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 2014  gennaio 30 Giovedì calendario

C’È LA CRISI? IL MERCATO CRESCE MA RESTA UN LUSSO PER POCHI


Il mercato ai tempi della crisi si nutre voracemente di prestiti e di «parametri zero». La tendenza è ormai chiara, e non solo in Italia. I numeri, eloquenti, li fa la Fifa, con il suo annuale «Global Transfer Market» che analizza i trasferimenti compiuti dai circa seimila club professionistici di 200 federazioni, al netto dei movimenti «interni». Ebbene, nel 2013 si sono spostati da una nazione all’altra ben 12.309 calciatori, ma appena 1628 (il 14%) sono stati accompagnati da un esborso di denaro.
Ci si arrangia, insomma. Ma il tourbillon non si arresta. Il calcio moderno vive di viavai, di squadre ribaltate per puntare più in alto o per evitare di cadere più in basso. E per tanti club che per poter spendere devono prima incassare, ce n’è sempre qualcuno in grado di togliersi ogni capriccio, pescando dalle casse senza fondo di sceicchi arabi, oligarchi russi o corazzate spagnole favorite da ammiccanti legislazioni fiscali. Così, nonostante gli affari a costo zero continuino a crescere, a salire è anche il valore complessivo del mercato del pallone mondiale. Un autentico boom, quello registrato nel 2013: +41% rispetto a un 2012 in cui, al contrario, s’era verificato un -10% in confronto al 2011. In valore assoluto si parla di 3,7 miliardi di dollari, circa 2,7 miliardi di euro, con l’85% del totale che resta in Europa. E oltre il 10% stanziato per cinque soli colpi, quelli da record che hanno mosso Bale, Neymar, Cavani, Falcao e Ozil. Spese folli che, in parte, hanno alimentato il mercato di chi altrimenti non avrebbe potuto permettersi degli acquisti.
Ce ne siamo accorti anche in Italia. Nel 2012 la bilancia commerciale del nostro calcio aveva chiuso in attivo di circa 67 milioni di euro, mentre nel 2013 ha finito con un -28 milioni, spendendone 346 e incassandone 318. Comprensibilmente, chi ha operato di più con l’estero sono state le società che hanno svoltato ingaggiando un tecnico straniero. E allora, il Napoli di Benitez ha venduto benissimo Cavani al Psg ma ha speso ancor di più prendendo Higuain, Albiol, Mertens, Callejon e Rafael. E la Roma di Garcia ha investito parte dei soldi avuti per Marquinhos, Lamela e Osvaldo negli ingaggi di Strootman, Gervinho e del baby Jedvaj.
In generale, i club italiani sono stati come al solito attivissimi: 304 calciatori importati (+15% sul 2012) e 382 esportati (+12%). Solo gli inglesi hanno speso di più all’estero, solo gli spagnoli hanno incassato di più. Movimenti frenetici che fanno la felicità di una categoria: gli intermediari hanno incassato circa 158 milioni di euro in commissioni nel solo 2013. Senza contare la percentuale che spetta da contratto agli agenti sugli stipendi dei loro assistiti. Sono loro, procuratori e affini, a muovere i fili di questo grande circo che è diventato il mercato e a chiudere comunque in attivo. Loro e il Brasile, inesauribile fucina di talenti e Paese di migranti per vocazione e necessità: 1558 calciatori trasferiti nel 2013, più del doppio degli argentini. Carioca, paulisti e mineiri sono sempre di moda. Anche se non si chiamano Neymar, anche se non finiscono nelle leghe al top in Europa. Un sogno, un nome o un dribbling «made in Brazil» possono stregare chiunque. Specie quando il Mondiale verdeoro e le sue suggestioni sono ormai dietro l’angolo.
Il mercato ai tempi della crisi si nutre voracemente di prestiti e di «parametri zero». La tendenza è ormai chiara, e non solo in Italia. I numeri, eloquenti, li fa la Fifa, con il suo annuale «Global Transfer Market» che analizza i trasferimenti compiuti dai circa seimila club professionistici di 200 federazioni, al netto dei movimenti «interni». Ebbene, nel 2013 si sono spostati da una nazione all’altra ben 12.309 calciatori, ma appena 1628 (il 14%) sono stati accompagnati da un esborso di denaro.
Ci si arrangia, insomma. Ma il tourbillon non si arresta. Il calcio moderno vive di viavai, di squadre ribaltate per puntare più in alto o per evitare di cadere più in basso. E per tanti club che per poter spendere devono prima incassare, ce n’è sempre qualcuno in grado di togliersi ogni capriccio, pescando dalle casse senza fondo di sceicchi arabi, oligarchi russi o corazzate spagnole favorite da ammiccanti legislazioni fiscali. Così, nonostante gli affari a costo zero continuino a crescere, a salire è anche il valore complessivo del mercato del pallone mondiale. Un autentico boom, quello registrato nel 2013: +41% rispetto a un 2012 in cui, al contrario, s’era verificato un -10% in confronto al 2011. In valore assoluto si parla di 3,7 miliardi di dollari, circa 2,7 miliardi di euro, con l’85% del totale che resta in Europa. E oltre il 10% stanziato per cinque soli colpi, quelli da record che hanno mosso Bale, Neymar, Cavani, Falcao e Ozil. Spese folli che, in parte, hanno alimentato il mercato di chi altrimenti non avrebbe potuto permettersi degli acquisti.
