Andrea Elefante, La Gazzetta dello Sport 30/1/2014, 30 gennaio 2014
MAZZARRI: «IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE»
Un libro aperto sul tavolo. Pagina 49. «Prima di iniziare, legga: ci tengo. Nelle pagine di questo capitolo ci siamo io e tutto il senso della mia carriera». Questa intervista a Walter Mazzarri inizia così: la prima «domanda» se l’è tenuta per lui, per dire che trova giusto, per capirlo meglio, parlare del presente partendo dal passato. A pagina 49 inizia il capitolo dedicato alla sua parentesi alla Primavera del Bologna, una stagione squarciata dalla tragica morte di Niccolò Galli e dal grave incidente che portò su una sedia a rotelle Enrico Spanarello, un altro suo giocatore. Per l’unica volta nella mia vita ho pensato di smettere, di abbandonare il mondo del calcio. Non me ne fregava più niente , scrive nel suo libro Mazzarri. «E in questi giorni l’ho riletto quel capitolo, sa?».
E le è servito a non buttarsi giù?
«Di sicuro, in confronto a quello che ho passato, le cose successe nell’ultimo mese sono nulla. Ma secondo lei sono uno che si butta giù?».
No, però lei scrive anche Mi sento spesso un incompreso, sebbene pienamente realizzato .
«Perché a volte mi pare di parlare nel deserto, e non mi riferisco all’Inter. E perché a volte, le situazioni che mi riguardano, non vengono valutate per come sono davvero. E qui ci può stare l’Inter: ancora ho il dubbio che non si siano capite fino in fondo le difficoltà di una stagione anomala come questa».
Diventata pubblica la sentenza con la penalizzazione per la Reggina, eravamo a Crotone, ho riunito la squadra, ho fatto sedere i giocatori per terra sul campo di allenamento e mi sono imbufalito così: “Da oggi non tollero che nello spogliatoio si parli di questa situazione. Da oggi non ci chiamiamo Reggina, non ci chiamiamo in nessun modo” . Ha mai pensato, in momenti di difficoltà come questo, di far sedere l’Inter per terra alla Pinetina?
«Certi input psicologici sono fondamentali: ci ho pensato, ma poi ho fatto altre cose e altre ancora credo di averne in tasca. Spero di poterle raccontare un giorno come strategie indovinate».
Moratti mi ha contattato, mi ha voluto, senza mai accennare all’argomento della cessione della società a Thohir. Gli avrebbe detto sì lo stesso, se avesse saputo con certezza?
«Non l’ho mai detto polemicamente né negativamente nei confronti di Moratti e infatti scrivo anche di non avergli mai chiesto nulla sull’argomento. Non lo nego: mi sono trovato di fronte ad uno scenario diverso da quello che avevo immaginato. Però con i se e con i ma non si fa la storia: come sempre, cercherò di trasformare in positivo una situazione imprevista e complicata. Per me questo è solo uno stimolo in più».
“Mazzarri, mi ascolti bene: un’annata come quella appena finita non la vivevo più da tanto tempo, e non ne sentivo la nostalgia. Ho bisogno di un tecnico come lei”. L’investitura di Moratti mi aveva appena reso immortale, carico come l’Enola Gay . Si sente ancora così, dunque?
«Ci sono ancora molti margini per valutare questa stagione in modo positivo, perché ci crediamo tutti. E già solo quello che mi hanno scritto i tifosi in Inter-Chievo (Non siamo stupidi, lo vediamo chi sta lavorando: avanti mister, ndr ) mi ripaga di tutte le difficoltà. I tifosi possono dare una forza che loro neanche immaginano».
Però non bastano, per far uscire l’Inter dal labirinto nel quale si è infilata nell’ultimo mese.
