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 2014  gennaio 29 Mercoledì calendario

LE PECORE DI WALL STREET

E così questo era il famoso lupo di Wall Street. Uscendo dal cinema in una notte romana, ascolto e mi ascolto fare i commenti più scontati. «Dura mezz’ora di troppo». «Però è una festa cinematografica e ha saputo usare tutti i possibili linguaggi visivi». «Con lui DiCaprio è davvero cresciuto». «E che coraggio farsi vedere con una candela tra le chiappe». «Troppa coca, troppo sesso». «Ma è questo che si compra chi ha troppi soldi. Non hanno ancora inventato niente di meglio». «E il potere?». «Tutti quelli che ce l’hanno lo usano per ottenere coca e sesso. Voglio dire: vai ai summit con Putin per far vedere il video a quattro zoccolette di Spinazzola». «Sì, però la storia del film ti dimostra che fine si fa». «Manco tanto brutta: quello si è rivenduto i diritti della sua storia di truffatore, mentre le sue vittime...».

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Cammino Controvento e penso che c’è qualcosa che non torna. È nel modo in cui ci raccontano la storia. Ci indicano il dito che indica la luna e noi guardiamo il dito, non per inclinazione ma per educazione.
Metti che tu torni a casa e hai un bambino di cinque anni. Quello ti domanda: «Di che cosa parlava il film?». Tu rispondi: «Di un signore che diventa cattivo perché vuole troppe cose e per averle se ne frega di tutte le regole. Ma alla fine lo prendono e lo mettono in prigione». Quel bambino crederà che esiste un sistema. Al suo interno possono generarsi delle anomalie per colpa di un virus, quello dell’avidità, che può essere isolato. Il sistema prevede infatti degli anticorpi, che individuano le cellule infette, ne bloccano lo sviluppo e consentono all’organismo di risanarsi. Che favoletta.
E pensare che due scene del film raccontano la verità. Nella prima DiCaprio, nei panni di Jordan Belfort, spiega alla sua squadra di broker come intortare il cliente. Prende il telefono e convince un qualsiasi postino o elettricista a investire i risparmi in azioni spazzatura. Nel farlo mima gesti osceni e, appena ha riappeso, insulta quello che poco prima era un amico da chiamare ossessivamente per nome.
Ora: il dito è questo broker fuori controllo, perfettamente consapevole che sta proponendo investimenti senza un dopodomani. Ma la luna è la persona all’altro capo del telefono, sono le migliaia di persone all’altro capo del telefono. Se i Belfort del mondo avessero infarloccato un risparmiatore a testa sarebbe diverso. Lo hanno fatto con migliaia ciascuno, milioni in totale.
Un coscienzioso artigiano e padre di famiglia riceve una telefonata da uno sconosciuto che gli promette rendite del 50% su titoli mai sentiti nominare e gli affida il portafoglio? Davvero? Non è solo una scena del film. È accaduto: una, cento, un milione di volte. Bernie Madoff praticava lo schema di Ponzi. Il suo seguace dei Parioli pure. Interessi semestrali in doppia cifra. E ci sono caduti a frotte. Gente istruita, persone altolocate.
Mai sentito Ponzi? Ma voi ve lo meritate Alberto Sordi! E vi meritate Vanna Marchi! Ho visto sfilare al processo le «vittime» di Nostra Signora delle Alghe. Le spedivano migliaia di euro per avere del sale da sciogliere in acqua. Lo scopo della pozione non era guarire un parente terminale: in quel caso ogni credulità sarebbe stata scusabile. Era ottenere una vincita al lotto. Ma se lo meritavano il Mago do Nascimento!
Se l’avidità appartenesse soltanto al fantasioso personaggio di Gordon Gekko (il protagonista di Wall Street, ndr) potrebbe essere, come lui sostiene, «una cosa buona». Perché sarebbe estirpabile, dando un esempio. Se appartiene a milioni di persone, diventa un difetto della specie. Non la si combatte arrestando Jordan Belfort o Vanna Marchi. Bisognerebbe dire, a tutti i cresciuti bambini di cinque anni, la verità (ma davvero non la conoscono già?).
Scorsese lo fa, nell’altra scena chiave del film. La mette però all’inizio, così non sembra la morale, ma un trascurabile prologo offuscato dal «lieto fine». DiCaprio-Belfort va a pranzo con il suo mentore, impersonato da Matthew McConaughey. Tra un martini e l’altro quello gli rivela i fondamenti del sistema. Non ci sono regole né strategie. Non ci sono virus o anticorpi. Né buoni né cattivi. È tutto fasullo. È soltanto aria. Nella versione originale usa un termine slang reso famoso da un altro film, Donnie Brasco. Al Pacino mostra a Johnny Depp un gioiello e quello gli dice: «Fugazi», fasullo. «It’s all fugazi», spiega il mentore di Belfort. Lo dice sorridendo, muovendo le mani come braccia come se svolazzasse sopra il Mar dei Fugazi. «Il Nasdaq sta risalendo verso la storica quota 5.000». «Le nuove Ipo hanno fatto boom». «Due cucchiai di zucchero in un bicchiere di lavanda, poi misura la lunghezza del riflesso e giocati la cifra sulla ruota di Venezia». «Fugazi, fugazi, it’s woozy, it’s wazy, fairy dust». Polvere magica, residui di una favola senza lieto fine.
Belfort, Madoff, Ponzi, la Borsa, il casinò di Campione, la libera iniziativa in libero mercato, gli organi di controllo, il job act, the other job. Fugazi. Polvere senza magia. All’ingresso di Wall Street andrebbe messo un cartello di pericolo. L’indicazione non dovrebbe essere: attenti al lupo. Piuttosto: attenti alle pecore.