Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano 30/1/2014, 30 gennaio 2014
IL REGALO ALLE BANCHE DA 4,2 MILIARDI
L’attenzione, forse un po’ tardiva, arrivata sul decreto convertito in legge ieri sera dalla Camera ha un motivo molto semplice su cui Il Fatto Quotidiano batte fin dalla sua approvazione a Palazzo Chigi il 30 novembre: si tratta di un enorme regalo alle banche, in particolare Intesa San Paolo e Unicredit, quantificabile in oltre 4 miliardi di euro. Un breve riassunto. La proprietà. Bankitalia è di proprietà delle principali banche italiane (pubbliche fino agli anni Ottanta), dell’Inps e di Generali. Il valore del capitale è rimasto quella della fondazione negli anni Trenta: 300 milioni di lire, oggi 156 mila euro, suddivisi in 300 mila quote da 52 centesimi. Ora il governo ha stabilito – sulla scorta della relazione di tre esperti e ignorando una legge del 2005 che prevedeva il ritorno della Banca centrale in mano pubblica – che quella cifra deve essere rivalutata a 7,5 miliardi. A cosa serve? In teoria le banche aumentano il loro livello di capitalizzazione in vista delle nuove norme europee, lo Stato incassa la tassazione sulle plusvalenze. Peccato che non sia così: gli istituti incasseranno, l’erario subirà un danno. I dividendi. Il tetto è pari allo 0,5 per cento delle riserve e al 10 per cento del capitale. Ne deriva che sui 2 miliardi e mezzo di utili del 2012, ad esempio, palazzo Koch ha distribuito ai suoi soci una cifra tutto sommato modesta: 70 milioni in tutto. Con la rivalutazione delle quote, però, l’esborso sale parecchio : a parità di utile si arriverebbe a circa 450 milioni. Tradotto: quasi 400 milioni in più l’anno ai soci privati.
Fisco amico. Grazie a un emendamento in Senato, la tassazione della plusvalenza sarà all’aliquota di favore del 12 per cento (non il venti, che sarebbe quella delle rendite finanziarie, non il 16 inizialmente scelto dal governo): l’incasso sarà di soli 900 milioni e non di un miliardo e mezzo dell’ipotesi massima.
Vi sveliamo il trucco. La Bce, pressata dalla Bundesbank, ha imposto che la rivalutazione delle quote non si considerata una garanzia patrimoniale. E allora? Tutto questo casino per niente? Non proprio. Il marchingegno infatti è parecchio complicato. Il decreto fissa anche un tetto alla partecipazione massima possibile che le banche possono detenere in Bankitalia: è il 3 per cento. Grazie al solito emendamentino è affidata alla stessa Banca centrale la possibilità di ricomprare le quote in eccesso e poi rivenderle. La faccenda riguarda Intesa Sanpaolo, che ha un 27,3 per cento di troppo, e Unicredit, che dovrà disfarsi del 19,1 per cento. Ma anche le Generali hanno qualche quota di troppo (3,3 per cento), idem la Cassa di risparmio di Bologna (3,2), Carige (1) e perfino l’Inps (2). Il tutto costa 4,2 miliardi (tre e mezzo solo per le prime due banche): soldi veri che gli istituti di credito potranno subito mettere a bilancio con buona pace di Bundesbank.
Il caso Carige. La malmessa banca ligure è stata sfortunata. Motivo: in questi anni ogni istituto ha messo a bilancio la sua quota come credeva e qualcuno ha esagerato. Carige ha valutato il suo 4 per cento 892 milioni di euro, mentre secondo la nuova legge ne vale 300. Significa una bella svalutazione di mezzo miliardo a fronte di un incasso per il suo 1 per cento eccedente di 75 milioni. Non tutte le ciambelle riescono col buco.