Paolo Siepi, ItaliaOggi 30/1/2014, 30 gennaio 2014
PERISCOPIO
Con piglio renziano, LCdM ha detto: «Siamo stufi di arrivare secondi, ora vinciamo». Detto, fatto: «Subito problemi per la nuova Ferrari F14T. La Rossa costretta a fermarsi dopo appena un giro». Molto renziano. Maurizio Crippa. il Foglio.
Per la Russia l’Ucraina è sempre stata fondamentale. È il primo paese a cui Lenin ha dichiarato guerra nel dicembre 1917. E nel 1920, con il trattato di Riga, il Paese viene spartito tra l’Unione Sovietica, che si appropria della parte ovest e la Polonia che recupera l’est. Poi, con l’arrivo di Stalin, la Repubblica socialista sovietica d’Ucraina subisce, come altri territori, la politica di «russificazione». Per piegare le resistenze dei contadini ucraini, Stalin non esita a organizzare, tra il 1932 e il 1933, una terribile carestia che porta allo sterminio di circa 5 milioni di contadini, poi sostituiti da una popolazione russa. Non a caso l’attuale presidente Victor Janukowyc, russofono, parla con difficoltà l’ucraino. Stèphan Courtois, storico, autore del Libro nero sul comunismo. La Stampa.
La Danimarca fu occupata da Hitler «pacificamente» (il re e il governo rimasero in carica) dalla primavera del 1940. Quando però, nel 1943, cominciò a diffondersi la notizia di un rastrellamento degli ebrei danesi, scattò, immediata, un’operazione di solidarietà: per due settimane, gli ebrei vennero nascosti e aiutati dai cittadini comuni. Il bilancio è questo: su 7 mila ebrei, 6.500 riescono a salvarsi dalla deportazione raggiungendo la Svezia. Dunque ecco la risposta: opporsi era possibile. Bo Lidegaard, Il popolo che disse no. Garzanti.
Qualcuno, non propriamente in sintonia con il magistero di Papa Francesco, ha subito visto nell’aggressione del gabbiano alle colombe in piazza San Pietro il compimento della profezia dei san Malachia, con Francesco ultimo Papa prima della fine dei tempi; ha ricordato le profezie della beata Emmerick sulla distruzione della Chiesa quando a Roma ci sarebbero stati due pontefici. Tutto torna, dopotutto: il fulmine che colpisce la cupola di San Pietro il giorno in cui Benedetto XVI rinuncia al ministero petrino, la folgore che danneggia la mano del Cristo Redentore sul Corcovado di Rio de Janerio, Brasile, una settimana fa, e ora corvi e gabbiani che divorano le colombe papali. Matteo Matzuzzi. il Foglio.
Il giorno in cui Paolo Milano, prestigioso critico letterario de l’Espresso, ebreo, anziano e noto in società per essere un po’ troppo disinvolto di mano con le signore che frequentavano i salotti culturali, giudicò negativamente l’ultimo romanzo di Arrigo Benedetti (Il passo dei Longobardi), Benedetti reagì a bocca stretta: «Non importa» disse «Milano non è il Vangelo, è solo l’Antico Testamento». E Mino Guerrini, altro indimenticabile giornalista che arrivava sempre in redazione racchiuso in zimarre e lunghe sciarpe pappagallesche, per lui era il «pervestito». Carlo Gregoretti. Il Foglio.
Come passano lente le ore; il freddo aumenta con l’avvicinarsi della sera. Lassù non si è deciso ancora niente e gli spari si fanno sempre più radi, anche le raffiche sembrano stanche. Il cielo è tutto verde-celeste, immobile come il ghiaccio, gli alpini parlano poco e sottovoce fra di loro. Giuanìn mi si avvicina, mi guarda da sotto la coperta che si è tirato sulla testa, non dice niente e torna via. Vorrei chiamarlo e gridargli: «Perché non mi chiedi se arriveremo a baita?». È freddo e si fa sera, la neve e il cielo sono uguali. A quest’ora nel mio paese le vacche escono dalle stalle e vanno a bere nel buco fatto nel ghiaccio delle pozze. Dalle stalle escono il vapore e l’odore di letame e latte; i dorsi delle vacche fumano e i camini fumano. Il sole fa tutto rosso: la nevi, le nubi, le montagne ed i volti dei bambini che giocano con le slitte sui mucchi di neve: mi vedo anch’io tra quei bambini. E le case sono calde e le vecchie vicino alle stufe aggiustano le calze dei ragazzi. Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Einaudi.
Camminammo lungo stradine di periferia, silenziosi e affiancati. Lei che mi pareva altissima nel suo scialle nero, io vestito da principino, un po’ seccato perché, a quell’ora, nessuno poteva ammirarmi. Le poche lampade municipali erano state spente dalle sassate, ma nonna Imelde scambiava ugualmente i suoi «felicenotte» (e io pensavo: come si fa ad essere felici di notte?) con ombre frettolose perché la città era piccola e ci si riconosceva al buio. Guglielmo Zucconi, La divisa da balilla. Edizioni Paoline, 1987.
Il maresciallo di Cesano Maderno mi dice: «Certo, momenti brutti ne abbiamo passati. Verso la fine degli anni Sessanta, in una sola settimana, un decina di furti e rapine. Era un gruppetto di siculi, una cinquantina; avevano portato qui il “Mafia club”, quei cari ragazzi. Allora mi sono detto: al primo assalto di mosche, ci vuole subito il flit, l’insetticida-bomba che li fa secche. Così ho passato una notte in bianco, non mi vergogno di dirlo: una piccola notte di San Bartolomeo. Tutti cinquanta, un per uno, li ho portato qua in due o tre stanze. Una sgrullatina a ciascuno, a brutto muso. «Se voi tirate fuori il coltello» gli ho detto «io ne avrò uno sempre più lungo». Avesse visto l’effetto. Meglio della penicillina. Un mare quieto come l’olio. Quatti, quatti, i recidivi se la sono squagliata. Hanno cercato un clima più salubre». Nantas Salvalaggio, La provincia avvelenata. Mondadori, 1981.
Era furibondo. Diceva ai critici che, per forza di cose ci doveva essere uno iettatore in teatro. «Io so chi è» disse un signore molto anziano, molto serio. «L’ho visto, era in terza fila». E pronunciò un nome e la lettera iniziale del cognome. Tutti si toccarono il cavallo dei pantaloni. Don Alfredo diede pure una scrollata. Nantas Salvalaggio. Un uomo di carta. Rizzoli, 1968.
L’anno scorso, mentre sostituivo provvisoriamente la badante al capezzale di mia madre ormai devastata dall’Alzheimer, una notte, improvvisamente, udii provenire dal suo letto parole chiarissime, quelle stesse proibite parole che udivo da ragazzo, fino al compimento di un orgasmo che non ho avuto il coraggio di profanare, incatenato da una venerazione senza nome. Walter Siti, scrittore, vincitore del Premio Strega 2013. Corsera.
Qualcuno ci sorveglia mentre scriviamo. La madre. Il maestro. Shakespeare. Dio. Martin Amis, London Fields. Einaudi, 2009.
Invochiamo tanto la pace ma quella eterna ci sgomenta. Roberto Gervaso. il Messaggero.