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 2014  gennaio 30 Giovedì calendario

BERNANKE COME FRANKENSTEIN


La fine del mandato di Ben Bernanke alla guida della Banca centrale americana è il naturale momento per stilare una pagella. Bernanke si merita un voto complessivo di sufficienza (6), che è la media delle sue pessime scelte prima della Grande crisi (4), dell’efficace azione durante la crisi (8) e infine di una condotta poco coraggiosa dopo la crisi stessa.
Nelle scelte di politica monetaria e bancaria, Bernanke ricorda molto il dottor Frankenstein: prima ha contribuito a creare un mostro – la finanza ombra – ma poi ha avuto almeno il merito di ingabbiarlo; infine però, invece di iniziare a smontarlo, a preferito continuarlo a nutrirlo, lasciando ad altri – la Yellen? – l’onere di affrontare il problema.
Per valutare le scelte fatte da Bernanke nelle tre diverse fasi storiche, occorre subito ricordare le regole del gioco in cui si muove qualunque banchiere centrale statunitense. Ruolo e poteri della Fed si caratterizzano per due aspetti: nella politica monetaria non esiste un obiettivo primario; inoltre, la banca centrale è pesantemente coinvolta nella gestione della politica bancaria di regolamentazione e supervisione. Insomma, è un creatore di moneta senza mandato, con in più rilevanti poteri bancari. I due aspetti concorrono insieme a dare al banchiere americano un’ampia discrezionalità. La discrezionalità di un banchiere centrale è però un’arma a doppio taglio: da un lato, aumenta la sua flessibilità, compresa la capacità di assumersi rischi; dall’altro lato, aumenta la sua debolezza nei confronti delle pressioni che possono arrivare vuoi dalla politica, vuoi dalle grandi banche e dalla finanza. La vicenda di Bernanke è emblematica.
Il Bernanke prima della crisi verrà ricordato come uno degli autori – inizialmente in coabitazione con il suo predecessore Alan Greenspan – dell’azzardata politica monetaria e bancaria che ha costituito il detonatore prima e il propellente poi della Grande crisi. Negli anni che vanno dall’inizio del millennio al 2007, la politica della Fed è stata eccessivamente espansiva dal lato della gestione dei tassi di interesse ed eccessivamente lassista per quel che riguarda la politica di regolamentazione e vigilanza bancaria. La stella polare della fase lassista della Fed è stata nei fatti la crescita illimitata del debito privato, in tutte le sue possibili forme. La crescita del debito doveva essere funzionale a una crescita economica stabile ed equilibrata: dare a tutti la possibilità di indebitarsi sembrava la forma insieme più efficiente e democratica di disegnare la politica finanziaria; quindi bassi tassi e deregolamentazione dovevano andare a braccetto. L’effetto aggregato è stata la crescita straordinaria della cosiddetta finanza ombra, caratterizzata da dimensioni inedite, complessità crescente e interconnessione sempre più profonda con le banche tradizionali, quelle cioè il cui debito viene utilizzato come mezzo di pagamento.
La discrezionalità del banchiere centrale americano ha creato un Frankenstein, che sicuramente non è dispiaciuto né alla politica né ovviamente alla finanza di Wall Street. Bernanke ha grandi responsabilità nell’avere prima assecondato, e poi proseguito e anche difeso la politica del suo predecessore. Emblematici esempi dell’incapacità di Bernanke di ripristinare una gestione ordinata sono l’espansione monetaria a ridosso della crisi e l’ondivaga gestione delle crisi bancarie - si salva Bear Stearns, si lascia fallire Lehman Brothers.
La politica della Fed si è allontanata da una regola prudente, assumendo i rischi di creare una bolla, nella convinzione che fossero bassi i rischi sia di una bolla inflazionistica che di una finanziaria, essendo i mercati sempre più spessi ed efficienti. La prima convinzione era giusta, la seconda purtroppo completamente errata.
Esplosa la crisi nel 2008, Bernanke ha saputo gestirla in modo molto efficace. L’eccesso di lassismo aveva portato il sistema a una crisi sistemica; in una tale situazione, ci sono due possibilità: cercare di correggere subito l’eccesso di lassismo, passando a una politica monetaria restrittiva; ovvero accomodarlo, cercando di far passare la crisi di fiducia attraverso ulteriori iniezioni di liquidità. Negli anni Trenta la Fed aveva scelto la prima opzione, compiendo un clamoroso errore: quando il sistema economico è talmente avverso al rischio da avere una sete di liquidità insaziabile, negargliela può essere fatale. In una trappola della liquidità – geniale intuizione di Keynes – la politica monetaria non può che essere espansiva, per ripristinare la stabilità finanziaria, mentre a nulla serve in termini di crescita economica, che va stimolata con altre politiche. Bernanke ha correttamente scelto la seconda opzione, facendo assumere all’espansione monetaria connotati inediti in dimensione e modalità, inclusa l’assunzione di rischio. Continuando nella metafora, sarebbe stato verosimilmente impossibile e dannoso per tutti uccidere Frankenstein; meglio nutrirlo.
Passata la fase più critica della crisi finanziaria, occorreva affrontare un suo frutto altrettanto doloroso: la recessione economica. Con il passare dei mesi, la politica della Fed veniva messa davanti a un bivio: continuare ad alimentare Frankenstein, o provare a smontarlo? Ovvero: continuare ad alimentare la trappola della liquidità, ovvero disegnare un percorso di uscita? La seconda opzione avrebbe significato scelte ben precise sia nella politica monetaria che in quella bancaria. Nella politica monetaria, si sarebbe potuto ripristinare una regola sui tassi a lungo termine, mantenendo un orientamento espansivo. Nelle regole bancarie, occorreva agire, direttamente e indirettamente, per ridurre sia la complessità della finanza ombra che le sue interconnessioni con le banche tradizionali. La politica monetaria è rimasta passivamente ultra espansiva, e la regolamentazione è ancora lassista. Come prevedibile, l’effetto sulla crescita è stato incerto e decrescente; sicuramente positivo invece quello sui profitti dell’industria bancaria e finanziaria. L’ignavia della Fed è stata premiata dalla politica: la riforma Dodd Frank ha aumentato i poteri della banca centrale. La discrezionalità, se è accondiscendente, evidentemente paga. Rimane il problema di capire come gestire Frankenstein; ma questo è un problema che non riguarda più Ben Bernanke.