Anna Meldolesi, Corriere della Sera 30/1/2014, 30 gennaio 2014
QUEL QUINTO DI NEANDERTHAL CHE VIVE IN NOI
Lui era un massiccio Neanderthal, lei una bella ragazza anatomicamente moderna. O forse lui era un cacciatore sapiens e lei un’energica neandertaliana. Non sappiamo se si siano amati sulle coste del Mediterraneo o in un’oasi mediorientale, ma le genti che oggi popolano Asia ed Europa conservano ancora le tracce di quelle antiche unioni. Sembra una love story ambientata nel Paleolitico, e invece
è l’incipit dell’articolo con cui sono state presentate le ultime rivelazioni nel campo dell’antropologia molecolare. Due studi, pubblicati
su Science e su Nature , hanno confrontato il genoma di centinaia
di persone viventi con quello di un esemplare di Neanderthal vecchio 50.000 anni. La morale della favola
è che noi sapiens siamo anche un po’ neandertaliani e che incrociarci non è sempre stata una fortuna. Un paio di percentuali fotografano la relazione. Venti per cento è la porzione del genoma neandertaliano che sopravvive nelle popolazioni moderne. Sessanta per cento, invece, è la quota degli europei e degli asiatici moderni che hanno pelle, unghie e capelli almeno in parte neandertaliani. Gli africani no, perché gli incroci sono avvenuti solo dopo che i nostri progenitori ufficiali sono emigrati dalla culla dell’umanità. Dobbiamo essere grati ai nostri cugini estinti per l’impermeabilità e le capacità isolanti delle nostre fibre di cheratina, insomma. Peccato che in dote ci abbiano portato anche qualche brutta sorpresa, come i geni implicati in diabete di tipo 2, morbo di Crohn, lupus, cirrosi biliare. Forse per loro non erano dannosi, ma interagiscono male con il nostro Dna e ci fanno ammalare. Se pensiamo al nostro genoma come a un paesaggio, possiamo immaginare al suo interno una successione di oasi e deserti, in cui i geni neandertaliani hanno trovato casa o non hanno attecchito.
I deserti più inospitali sono risultati due. Uno è rappresentato dai geni espressi nei testicoli, dove si sviluppano gli spermatozoi. L’altro è il cromosoma X, che è presente sia nei maschi che nelle femmine (in queste ultime in duplice copia). Queste assenze suggeriscono che
tra i due gruppi umani che hanno convissuto per migliaia di anni ci fosse una distanza biologica tale da consentire il meticciamento ma al prezzo di rendere sterile una parte rilevante degli individui ibridi. Sarà anche vero che gli opposti si attraggono, ma questa è una storia di partner più che imperfetti. Quasi incompatibili.