tufello a Monte Sacro. Un patrimonio enorme e difficile da curare, infarcito dai conferimenti di altri enti dismessi, che oggi “rende” poco: i canoni mensili partono da 7,75 euro, il tasso di morosità sfiora il 30%. «L’emergenza abitativa è una condizione strutturale dal dopoguerra», spiega a Linkiesta il commissario straordinario dell’Ater Daniel Modigliani. «Ma sono contrario al suo uso strumentale, mantenere l’emergenza fa comodo a tutti, alla politica e agli utenti, oggi sono 5.000 i casi più urgenti che occupano un posto alto nella graduatoria del Comune». Dopodichè, incalza il commissario, non bisogna sottovalutare il fattore umano. «Manca e servirebbe una ricognizione reale dei numeri e dei bisogni di questa emergenza per poi programmare una politica di ampio respiro. Un esempio, la domanda di alloggi è cambiata: vengono richieste tipologie di immobili più piccoli rispetto ad anni fa, mutano pure i nuclei familiari, che sono di più e con meno componenti».
Ospiti delle popolari sono oltre 150.000 inquilini di cui 12.000 disabili: «il Comune assegna ma poi chi pensa all’assegnatario?». Innumerevoli le situazioni di disagio socio-economico, cui si sommano altrettanti abusi come quelli di chi da tempo ha perso i requisiti reddituali o chi elegge la casa popolare a residenza immortale. Non ha dubbi Modigliani: «È un’anomalia italiana che cresce a Roma, dove una legislazione permissiva, soprattutto a livello regionale, ha fatto passare l’idea che la casa assegnata si avvicinasse al diritto di proprietà». Nel 2012 la Guardia di Finanza ha scoperchiato una truffa da parte di 12.000 soggetti che dichiaravano redditi falsi per pagare affitti irrisori. Incrociando i dati in possesso di Gdf e Ater sono emerse famiglie che pagavano meno di 80 euro di canone mensile a fronte di redditi reali che oscillavano tra i 40 e gli 80.000 euro. Una pratica tutt’altro che isolata quella dei «ladri di diritti», così li chiama il sindaco Marino, che a gennaio ha siglato un protocollo con la Gdf per rafforzare i controlli nella gestione e concessione degli alloggi popolari.
Nel solo 2013 a Roma sono state denunciate e indagate 800 persone per il reato di occupazione abusiva di alloggio. Ogni anno almeno 1300 appartamenti comunali passano di mano illecitamente: vengono subaffittati o magari venduti. Prima c’era il passaparola, ora vince internet: trattano i diretti interessati oppure faccendieri e avvocati. Un racket con clan e informatori, sentinelle pronte a prendere gli alloggi non appena liberi e girarli agli interessati per una cifra che arriva anche a 20.000 euro. Spesso basta assentarsi qualche settimana, magari per un ricovero in ospedale, e si trova la serratura cambiata: storie che spaziano dallo stato di necessità degli occupanti al business della malavita, ma tra anarchia e sanatorie il fenomeno è decollato. A febbraio 2013 la signora Maria Lorenzi mancò tre giorni dalla sua casa in zona Ponte Mammolo per andare ad accudire la mamma malata: al ritorno l’appartamento era occupato e la sua roba stipata negli scatoloni. Oggi, assicurano dal Comune, anomalie come questa vengono stroncate sul nascere applicando l’art. 321 c.p.c. (sequestro preventivo) con l’intervento della polizia locale che evita lungaggini.
I casi di vendita truffaldina di alloggi comunali da parte dei privati sono molti, alcuni dei quali sgominati dalla task force messa in campo dal Campidoglio: c’è l’appartamento di 57 metri quadri nel quartiere Garbatella messo in vendita sul web per la cifra di 130.000 euro «solo contanti». Ma anche un alloggio di 85 metri quadri a Castelverde offerto a 50.000 euro, o ancora un monolocale di 40 mq a Corviale venduto per 20.000 euro. Nella Capitale è celebre il caso di Cristiana Petriacci, nota come “la padrona di Testaccio” e finita in carcere con le accuse di truffa e estorsione per aver gestito una compravendita di immobili Ater con la complicità di alcuni funzionari. L’ironia della sorte vuole che la donna si sia accompagnata per anni a Massimo Lustri, detto “er Tapparella” per la sua vecchia abitudine di entrare in appartamenti sfitti e “donarli” a chi non poteva permetterseli.
