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 2014  gennaio 30 Giovedì calendario

SIENA, DALLA LIBERTÀ ALLO STATALISMO


Si dice spesso, e a ragione, che la storiografia è una riflessio­ne sospesa tra il passato e il presente. Ci si appassiona ad Atene o a Bisanzio solo se in quelle re­altà c’è qualcosa - e certamente c’è! ­che ancora parla a noi e investe il no­stro tempo. Non si tratta di falsificare quanto è avvenuto, piegandolo in modo «anacronistico» a esigenze contemporanee, ma semmai di co­gliere le persistenze, i nessi, le eredi­tà. Tutto questo risultaassai bene nel­l’ultimo lavoro che lo storico Mario Ascheri ha dedicato alla città di Sie­na ( Storia di Siena , edito dalla Biblio­teca dell’Immagine, euro 14), di cui ha tracciato lo sviluppo connetten­do le origini e l’attualità, delineando lo snodarsi dei molti secoli di tale vi­cenda in un racconto che tiene assie­me l’erudizione e la passione civile, dove la ricerca specialistica si unisce a un forte coinvolgimento nelle vi­cende degli ultimi anni.
Siena è un piccolo centro, ma la sua importanza va ben al di là del nu­mero degli abitanti: e questo non sol­tanto grazie al Monte dei Paschi e al­l’università. Nella storia medievale l’esperienza di Siena rappresenta qualcosa di assai specifico e l’eco di quella grandezza in qualche modo continua a risuonare oggi: non sor­prende che nel recente lavoro di Da­vid Gilmour sull’Italia -The Pursuit of Italy- ,finora non tradotto nella no­st­ra lingua forse perché esalta il loca­lismo contro il carattere artificioso dell’unificazione ottocentesca - uno spazio particolare sia riservato pro­prio alla città del Palio e di santa Cate­rina.
Da sempre attento cultore della propria città adottiva (le sue origini sono liguri), Ascheri offre un affre­sco che dalla fondazione giunge fino a oggi e che all’età contemporanea dedica pagine molto intense: dove la potente banca locale diventa un Mo­loch generoso di prebende e per que­stosoffocante, a causa di un intrec­cio tra politica, sindacalismo e affari evidenziato senza giri di parole. E co­sì il testo non manca di rilevare che «dal settembre 1983 al maggio 2011 tutti i sindaci di Siena sono stati di­pendenti del Monte e attivi come sin­dacalisti», aggiungendo come il «si­stema Siena» ponga problemi che vanno ben al di là delle inchieste giu­diziarie in corso.
A questo presente travagliato e in­certo (non è facile prevedere che ne sarà del Monte, in particolare), Ascheri oppone la grandezza che ca­ratterizzava la Siena medievale: una sorta di età dell’oro figlia di ben preci­se scelte strategiche, ma soprattutto di regole e pratiche che avrebbero an­cora molto da insegnarci.
Esaminare la vicenda senese nel suo massimo splendore significa, ad esempio, fare i conti con un governo cittadino che per una sua lunga fase non vide emergere figure di partico­lare rilievo e fu caratterizzato dal fat­to che migliaia di persone ebbero un ruolo di un qualche rilievo nella ge­stione delle cose comuni.
Per una significativa parte dellasua storia, insomma, Siena evita i go­verni aristocratici ed egualmente il dominio della plebe, costruendo un ordine «misto» in cui popolo e nobil­tà cooperano e interagiscono.
Soffermandosi su questa fase parti­colarmentegloriosa della storia se­nese, Ascheri ricorda come nella pri­ma metà del quattordicesimo seco­lo, e recuperando pratiche antiche, si facesse pure ricorso a metodi di se­lezione basati sul sorteggio. Introdot­to prima a Pisa e Firenze, questo siste­ma- detto dei «bossoli» - a Siena gio­cò certamente un ruolo non seconda­rio nell’evitare il consolidarsi di oli­garchiechiuse.Qui come altrove, Ascheri ci rac­conta il passato e intende pure inter­rogare i contemporanei, nella per­suasione che ogni epoca sia diversa e nessun passato vada idealizzato, ma egualmente convinto che le buone regole favoriscano il Buongoverno ­per ricordare le immagini di Ambro­gio Lorenzetti- e le pessime produca­no invece risultati di segno opposto.
Siena deve la sua bellezza, che oggi ne fa la meta di turisti provenienti da ogni parte del mondo, a vari fattori, ma in primo luogo ai secoli dell’auto­governoe quindi al suo aver potuto cercare da sé (in ampia libertà) la pro­pria strada verso la civiltà e la prospe­rità. È in questo modo che la città è di­ventata ricca con i commerci, la fi­nanza e le manifatture, ed è così che ha pure saputo costruire una serie di istituzioni volte all’assistenza tra cui spicca - certamente - lo Spedale di Santa Maria.
L’armonia degli affreschi di Palaz­zo Pubblico che ancora oggi affasci­nano tantivisitatori parla di un mon­doin cui c’è posto per il profitto, per la danza, per il lavoro dei campi, per gli scambi e per molte altre attività differenti, entro un quadro di forte in­tegrazione e cooperazione. Ma Ascheri enfatizza a più riprese come si capisca ben poco del miracolo se­nese medievale se non si avverte il ruolo che in tutto ciò ebbe la struttu­ra istituzionale e quindi, in primo luogo, l’assetto del Governo dei No­ve: la più alta espressione della liber­tà cittadina.
Vari studiosi (si pensi al classico te­sto di Jean Baechler sulle origini del capitalismo) hanno mostrato come gli assetti istituzionali medievali, ca­ratterizzati da una dispersione terri­toriale del potere e da una compre­senza di autorità destinate a limitar­si reciprocamente, abbiano favorito il successo dell’Europa e l’avvento della società di mercato.
L’interessante analisi di Ascheri aiuta a cogliere tutto questo parten­do dal microcosmo senese e descri­vendo pure una successiva (e oggi tanto marcata) parabola discenden­te a cui però, l’appassionato storico, non sembra assolutamente rasse­gnarsi.