«Noi dobbiamo aiutarci da soli, mettendoci come minimo sullo stesso livello delle avversarie a livello di corsa e di attenzione. Per la condizione fisica, questa settimana lavoreremo sulla brillantezza; per il resto, va migliorata la lucidità nella ricerca della soluzione giusta, perché io la vera involuzione nel gioco dell’Inter trovo sia questa: non siamo più tranquilli nell’ultima giocata».
Per questo ha detto che oggi l’Inter gioca meglio fuori casa che in casa? O è un esorcismo viste le tre trasferte terribili che vi aspettano?
«Era un paradosso per dire che contro chi deve giocare, e dunque ci lascia più giocare, abbiamo sempre fatto bene. Squadre forti comprese. Noi adesso fuori casa abbiamo la Juve e poi la Fiorentina e la Roma: punto sulle partite in casa per affrontare con più forza e senza paura quelle in trasferta. Per questo abbiamo bisogno di tornare a giocare a San Siro sperando di trovare nel nostro stadio quello che c’è sempre stato, e che ci può essere d’aiuto a superare questo momento. Mi auguro che possa accadere il prima possibile».
Anche perché in casa della Juve può essere più dura... Spesso ai tecnici delle squadre avversarie non do neanche la mano e non è cattiveria. A volte semplicemente mi scordo di farlo. Un’ora e mezza prima della partita sono già in trance agonistica, non voglio parlare con nessuno. Divento un leone in gabbia, assatanato . Nel libro scrive anche che Conte è migliore di certe sue parole del passato, ma non è che domenica sera si dimentica di dargli la mano?
«E’ da un po’ che non me lo dimentico più, ormai con il tempo ho imparato. E poi io e lui ce la siamo già stretta quest’estate in America, quando ci siamo affrontati nella Guinness International Champions Cup, se è questo il problema».
Se la mia squadra vale 100 e ottengo 90, ho fatto male. Se vale 90 e ottengo 100, benino. Se vale 100 e ottengo 100, ho fatto quello per cui mi hanno pagato. Se vale 50 e ottengo 100, sono Mazzarri. Quanto vale questa Inter e quanto sta ottenendo Mazzarri?
«Quante vale lo dovete dire voi. A proposito di quello che stiamo ottenendo, dico che i conti li facciamo alla fine. Di sicuro, la partenza lanciatissima della squadra ha condizionato giudizi e parametri che invece io non ho mai perso di vista. A volte mi capita di pensare (e qui a Mazzarri scappa un sorriso, ndr): non è che il fatto di aver sempre dimostrato ai miei presidenti di poter fare cose fuori dalla norma, in termini di risultati sportivi e aziendali, sarà diventato una specie di boomerang per la mia carriera?».
Questa le successe quando la macchina Inter stava andando forse oltre i suoi limiti, la sera di Inter-Juve, uscito dallo stadio. Una signora, nella macchina di fianco, si stava sbracciando, sembrava volermi parlare. “Grazie mister per tutto quello che ha fatto per mio figlio”. “Scusi, ma lei chi è?”. “Sono la mamma di Alvarez”. Alvarez è stato il simbolo della nostra fuga dalle sabbie mobili . E ora che succede? Ci sta ricadendo?
«Qualsiasi giocatore, non solo Ricky, si esalta nelle certezze della squadra. E poi l’ingiusta espulsione di Napoli, il fatto di aver dovuto saltare il derby: cose che non gli hanno fatto bene. Alvarez deve solo sentirsi un po’ meno addosso il peso delle responsabilità che l’hanno investito, fare quello che faceva prima senza pensare a niente».
Ad inizio campionato lei giocava con una punta (Palacio) e Alvarez alle sue spalle: non è che le sta venendo il dubbio, ora che ha inserito la seconda punta (Milito) e i risultati non arrivano, che sia meglio tornare alla prima soluzione?
«Organizzazione, umiltà e rigore tattico: con questa ricetta siamo arrivati ad avere il miglior attacco del campionato. Fosse per me giocherei sempre con quattro punte, ma le valutazioni vanno fatte di volta in volta, per poi prendere decisioni tattiche che dipendono dagli equilibri che cerchi e da come stanno i giocatori. Anche gli attaccanti».
