Nicola Piepoli e Gustavo Piga, Panorama 30/1/2014, 30 gennaio 2014
GLI ITALIANI DICONO SÌ ALL’EURO, MA BASTA CON L’AUSTERITÀ
Nel silenzio si avvicinano le elezioni europee. Ma non nell’indifferenza generale. Anzi, intervistati per un apposito sondaggio dell’Istituto Piepoli, i cittadini italiani rivelano una sorprendente passione per le questioni continentali e indicano un percorso coraggioso per uscire dalla crisi. Intanto un dato di fatto inequivocabile: se mai dovessimo immaginare un referendum sull’euro questo vedrebbe una sicura vittoria della moneta unica, anche se lo scetticismo su di essa raggiunge oggi un ragguardevole 30 per cento, che diventa quasi del 50 per cento nelle forze di centrodestra. Una fiducia tutto sommato a tempo concessa all’euro, sempre meno convinta, ma che pare indicare come in fondo la moneta sia percepita come mero capro espiatorio di una situazione di difficoltà economica che ha ben altre radici e che richiede tutt’altra soluzione che non quella di condannarci, col ritorno alla liretta, all’oblio geopolitico di fronte al dominio mondiale di Cina e Stati Uniti. In effetti, un’altra soluzione esiste eccome: l’abbandono delle stupide politiche di austerità in tutta Europa, che contribuiscono ad aggravare una crisi da domanda interna che porta le aziende, specie quelle piccole, a chiudere e la disoccupazione, specie quella giovanile, a crescere.
Il vantaggio, ancor prima che economico, sarebbe politico: interrogati su come cambierebbe la loro opinione su euro ed Europa se si rinunciasse alle politiche di austerità, il 47 per cento dei cittadini italiani afferma deciso che migliorerebbe e solo per l’8 peggiorerebbe. Con minori tasse e maggiori spese, all’interno di un’opera di coordinamento politico tra Germania e Italia, ripartirebbe il motore della domanda interna alle imprese, e con esso occupazione e benessere. La minore insoddisfazione politica porterebbe poi i mercati finanziari a convincersi definitivamente che il progetto della moneta unica è irreversibile, con un conseguente crollo definitivo degli spread e il sollievo dei conti pubblici. L’austerità europea è stata importata nel nostro ordinamento giuridico nazionale tramite il Fiscal compact, una specie di pilota automatico che chiederà dal 2015 in poi al nostro Paese di ridurre del 3 per cento di Pil ogni anno (50 miliardi) il debito pubblico, con maggiori tasse e minori investimenti pubblici. È per questo che il vero referendum, non propositivo ma abrogativo, che dovremmo immaginare non è quello sull’euro, ma proprio sullo stupido Fiscal compact.
È quello che abbiamo chiesto ai cittadini italiani, premettendo però prima la fatidica domanda, che pende come una spada di Damocle su tutte le consultazioni popolari: andreste a votare un referendum contro l’austerità? Ebbene sì, quasi il 70 per cento, certamente o probabilmente, lo farebbe. A testimonianza di una passione per l’Europa che potrebbe stupire solo coloro che non capiscono quanto questo progetto politico culturale europeo interessi i cittadini italiani. E cosa voterebbero? Dopo avere detto sì all’euro, direbbero no all’austerità, con una maggioranza schiacciante dei due terzi dell’elettorato. Non «via dall’Europa», dunque, né «sì a questa Europa»: piuttosto «un’altra Europa» è quanto vagheggiano gli italiani. I viaggiatori in movimento, l’associazione politica che ha promosso l’idea di un referendum contro l’austerità, ha anche il modo per rassicurare i mercati che ciò non vorrebbe dire carta bianca per l’aumento del debito e delle spese folli: suggerisce di finanziare gli investimenti pubblici in scuola, ricerca e forze dell’ordine che questo paese necessita con il taglio agli sprechi di 30 miliardi, sprechi di cui abbiamo già scritto su Panorama. I due terzi del Paese sarebbero a favore di una strategia economica di questo tipo, basata su rigore e sviluppo. Il dado è tratto; resta da vedere se una volta ottenute le firme, il referendum contro l’austerità supererà il vaglio della Corte costituzionale. Giuristi insigni già dicono che è possibile. Fatto questo, a quanto pare, sarà rifatta, finalmente, l’Europa dei popoli e dei cittadini.