L’attualità è tutt’altro che romantica. Nello scorso agosto è stata diramata la lista nera degli abusivi: 5378 persone abitano in una casa popolare romana senza averne diritto. Nel gruppo, in virtù della contestata legge regionale 12/1999, risultano anche coloro che convivevano con il legittimo assegnatario o i figli che rientrano nella casa dei genitori. A fine estate l’Ater ha portato le carte in Procura e avviato una maxi operazione: Campidoglio ed ente provano a dialogare con protocolli d’intesa e task force, anche se non mancano le scintille tra uffici nella gimkana burocratica che sovrintende la gestione delle case popolari. «Abbiamo incontrato resistenze e attriti dentro l’Ater», sussurrano in Campidoglio. Da Lungotevere Tor di Nona rispondono: «Sono settimane che abbiamo fornito al Comune la lista con un centinaio di alloggi liberi. Ma il Campidoglio, che ha il compito di smaltire la graduatoria degli aventi diritto, non ci ha ancora dato notizie sulle assegnazioni di quegli appartamenti, adesso a rischio occupazioni abusive».
Intanto sono partiti gli sgomberi ai furbetti e telefonando al centralino Ater il risponditore automatico fornisce un numero verde per la «denuncia anche in forma anonima di occupazione abusiva di appartamento». La strada maestra è quella di recuperare gli appartamenti da assegnare poi agli aventi diritto. Spiega Modigliani: «È necessario incrementare il ricambio fisiologico del patrimonio pubblico, oggi viene liberato un alloggio al giorno (350-400 annui), io vorrei raddoppiare o triplicare questo dato, che è l’unico strumento rapido per alleviare l’emergenza abitativa, d’altronde per costruire case occorrono due anni e nel frattempo i problemi della popolazione proseguono».
L’assessore alle politiche abitative Daniele Ozzimo stende la road map: «Partiamo dal centro storico controllando i redditi alti di chi occupa immobili del Comune. Lo facciamo in un ottica di giustizia sociale, cioè la legalità vista attraverso le lenti della condizione della persona». La task force ha scovato truffe e vendite illegali: «L’effetto deterrente è talmente forte che molti appartamenti stanno rientrando spontaneamente nella disponibilità dell’amministrazione». Il nodo, insiste Ozzimo, «sta nel raffinare e velocizzare la procedura di assegnazione degli alloggi che altrimenti, una volta svuotati, vengono subito occupati abusivamente». Lo scorso settembre è stato sfrattato Massimo Cavicchioli, ex marito di Renata Polverini che da 24 anni viveva in un appartamento nel quartiere di San Saba (Aventino), dove ha trovato ospitalità anche l’ex governatrice della regione Lazio fino al 2004, anno della separazione. Nella stessa zona viveva un altro privilegiato, proprietario di una gioielleria del centro storico e sistemato in una casa popolare Ater in via Costantino al costo di pochi euro di affitto.
Ma l’emergenza abitativa si declina in sofferenza, specialmente fuori dal salotto del centro storico. Una guerra tra poveri è andata in scena a Ponte di Nona, periferia Est della Capitale, dove ad aprile 2013 una cinquantina di famiglie del coordinamento Action occupava un palazzo sfitto di proprietà Caltagirone, sbarrando l’ingresso con pneumatici affiancati da una tanica di benzina in caso di arrivo delle forze dell’ordine. La circostanza ha fatto infuriare il comitato di quartiere: «Tanti abitanti e giovani coppie dopo aver comprato casa e sottoscritto mutui ventennali si ritrovano la loro casa invendibile o con una perdita di valore inestimabile». A dicembre l’intervento di polizia e carabinieri ha liberato lo stabile facendo insorgere Action, attiva nell’occupazione di immobili sfitti facenti capo ai grandi costruttori, che stima: «A Roma ci sono più di 100.000 alloggi liberi», addirittura 250.000 secondo un rapporto Legambiente del 2011. La strada da seguire, ribatte Annamaria Addante, non è quella dell’illegalità: «Le istituzioni s’impegnassero a trovare un accordo coi costruttori sugli appartamenti invenduti per ottenerli a prezzo di costo e destinarli all’emergenza abitativa».