Una cosa del genere gliela disse Guardiola nel suo stanzino al Camp Nou, dopo il Trofeo Gamper 2011: Qui i primi a dover recuperare palla sono i nostri attaccanti, chi non lo fa resta fuori, i veri fuoriclasse sono quelli maggiormente chiamati al sacrificio .
«Ecco, appunto. E di sicuro, finora, la mia è stata una rincorsa alla disponibilità e alla miglior condizione degli attaccanti».
C’è la tendenza dei presidenti a spingere gli allenatori a fare quello che vogliono loro, con me non ci è mai riuscito nessuno: non sono uno yes man . Ci riesce anche all’Inter?
«Quando Pulvirenti o Spinelli provavano a mettere in dubbio quello che facevo, dovevo ancora dimostrare che sarei diventato quello che sono oggi. All’Inter finora non ho avuto bisogno di impormi, anzi in questa fase difficile ho sentito la volontà di affidarsi alla mia esperienza. Anche domenica scorsa e anche con Thohir: la sua fiducia continua ad andare oltre i singoli risultati del momento».
Ho comunicato a Foti che prima di prendere qualsiasi decisione (di esonero) avrebbe dovuto riguardare la partita insieme a me. Gli ho spiegato ogni cosa davanti al videoregistratore, azione per azione, minuto per minuto. Fermavo le immagini, le rimandavo indietro, era un replay continuo. “Mazzarri grazie. Oggi ho visto un’altra partita. Non la manderò mai via” . Le piacerebbe mettersi davanti al videoregistratore con Thohir o Moratti, per fargli rivedere una partita con i suoi occhi?
«Se ci sarà bisogno perché capirò che il mio lavoro non viene valutato nel modo giusto, lo farò. Ma all’Inter sono arrivato al mio decimo anno di A, con richieste importanti alle spalle, da vicecampione d’Italia: si fidano di quello che faccio e dico, finora non ce n’è stato bisogno».
Neanche di dire qualcosa a Icardi, che arriva allo stadio ascoltando musica a palla? Eppure: Prima di una partita il caos mi destabilizza, voglio il silenzio, l’unico rumore dev’essere il fruscio solo immaginato della concentrazione, mia e dei miei giocatori .
«Mettiamola così: so che i tempi sono cambiati e poi una cosa del genere l’avevo concessa anche in altre squadre. Ogni cosa che faccio dev’essere in funzione del gruppo e in questo caso ho capito che il gruppo questa cosa la prende nel modo giusto».
Prima di una partita, il silenzio. Dopo una partita, invece: Mi sono pesato e avevo perso due chili e mezzo. In partita evaporo. E mi consumo. Dopo il fischio finale ho il Cpk (enzima indicatore delle tossine muscolari) a 1100 quando il valore medio si aggira intorno a 200. Come se avessi corso dal primo all’ultimo minuto, recupero compreso. Da quanto non si misura il Cpk?
«Il mio modo di vivere la partita è sempre quello ma forse, se lo misurassi, oggi lo troverei un po’ più basso: l’esperienza, la sicurezza che ti vengono da quello che hai vissuto, servono a questo, a vivere le cose in modo un po’ più equilibrato. Più tranquillo, se così si può dire».
Servono anche a farle dire che di questa sua prima stagione all’Inter il meglio deve ancora venire?
«Si parla tanto dei codici che do ai miei giocatori, questo è un codice che mi sono dato da solo: nella mia carriera mi sono sempre aspettato qualcosa di meglio dal “giorno dopo” e tanto più me lo aspetto adesso. E che questo libro esca proprio in coincidenza con un momento così particolare e difficile della storia nerazzurra, lo considero per me e per tutti gli interisti un auspicio. Un buon auspicio».
