Edoardo Narduzzi, Milano Finanza 30/1/2014, 30 gennaio 2014
MARCHIONNE NON HA CHIESTO UN EURO ALLO STATO
Quando Sergio Marchionne inizierà a investire in Italia? Vogliamo vedere i fatti dopo tanti annunci. La Fiat si prepara a lasciare Torino. E così, avanti con le critiche e i dubbi da parte di quell’Italia che sognerebbe di arroccarsi sui confini nazionali per evitare le sollecitazioni della globalizzazione.
Per loro, il numero uno della Fiat è il pericolo pubblico numero uno. L’esponente più attaccato alle cene della gauche caviar romana. Nessuno ricorda il fatto che Marchionne ha salvato la presenza dell’Italia nell’automobile, e lo ha fatto senza chiedere salvataggi o finanziamenti pubblici, senza aggravare un debito pubblico già sopra il 130% del pil.
Nessuno che rimarca la differenza con la Francia, ad esempio, visto che i cugini transalpini si ritrovano con lo Stato diretto azionista di tutte le imprese automobilistiche di Francia. L’ultima in ordine di tempo a essere stata ricapitalizzata con soldi pubblici (stranamente a Bruxelles nessuno solleva il problema che potrebbe trattarsi di aiuto di Stato discorsivo della concorrenza) è stata la Peugeot nella quale adesso il governo francese detiene ben il 14% delle azioni con diritto di voto.
Marchionne, invece, ha affrontato la duplice crisi, del comparto motoristico europeo e della Fiat come gruppo autonomo, sfuggendo al provincialismo dei corridoi romani. Non è andato con un cappello in mano a chiedere i soliti finanziamenti statali, né ha brigato per avere la Cdp o la Repubblica italiana come azionista, calando sul tavolo il solito ricatto occupazionale. Il numero uno di Fiat ha preferito giocare una partita globale. Si è preso dei rischi elevati (del resto quando non hai tanta cassa o tanta carta da utilizzare per fare acquisizioni tante altre opzioni non ne hai) ed è andato a cercare il futuro della Fiat nel mercato automobilistico più competitivo al mondo, quello Usa. È vero, non ha investito per rinnovare il portafoglio prodotti in maniera decisa, ma è altrettanto vero che se lo avesse fatto, vista la debolezza della domanda italiana e la dipendenza delle vendite di Fiat dal mercato nazionale, il ciclo economico non avrebbe di certo ripagato i suoi investimenti.
La Fiat di Marchionne, pronta a riportare in borsa anche la controllata Chrysler, oggi è una public company sicuramente internazionale, già forse globale nella cultura del management e nel modo con il quale declina la strategia e interagisce con la domanda del mercato. Si tratta di un fatto importante per un’Italia troppo incline a piangersi addosso e a dribblare i costi delle ristrutturazioni che la globalizzazione impone.
Tra poco Marchionne inizierà anche a creare nuova occupazione in Italia, ma difficilmente le critiche verso di lui diminuiranno, perché ha avuto la sfrontatezza di far capire agli italiani che possono giocare e vincere nel mare aperto del business.