Oggi il termometro sociale segna un clima incandescente. «Stop agli sfratti, alloggio e reddito per tutti» chiedono sigle come Ram (Resistenza Abitativa Metropolitana) che organizzano manifestazioni e blocchi stradali ma anche occupazioni a scopo abitativo, molte delle quali inquadrate nel cosiddetto “Tsunami Tour”: blitz contemporanei innescati in edifici sfitti o abbandonati di diverse zone della città. Nel mezzo spunta un’inchiesta del quotidiano Il Tempo che scrive di «racket della casa» nella militanza politica per le occupazioni. Il leitmotiv è il seguente: «Fai la tessera e vai ai cortei, occupi il palazzo che dovrai rimettere a posto insieme a delle squadre di lavoro. Poi apriamo trattative con Comune e Regione, ma una volta che ottieni l’alloggio stai tranquillo». Tra i Robin Hood della casa c’è Andrea Alzetta detto “Tarzan”, già consigliere comunale con Sel, eletto alle ultime amministrative ma non proclamabile per l’applicazione della legge Severino. Oggi Alzetta resta fuori dal Campidoglio nonostante nei corridoi rimbombi ancora uno dei suoi slogan elettorali: «Occupare case è reato? Ma Tarzan lo fa!».
A gennaio la giunta regionale di Nicola Zingaretti ha varato un piano straordinario da 257 milioni di euro per l’emergenza abitativa del Lazio e l’80% dei fondi sarà destinato a Roma. La manovra, nel solco di rigenerazione urbana e housing sociale, prevede il recupero del patrimonio immobiliare pubblico e l’acquisizione di immobili privati senza nuova cementificazione. Dal Campidoglio tirano un sospiro di sollievo e lavorano nella stessa direzione: la questione casa è nazionale e la giunta Marino ha fatto pressing sul Governo affinché doti le amministrazioni locali di un fondo per morosità incolpevole «degno di questo nome». Nel frattempo Palazzo Chigi ha fatto una prima mossa, peraltro già bocciata dai movimenti della casa, sospendendo gli sfratti fino al 30 giugno 2014 per i nuclei familiari con reddito fino a 21.000 euro.
Nella stanze del Comune si lavora pure al superamento dei residence temporanei per gli sfrattati, strutture spesso degradate che costano all’amministrazione oltre 20 milioni di euro annui di affitto. Terreno fertile sul quale da anni fa affari anche Angiola Armellini, recentemente indagata per una maxievasione di 2 miliardi di euro su proprietà immobiliari non dichiarate al Fisco: a lei il Comune paga l’affitto di 1.000 appartamenti ad uso popolare. Per degrado e difetti nella costruzione (la leggenda parla dell’uso di sabbia) quegli alloggi, in località Nuova Ostia, vennero ribattezzati «case di ricotta» e oggi la figlia del costruttore romano ha un contenzioso con il Campidoglio, a cui chiede di raddoppiare la cifra annua dell’affitto attualmente intorno ai 4,2 milioni di euro.
Nel tempo si è consolidato il «rischio ghettizzazione» dell’edilizia popolare. Corviale è frutto di un esperimento architettonico degli anni Settanta che partorì un Serpentone di cemento lungo un chilometro per 1200 appartamenti distribuiti su nove piani. L’architetto Mario Fiorentino puntò all’idea avveniristica di zona autosufficiente, un «edificio-quartiere» mai decollato. Pesò il caos delle assegnazioni, con il Comune che parcheggiò qui centinaia di famiglie sfrattate dalle baraccopoli senza alcun tipo di “paracadute”. Oggi Corviale assurge a emblema di degrado e occupazioni: il quarto piano dell’edificio doveva essere destinato a esercizi commerciali e spazi di aggregazione, ma è diventato rifugio per quasi 150 famiglie abusive che non pagano acqua, luce nè gas. Sempre qui fu girato un non memorabile film con Pippo Franco, «Sfrattato cerca casa equo canone», che tra gag e iperboli evidenziava il dramma dell’emergenza abitativa romana.