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DAL NOSTRO INVIATOANDREA ELEFANTE
APPIANO GENTILE (Como)
Un libro aperto sul tavolo. Pagina 49. «Prima di iniziare, legga: ci tengo. Nelle pagine di questo capitolo ci siamo io e tutto il senso della mia carriera». Questa intervista a Walter Mazzarri inizia così: la prima «domanda» se l’è tenuta per lui, per dire che trova giusto, per capirlo meglio, parlare del presente partendo dal passato. A pagina 49 inizia il capitolo dedicato alla sua parentesi alla Primavera del Bologna, una stagione squarciata dalla tragica morte di Niccolò Galli e dal grave incidente che portò su una sedia a rotelle Enrico Spanarello, un altro suo giocatore. Per l’unica volta nella mia vita ho pensato di smettere, di abbandonare il mondo del calcio. Non me ne fregava più niente , scrive nel suo libro Mazzarri. «E in questi giorni l’ho riletto quel capitolo, sa?».
E le è servito a non buttarsi giù?
«Di sicuro, in confronto a quello che ho passato, le cose successe nell’ultimo mese sono nulla. Ma secondo lei sono uno che si butta giù?».
No, però lei scrive anche Mi sento spesso un incompreso, sebbene pienamente realizzato .
«Perché a volte mi pare di parlare nel deserto, e non mi riferisco all’Inter. E perché a volte, le situazioni che mi riguardano, non vengono valutate per come sono davvero. E qui ci può stare l’Inter: ancora ho il dubbio che non si siano capite fino in fondo le difficoltà di una stagione anomala come questa».
Diventata pubblica la sentenza con la penalizzazione per la Reggina, eravamo a Crotone, ho riunito la squadra, ho fatto sedere i giocatori per terra sul campo di allenamento e mi sono imbufalito così: “Da oggi non tollero che nello spogliatoio si parli di questa situazione. Da oggi non ci chiamiamo Reggina, non ci chiamiamo in nessun modo” . Ha mai pensato, in momenti di difficoltà come questo, di far sedere l’Inter per terra alla Pinetina?
«Certi input psicologici sono fondamentali: ci ho pensato, ma poi ho fatto altre cose e altre ancora credo di averne in tasca. Spero di poterle raccontare un giorno come strategie indovinate».
Moratti mi ha contattato, mi ha voluto, senza mai accennare all’argomento della cessione della società a Thohir. Gli avrebbe detto sì lo stesso, se avesse saputo con certezza?
«Non l’ho mai detto polemicamente né negativamente nei confronti di Moratti e infatti scrivo anche di non avergli mai chiesto nulla sull’argomento. Non lo nego: mi sono trovato di fronte ad uno scenario diverso da quello che avevo immaginato. Però con i se e con i ma non si fa la storia: come sempre, cercherò di trasformare in positivo una situazione imprevista e complicata. Per me questo è solo uno stimolo in più».
“Mazzarri, mi ascolti bene: un’annata come quella appena finita non la vivevo più da tanto tempo, e non ne sentivo la nostalgia. Ho bisogno di un tecnico come lei”. L’investitura di Moratti mi aveva appena reso immortale, carico come l’Enola Gay . Si sente ancora così, dunque?
«Ci sono ancora molti margini per valutare questa stagione in modo positivo, perché ci crediamo tutti. E già solo quello che mi hanno scritto i tifosi in Inter-Chievo (Non siamo stupidi, lo vediamo chi sta lavorando: avanti mister, ndr ) mi ripaga di tutte le difficoltà. I tifosi possono dare una forza che loro neanche immaginano».
Però non bastano, per far uscire l’Inter dal labirinto nel quale si è infilata nell’ultimo mese.
