Corrado Augias, la Repubblica 30/1/2014, 30 gennaio 2014
SCAJOLA, PERCHÉ QUELLA SENTENZA NON CHIUDE IL CASO
Gentile dottor Augias,
l’ex ministro Scajola dice che finalmente è finito un incubo, accusa giornalisti e politici d’averlo messo alla gogna. Ma non dice una parola sul perché una ingente somma di denaro è passata, a sua insaputa, alle venditrici versata tramite prestanome dall’imprenditore Anemone. Come mai Anemone è stato così generoso? Non sapeva che farsene di 900 mila euro e se n’è disfatto volentieri? Ma se voleva fare beneficenza, non poteva dare quei soldi ad un comune mortale o regalarli a qualche ente benefico? E invece li ha dati proprio a Scaiola? Non sarà reato ricevere soldi a propria insaputa ma resta il fatto di un gesto incomprensibile e senza che Scajola abbia fornito una qualche giustificazione, non dico giuridica, anche generica di un tale regalo.
Marisa Tolomeo
Scajola fa bene ad esultare per l’assoluzione, però non dovrebbe esagerare. Dimentica che nella stessa sentenza Diego Anemone — un imprenditore che fa parte della cosiddetta “cricca” degli appalti — è stato prescritto; ovvero, il reato c’era ma è passato troppo tempo per poterlo perseguire. Andiamo con ordine perché la storia resta succosa e con aspetti paradossali. L’ex ministro è stato impiccato a una frase ridicola: una casa comprata a sua insaputa. È probabile che quelle parole le abbia dette male o sia stato frainteso; voleva dire una cosa diversa, anche se in una successiva memoria l’espressione “a sua insaputa” è stata — saggiamente — tolta. L’acquisto andò così. Le due proprietarie dichiararono un incasso di 1.700.000 euro, prezzo adeguato al mercato per un appartamento con vista Colosseo, anche se ad un piano basso. Di quel prezzo: 850 mila vennero pagati con assegni riconducibili a Scajola; i restanti 900 mila con 80 assegni circolari versati da un architetto al soldo dell’imprenditore Anemone (il prescritto).
Di quel giro Scajola non s’avvide né dal notaio né in seguito, dunque dolo non c’è, questo ha accertato il giudice e leggeremo nelle motivazioni perché. Resta una domanda di fondo: perché un tipo svelto come Anemone sente il bisogno di integrare con quasi un milione di euro l’acquisto di un potente uomo politico? Ammettiamo che Scajola non si sia davvero reso conto che il prezzo era inadeguato e che dunque quel passaggio sia realmente avvenuto “a sua insaputa”. Ma quando finalmente ha scoperto com’era andata la faccenda, Scajola avrebbe dovuto fare una vibrante telefonata ad Anemone rimproverandolo per quel gesto ingiustificato e improvvido. E anche adesso, a sentenza emessa, gli resterebbe una reazione, elementare nella sua semplicità. Andare da Anemone e sbattergli sul tavolo quel milione accompagnando l’azione con adeguate parole. È possibile che dopo la vendita dell’appartamento questo avvenga. Aspettiamo, vediamo che succede.