«Noi non siamo periferia e il degrado qui lo hanno creato le istituzioni con la loro assenza». La chiosa è di Angelo Scamponi, vicepresidente del comitato inquilini di Corviale che a Linkiesta spiega: «La coperta è stata sempre corta e i soldi non c’erano mai, io abito qua da 29 anni e posso dire che il Serpentone è stato non-gestito dall’Ater con rattoppi che non risolvevano, anzi danneggiavano». Oggi l’ente ha fatto partire un piano di lavori che prevede il rifacimento delle superscale e la riqualificazione del famigerato quarto piano. Cautamente ottimista il commissario Ater Daniel Modigliani, che con l’edificio-quartiere ha un legame speciale: «Sto lottando da anni per Corviale, è nel mio cuore e rimane un patrimonio di architettura contemporanea, ci hanno assicurato che ci sono i soldi e speriamo di procedere con le operazioni».
I residenti invocano pure una verticalizzazione che permetta di suddividere i comparti abitativi per garantire sicurezza e legalità. «Noi viviamo bene a Corviale e ci sentiamo centro, chi altro può vantare venti metri quadri di verde a persona?», incalza Scamponi, che insieme a decine di dirimpettai dà vita ad associazioni culturali e iniziative di solidarietà. Qui è mancato lo Stato ma i partiti hanno fatto passerella: nel 2008 fu Alemanno a scegliere il Serpentone per la chiusura della campagna elettorale con Berlusconi. Nello scorso aprile Bersani e lo stato maggiore del Pd presenziarono per una «manifestazione contro la povertà», mentre a novembre i parlamentari Cinque Stelle hanno svolto un’agorà coi cittadini. Tra promesse non mantenute e fondi bloccati, oggi il quartiere invoca attenzione: «Paghiamo servizi inesistenti come la pulizia e le luci negli spazi comuni, cifre che neanche fossimo ai Parioli».
Poi ci sono quartieri come Tor Bella Monaca dove l’architettura ha messo in gabbia migliaia di persone senza servizi. Qui metà degli alloggi è di proprietà pubblica: 4.004 del Comune di Roma, 1.495 fanno riferimento all’Ater. La quota rimanente è di proprietà privata o di cooperative. Secondo uno studio della Cgil, nel quartiere delle torri «il 75% dei residenti abita la propria casa in affitto, il 25% in proprietà, invertendo le medie nazionali». Il degrado è all’ordine del giorno, le occupazioni abusive imperversano con l’aggravante della presenza di centinaia di persone sottoposte ai domiciliari e pregiudicati dediti allo spaccio. È capitato che inquilini tornati dalle vacanze estive abbiano trovato l’appartamento occupato da altri.
Altro nodo è quello della manutenzione che «si perde in appalti e subappalti, per i guasti restano le briciole e i tempi d’intervento delle ditte sono lunghi». Molti inquilini si sono adoperati in prima persona mettendo mano al portafoglio per riparare i guasti. Eppure quello della manutenzione è un dramma che scavalca ”Tor Bella” e angoscia decine di comparti abitativi di edilizia popolare in giro per la città. All’Ater devono fare le nozze coi fichi secchi, mancando i fondi per gestire un patrimonio immenso ci si limita a pronto intervento e manutenzione straordinaria: «La Regione ci dice di usare i canoni che riscuotiamo dagli inquilini, che però vengono mangiati quasi tutti dalle tasse». La speranza? Ripartire dal basso. «Favoriremo l’autogestione e il protagonismo dei cittadini per responsabilizzarli ed evitare sacche di indifferenza», spiega a Linkiesta Luigi Nieri, vicesindaco di Roma con le deleghe al patrimonio. «Purtroppo per anni abbiamo fatto scivolare i quartieri popolari in un degrado inarrestabile che adesso bisogna riqualificare e manutenere».
Il vero problema, incalza la presidente dell’associazione inquilini Ater Annamaria Addante, è che «dagli anni Sessanta non c’è più stato un piano casa degno di questo nome, l’ultimo fu quello di Fanfani. Siamo arrivati a oggi con interventi sporadici e creazione di ghetti senza vere politiche per la casa». Intanto il Comune di Roma avvia la vendita di una fetta del proprio patrimonio immobiliare il cui ricavato sarà devoluto all’emergenza abitativa. «Non svendiamo per fare cassa - sottolinea Nieri - ma siamo mossi dall’idea di rigenerare il patrimonio alienando quello di difficile gestione». Il piano comprende una mappatura degli immobili pubblicata online: «Vogliamo che il patrimonio comunale sia trasparente e conosciuto da tutti, parte dei fondi della vendita andrà anche alla manutenzione degli alloggi popolari. Chi ci vive non dev’essere più considerato un cittadino di serie B».