«Noi dobbiamo aiutarci da soli, mettendoci come minimo sullo stesso livello delle avversarie a livello di corsa e di attenzione. Per la condizione fisica, questa settimana lavoreremo sulla brillantezza; per il resto, va migliorata la lucidità nella ricerca della soluzione giusta, perché io la vera involuzione nel gioco dell’Inter trovo sia questa: non siamo più tranquilli nell’ultima giocata».
Per questo ha detto che oggi l’Inter gioca meglio fuori casa che in casa? O è un esorcismo viste le tre trasferte terribili che vi aspettano?
«Era un paradosso per dire che contro chi deve giocare, e dunque ci lascia più giocare, abbiamo sempre fatto bene. Squadre forti comprese. Noi adesso fuori casa abbiamo la Juve e poi la Fiorentina e la Roma: punto sulle partite in casa per affrontare con più forza e senza paura quelle in trasferta. Per questo abbiamo bisogno di tornare a giocare a San Siro sperando di trovare nel nostro stadio quello che c’è sempre stato, e che ci può essere d’aiuto a superare questo momento. Mi auguro che possa accadere il prima possibile».
Anche perché in casa della Juve può essere più dura... Spesso ai tecnici delle squadre avversarie non do neanche la mano e non è cattiveria. A volte semplicemente mi scordo di farlo. Un’ora e mezza prima della partita sono già in trance agonistica, non voglio parlare con nessuno. Divento un leone in gabbia, assatanato . Nel libro scrive anche che Conte è migliore di certe sue parole del passato, ma non è che domenica sera si dimentica di dargli la mano?
«E’ da un po’ che non me lo dimentico più, ormai con il tempo ho imparato. E poi io e lui ce la siamo già stretta quest’estate in America, quando ci siamo affrontati nella Guinness International Champions Cup, se è questo il problema».
Se la mia squadra vale 100 e ottengo 90, ho fatto male. Se vale 90 e ottengo 100, benino. Se vale 100 e ottengo 100, ho fatto quello per cui mi hanno pagato. Se vale 50 e ottengo 100, sono Mazzarri. Quanto vale questa Inter e quanto sta ottenendo Mazzarri?
«Quante vale lo dovete dire voi. A proposito di quello che stiamo ottenendo, dico che i conti li facciamo alla fine. Di sicuro, la partenza lanciatissima della squadra ha condizionato giudizi e parametri che invece io non ho mai perso di vista. A volte mi capita di pensare (e qui a Mazzarri scappa un sorriso, ndr): non è che il fatto di aver sempre dimostrato ai miei presidenti di poter fare cose fuori dalla norma, in termini di risultati sportivi e aziendali, sarà diventato una specie di boomerang per la mia carriera?».
Questa le successe quando la macchina Inter stava andando forse oltre i suoi limiti, la sera di Inter-Juve, uscito dallo stadio. Una signora, nella macchina di fianco, si stava sbracciando, sembrava volermi parlare. “Grazie mister per tutto quello che ha fatto per mio figlio”. “Scusi, ma lei chi è?”. “Sono la mamma di Alvarez”. Alvarez è stato il simbolo della nostra fuga dalle sabbie mobili . E ora che succede? Ci sta ricadendo?
«Qualsiasi giocatore, non solo Ricky, si esalta nelle certezze della squadra. E poi l’ingiusta espulsione di Napoli, il fatto di aver dovuto saltare il derby: cose che non gli hanno fatto bene. Alvarez deve solo sentirsi un po’ meno addosso il peso delle responsabilità che l’hanno investito, fare quello che faceva prima senza pensare a niente».
Ad inizio campionato lei giocava con una punta (Palacio) e Alvarez alle sue spalle: non è che le sta venendo il dubbio, ora che ha inserito la seconda punta (Milito) e i risultati non arrivano, che sia meglio tornare alla prima soluzione?
«Organizzazione, umiltà e rigore tattico: con questa ricetta siamo arrivati ad avere il miglior attacco del campionato. Fosse per me giocherei sempre con quattro punte, ma le valutazioni vanno fatte di volta in volta, per poi prendere decisioni tattiche che dipendono dagli equilibri che cerchi e da come stanno i giocatori. Anche gli attaccanti».
