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 2014  gennaio 30 Giovedì calendario

PREFERENZE E DEMAGOGIA


Siamo ancora ai guelfi e ai ghibellini. Con i guelfi che stanno dalla parte delle preferenze e i ghibellini che vogliono le liste bloccate. Come se le une e le altre fossero il male assoluto. E invece sono solo strumenti.
Strumenti che vanno valutati sulla base dei loro possibili effetti nei contesti in cui vengono utilizzati. È dal contesto che bisogna partire e non dai principi sulla rappresentanza tradita o sulla sovranità popolare lesa. Ma in un Paese in cui prevale ancora da una parte l’ideologia e dall’altra il rispetto di norme giuridiche astratte, un ragionamento laico fondato sulla analisi della realtà dei fatti trova poco spazio. E così dilagano retorica e demagogia alla ricerca di facili consensi.
In Italia le preferenze si usano. Nei comuni, nelle province e nelle regioni gli elettori possono scegliere i candidati perché i sistemi elettorali usati non prevedono le liste bloccate. Il risultato che ne viene fuori fotografa un Paese diviso. Gli elettori delle regioni del Nord e del Centro le usano poco. Quelli delle regioni del Sud ne sono convinti sostenitori. Non c’è differenza tra destra e sinistra. È un fatto ambientale. In Basilicata, regione di sinistra, il tasso di preferenza alle ultime regionali del 2010 è stato del 85,9%, in Calabria, regione tendente a destra, è stato dell’84,1%.
Questa differenza Nord-Sud pesa, e non poco. Prendiamo il caso della Lombardia. Qui alle ultime elezioni regionali nel febbraio del 2013 solo il 12% degli elettori che hanno espresso un voto valido ha usato la preferenza. Questo vuol dire che questa minoranza del 12% ha deciso chi è entrato in consiglio regionale. La volontà di poche migliaia di persone ha prevalso su quella della stragrande maggioranza dei votanti. Né vale il ragionamento per cui chi non usa la preferenza ha torto. L’elettore che vota solo per un partito e non usa la preferenza è un elettore che accetta i candidati proposti dal partito nell’ordine proposto dal partito. Certo, è cosa diversa se questo comportamento è frutto di convinzione o di indifferenza, ma questo non si può stabilire a priori. Perché dunque la "preferenza" di questi elettori per la lista decisa dal partito dovrebbe essere cancellata dalla preferenza espressa da poche migliaia di persone che cambiando l’ordine della lista decidono per tutti? È questo il rispetto della sovranità popolare? O è invece l’opposto?
Paradossalmente, da questo punto di vista, la situazione è migliore al Sud dove la grande maggioranza degli elettori fa uso della preferenza. Quando tutti, o quasi, la usano questa cessa di essere lo strumento di pochi per sovvertire l’ordine deciso dal partito. Diventa una delle regole del gioco. Ma questo uso massiccio della preferenza nelle regioni meridionali pone altri problemi. Come mai al Nord si usa meno che al Sud? Meglio ancora, perché al Sud si usa tanto? Al lettore la facile risposta.
Quelle esposte, o sottintese, sono solo alcune delle ragioni per cui dovrebbe sorgere qualche dubbio sulla bontà del voto di preferenza. Poi ci sono le altre ragioni più volte menzionate: costo delle campagne elettorali, rischi di corruzione, ulteriore indebolimento dei partiti che diventano reti di comitati elettorali dei candidati. Non è un caso che il voto di preferenza come lo vogliono i nostri guelfi esista solo in Grecia. Nelle altre democrazie europee ci sono i collegi uninominali, le liste bloccate o le liste flessibili. Vorrà pur dire qualcosa.
E veniamo alla attuale proposta di riforma elettorale. Se passa così come è oggi, gli elettori si troveranno in mano una scheda elettorale con l’indicazione dei nomi dei candidati proposti dai partiti. I candidati saranno 4 o 5 perché questa sarà la dimensione del collegio. Ma nella stragrande maggioranza dei casi i candidati eleggibili saranno uno o due. In molti collegi i partiti, quelli piccoli in particolare, eleggeranno un solo candidato. Questo vuol dire che di fatto i collegi saranno in gran parte binominali e per certi partiti addirittura uninominali. In altre parole gli elettori sapranno che se scelgono un dato partito danno un voto che servirà a eleggere il primo e il secondo candidato della lista. Se questi candidati piacciono bene, altrimenti non voteranno quel partito.
È cosa tanto diversa da quella che avveniva (e avverrebbe) con i collegi uninominali maggioritari della Mattarella? Anche in quel caso non erano gli elettori a scegliere chi si presentava nel loro collegio. Così come non saranno loro a scegliere quali candidati entreranno in lista oggi o domani. E che valore ha il voto di preferenza se in lista non ci sono candidati graditi? Questo per dire che il vero nodo è la selezione dei candidati che i partiti mettono in lista o nel collegio. E ciò non ha nulla a che vedere con l’attuale diatriba tra guelfi e ghibellini.