Fabio Poletti, La Stampa 29/1/2014, 29 gennaio 2014
IO CHE VIVO FACENDO LA CODA PER GLI ALTRI
Stanco di aspettare un lavoro, stanco di mandare curricula, stanco di inutili promesse, si è messo in coda ad aspettare, facendosi pagare da chi è assai stanco di fare le file. «Chiedo dieci euro l’ora. Emetto pure ricevuta fiscale. Il mercato è in crescita», quasi si bea della burocrazia e dell’Italia che non funziona e forse mai ha funzionato Giovanni Cafaro, 42 anni, salernitano da dodici anni a Milano, una laurea in Scienza della Comunicazione e un lavoro che si è inventato da solo, quello di uomo paziente.
«Io sono quello che si mette in fila per chi non ha voglia e non ha tempo. Banche, assicurazioni, poste, asl... Non mi faccio mancare niente. Le file per pagare l’Imu sono il mio pane», giura lui, aria distinta da professionista, occhialini di metallo e borsa di cuoio sotto il braccio.
Sembra un manager. È solo un uomo perennemente in coda. Siccome la pubblicità è l’anima del commercio ha inondato Milano con 5 mila volantini gialli e blu per dare nell’occhio: «La tua coda allo sportello? Da oggi la prendo io».
In un mese giura di avere ampliato la clientela milanese in modo esponenziale. Ma assicura che tutti lo vogliono. «Mi hanno chiamato da Rimini, La Spezia e Napoli... Se va bene mi allargo e metto su un’agenzia», sogna ed è l’unica cosa che costa niente nella città degli affari dove l’economia gira a singhiozzo, mentre lui gira il caffè in un bar vicino a Piazza Affari dopo una mattinata in coda a Equitalia. La sua non è nemmeno una storia con la S maiuscola.
A luglio dell’anno scorso l’azienda di abbigliamento per cui lavorava come direttore marketing chiude e va all’Est, molto più a Est che a Trieste per capirci. «Avevo un affitto da pagare e niente stipendio. Per fortuna non ho famiglia». Ma prima di finire nella categoria “bamboccioni” a carico della sua famiglia rimasta a Salerno, le ha tentate tutte. Cinquecento curricula inviati.
Meno di dieci risposte. Meno di cinque colloqui. Zero speranze e mille promesse scritte nel vento. «Allora il lavoro me lo sono inventato. So l’inglese e ho una laurea ma non ci penso proprio ad andare all’estero. Sarebbe una sconfitta. Sarebbe come gettare la spugna. Il futuro è qui. Il mio futuro è qui».
Alla fine i politici che lamentano la mancanza di investimenti dall’estero perché gli stranieri sono spaventati dalla burocrazia sono i suoi più grandi sponsor. «La burocrazia in Italia è micidiale. Troppe scadenze. In coda c’è gente che si fa prendere dai nervi, di qua e di là dagli sportelli. A volte basterebbe fornire informazioni corrette per snellire le pratiche. Non siamo ancora un Paese 2.0». L’uomo in coda è molto più avanti. Per farsi conoscere ha un profilo su Facebook, due telefonini – uno gli serve per lavorare, l’altro è per la vita privata, mania tipica degli uomini d’affari – e molto presto un sito. Ma per ora va forte il passaparola. «Ci sono uffici dove, almeno di vista, già mi conoscono. A Equitalia sono di casa. E poi parlo con la gente». Cioè i potenziali clienti perché una o due ore di coda alla fine le fanno tutti e nessuno vorrebbe. «Io le faccio per loro. Chiedo 10 euro l’ora. Un prezzo giusto. Molto meglio quando riesco a sommare più clienti in una sola coda».
Ma nel Paese dei furbetti, figuriamoci in coda davanti al fisco, Giovanni Cafaro tiene la barra dritta. «Più o meno sono contattato da due clienti al giorno ma il lavoro è in crescita. La gente si fida, so di fare un servizio utile. A tutti consegno la ricevuta fiscale. Lavoro in ritenuta d’acconto. Prestazione d’opera. Se va bene apro la partita Iva». E se per caso dovesse andare «male», questo Paese uscisse dalle sacche della burocrazia e iniziasse a macinare efficienza e profitti tirando su la schiena?
L’ex disoccupato assai occupato si allarga in un sorriso: «Cercherei di fare altro. Mi auguro per tutti noi che finisca così». Ma si capisce che non ci crede nemmeno un po’ neanche lui.