Una cosa del genere gliela disse Guardiola nel suo stanzino al Camp Nou, dopo il Trofeo Gamper 2011: Qui i primi a dover recuperare palla sono i nostri attaccanti, chi non lo fa resta fuori, i veri fuoriclasse sono quelli maggiormente chiamati al sacrificio .
«Ecco, appunto. E di sicuro, finora, la mia è stata una rincorsa alla disponibilità e alla miglior condizione degli attaccanti».
C’è la tendenza dei presidenti a spingere gli allenatori a fare quello che vogliono loro, con me non ci è mai riuscito nessuno: non sono uno yes man . Ci riesce anche all’Inter?
«Quando Pulvirenti o Spinelli provavano a mettere in dubbio quello che facevo, dovevo ancora dimostrare che sarei diventato quello che sono oggi. All’Inter finora non ho avuto bisogno di impormi, anzi in questa fase difficile ho sentito la volontà di affidarsi alla mia esperienza. Anche domenica scorsa e anche con Thohir: la sua fiducia continua ad andare oltre i singoli risultati del momento».
Ho comunicato a Foti che prima di prendere qualsiasi decisione (di esonero) avrebbe dovuto riguardare la partita insieme a me. Gli ho spiegato ogni cosa davanti al videoregistratore, azione per azione, minuto per minuto. Fermavo le immagini, le rimandavo indietro, era un replay continuo. “Mazzarri grazie. Oggi ho visto un’altra partita. Non la manderò mai via” . Le piacerebbe mettersi davanti al videoregistratore con Thohir o Moratti, per fargli rivedere una partita con i suoi occhi?
«Se ci sarà bisogno perché capirò che il mio lavoro non viene valutato nel modo giusto, lo farò. Ma all’Inter sono arrivato al mio decimo anno di A, con richieste importanti alle spalle, da vicecampione d’Italia: si fidano di quello che faccio e dico, finora non ce n’è stato bisogno».
Neanche di dire qualcosa a Icardi, che arriva allo stadio ascoltando musica a palla? Eppure: Prima di una partita il caos mi destabilizza, voglio il silenzio, l’unico rumore dev’essere il fruscio solo immaginato della concentrazione, mia e dei miei giocatori .
«Mettiamola così: so che i tempi sono cambiati e poi una cosa del genere l’avevo concessa anche in altre squadre. Ogni cosa che faccio dev’essere in funzione del gruppo e in questo caso ho capito che il gruppo questa cosa la prende nel modo giusto».
Prima di una partita, il silenzio. Dopo una partita, invece: Mi sono pesato e avevo perso due chili e mezzo. In partita evaporo. E mi consumo. Dopo il fischio finale ho il Cpk (enzima indicatore delle tossine muscolari) a 1100 quando il valore medio si aggira intorno a 200. Come se avessi corso dal primo all’ultimo minuto, recupero compreso. Da quanto non si misura il Cpk?
«Il mio modo di vivere la partita è sempre quello ma forse, se lo misurassi, oggi lo troverei un po’ più basso: l’esperienza, la sicurezza che ti vengono da quello che hai vissuto, servono a questo, a vivere le cose in modo un po’ più equilibrato. Più tranquillo, se così si può dire».
Servono anche a farle dire che di questa sua prima stagione all’Inter il meglio deve ancora venire?
«Si parla tanto dei codici che do ai miei giocatori, questo è un codice che mi sono dato da solo: nella mia carriera mi sono sempre aspettato qualcosa di meglio dal “giorno dopo” e tanto più me lo aspetto adesso. E che questo libro esca proprio in coincidenza con un momento così particolare e difficile della storia nerazzurra, lo considero per me e per tutti gli interisti un auspicio. Un buon auspicio».