Ce ne siamo accorti anche in Italia. Nel 2012 la bilancia commerciale del nostro calcio aveva chiuso in attivo di circa 67 milioni di euro, mentre nel 2013 ha finito con un -28 milioni, spendendone 346 e incassandone 318. Comprensibilmente, chi ha operato di più con l’estero sono state le società che hanno svoltato ingaggiando un tecnico straniero. E allora, il Napoli di Benitez ha venduto benissimo Cavani al Psg ma ha speso ancor di più prendendo Higuain, Albiol, Mertens, Callejon e Rafael. E la Roma di Garcia ha investito parte dei soldi avuti per Marquinhos, Lamela e Osvaldo negli ingaggi di Strootman, Gervinho e del baby Jedvaj.
In generale, i club italiani sono stati come al solito attivissimi: 304 calciatori importati (+15% sul 2012) e 382 esportati (+12%). Solo gli inglesi hanno speso di più all’estero, solo gli spagnoli hanno incassato di più. Movimenti frenetici che fanno la felicità di una categoria: gli intermediari hanno incassato circa 158 milioni di euro in commissioni nel solo 2013. Senza contare la percentuale che spetta da contratto agli agenti sugli stipendi dei loro assistiti. Sono loro, procuratori e affini, a muovere i fili di questo grande circo che è diventato il mercato e a chiudere comunque in attivo. Loro e il Brasile, inesauribile fucina di talenti e Paese di migranti per vocazione e necessità: 1558 calciatori trasferiti nel 2013, più del doppio degli argentini. Carioca, paulisti e mineiri sono sempre di moda. Anche se non si chiamano Neymar, anche se non finiscono nelle leghe al top in Europa. Un sogno, un nome o un dribbling «made in Brazil» possono stregare chiunque. Specie quando il Mondiale verdeoro e le sue suggestioni sono ormai dietro l’angolo.
Il mercato ai tempi della crisi si nutre voracemente di prestiti e di «parametri zero». La tendenza è ormai chiara, e non solo in Italia. I numeri, eloquenti, li fa la Fifa, con il suo annuale «Global Transfer Market» che analizza i trasferimenti compiuti dai circa seimila club professionistici di 200 federazioni, al netto dei movimenti «interni». Ebbene, nel 2013 si sono spostati da una nazione all’altra ben 12.309 calciatori, ma appena 1628 (il 14%) sono stati accompagnati da un esborso di denaro.
Ci si arrangia, insomma. Ma il tourbillon non si arresta. Il calcio moderno vive di viavai, di squadre ribaltate per puntare più in alto o per evitare di cadere più in basso. E per tanti club che per poter spendere devono prima incassare, ce n’è sempre qualcuno in grado di togliersi ogni capriccio, pescando dalle casse senza fondo di sceicchi arabi, oligarchi russi o corazzate spagnole favorite da ammiccanti legislazioni fiscali. Così, nonostante gli affari a costo zero continuino a crescere, a salire è anche il valore complessivo del mercato del pallone mondiale. Un autentico boom, quello registrato nel 2013: +41% rispetto a un 2012 in cui, al contrario, s’era verificato un -10% in confronto al 2011. In valore assoluto si parla di 3,7 miliardi di dollari, circa 2,7 miliardi di euro, con l’85% del totale che resta in Europa. E oltre il 10% stanziato per cinque soli colpi, quelli da record che hanno mosso Bale, Neymar, Cavani, Falcao e Ozil. Spese folli che, in parte, hanno alimentato il mercato di chi altrimenti non avrebbe potuto permettersi degli acquisti.
Ce ne siamo accorti anche in Italia. Nel 2012 la bilancia commerciale del nostro calcio aveva chiuso in attivo di circa 67 milioni di euro, mentre nel 2013 ha finito con un -28 milioni, spendendone 346 e incassandone 318. Comprensibilmente, chi ha operato di più con l’estero sono state le società che hanno svoltato ingaggiando un tecnico straniero. E allora, il Napoli di Benitez ha venduto benissimo Cavani al Psg ma ha speso ancor di più prendendo Higuain, Albiol, Mertens, Callejon e Rafael. E la Roma di Garcia ha investito parte dei soldi avuti per Marquinhos, Lamela e Osvaldo negli ingaggi di Strootman, Gervinho e del baby Jedvaj.
In generale, i club italiani sono stati come al solito attivissimi: 304 calciatori importati (+15% sul 2012) e 382 esportati (+12%). Solo gli inglesi hanno speso di più all’estero, solo gli spagnoli hanno incassato di più. Movimenti frenetici che fanno la felicità di una categoria: gli intermediari hanno incassato circa 158 milioni di euro in commissioni nel solo 2013. Senza contare la percentuale che spetta da contratto agli agenti sugli stipendi dei loro assistiti. Sono loro, procuratori e affini, a muovere i fili di questo grande circo che è diventato il mercato e a chiudere comunque in attivo. Loro e il Brasile, inesauribile fucina di talenti e Paese di migranti per vocazione e necessità: 1558 calciatori trasferiti nel 2013, più del doppio degli argentini. Carioca, paulisti e mineiri sono sempre di moda. Anche se non si chiamano Neymar, anche se non finiscono nelle leghe al top in Europa. Un sogno, un nome o un dribbling «made in Brazil» possono stregare chiunque. Specie quando il Mondiale verdeoro e le sue suggestioni sono ormai dietro l’angolo.