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 2014  gennaio 29 Mercoledì calendario

ECCO LE VERE INTERCETTAZIONI DI RIINA


Una parte del quadro, a Palermo, l’ha coraggiosamente riassunta Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera del 18 gennaio: «Le minacce di Riina, sostiene più di un pm, sono state utilizzate anche mediaticamente per rilegittimare un processo che era stato incrinato». Parla del processo sulla «trattativa»: incrinato, appunto, dall’assoluzione del generale Mori per la presunta mancata cattura di Provenzano nel lontano 1995; va ricordato che Mori ora è imputato anche per la «trattativa» e che gran parte delle fonti di prova sarebbero le stesse. Ma non è tutto qui. Ci si arrovella ancora sulle sparate senili di Riina: erano spontanee o sapeva di essere intercettato?
Da un certo punto in poi - dal 13 novembre - è certo che Riina era consapevole: lo si apprende dalle stesse intercettazioni, basta leggerle bene. Non deve averlo fatto il vicedirettore dell’house organ di Di Matteo, Marco Travaglio, che ha scritto il 18 gennaio: «Riina ha minacciato di morte Di Matteo sapendo di essere intercettato». Ma ha poi scritto il 24 gennaio: «Altri insistono su una versione che all’inizio pareva probabile, ma che la lettura delle carte rende implausibile: quella di Riina che lancia messaggi farlocchi sapendo di essere intercettato». Travaglio, quindi, ha cambiato idea dopo «la lettura delle carte»: ma ci aveva azzeccato quando non le aveva lette. Preoccupante. Per capirne di più senza fidarci dei riassunti di altri giornali – Il Fatto Quotidiano in primis – abbiamo riletto i brogliacci delle intercettazioni pagina per pagina. E le sorprese non mancano.
LA MINACCIA CHE NON C’È
Lette per intero e contestualizzate, certe frasi, appaiono molto diverse da certi titoli sparati su stampa e televisione. Anzitutto va ripetuto che Riina - a molti potrebbe essere sfuggito, visto che all’inizio non era chiaro - pronuncia le sue «minacce» ben consapevole di essere intercettato: lo dimostra il passeggio del 13 novembre. Alberto Lorusso: «Stamattina è uscita la notizia vostra... Riina minaccia il pm Di Matteo». Riina: «Sentono le parole di qua? (con la mano sinistra indica verso la telecamera)». Lorusso: «E stanno vedendo se mandare una protezione seria a Di Matteo». Riina: «Ma come minaccio, come minaccio (ride ironicamente), io non sono a 41bis?». Lorusso: ... un pentito dice che è arrivata la polvere da sparo per lui». Riina: «Ah, un pentito... eh, certo... hanno sempre gatte da pettinare, non sono mai tranquilli, mai». Lorusso: «Per mantenere viva la situazione... ». Il giorno dopo, 14 novembre, Riina dice che di Di Matteo gli importa assai poco: «Ma minchia è questo Di Matteo... gli vorrei chiedere: ma chi minchia è, me lo vuoi dire chi minchia è?... Per me, un pelo di coglioni è... fanno propaganda loro, fanno tutte queste cose loro... ». Sempre quel giorno (pagina 10 delle intercettazioni) Lorusso racconta ancora a Riina: «Altri telegiornali poi dicono che la guardia ha sentito dirvi a voi queste cose ed ha relazionato ... altri telegiornali dicono che voi gridavate a un altro detenuto questo fatto che voi volevate uccidere Di Matteo». E Riina che fa? Ride. Si legge proprio così: «Ride». Poi ancora (pagina 17) Lorusso su Di Matteo: «Stanno vedendo per darle (dargli, ndr) un rifugio segreto, per metterlo in un rifugio segreto... ». Riina: «Ah, lo debbono mettere in un rifugio segreto, mannaggia la morte... ride». Lorusso: «Lo ha detto la televisione». Riina: «Ninci parla più nessuno con questo... ride.... povero giudice... ». Lorusso: come voi avete detto: ma chi minchia è.... subito gli hanno dato la località segreta. Dite mezza parola e questi... ».
Insomma, Riina - un generale senza più esercito, capo di una mafia che non esiste più - mostra verso Di Matteo lo stesso atteggiamento che mostrava verso Matteo Messina Denaro: mostra di non conoscerlo, non sa praticamente chi sia. E si compiace che le sue parole di 83enne rinchiuso al 41bis abbiano tanto effetto mediatico. Due giorni dopo, il 16 novembre - eccoci - Riina «minaccia » Di Matteo a mezzo di un dialogo che va riportato per esteso. Lorusso: «Ma secondo me questi vogliono mantenere sempre viva la lotta alla mafia, sempre viva la situazione...». Riina: «Sì, sì...». Lorusso: «Allora ci bombardano di queste notizie, di questi pericoli, di queste cose ci fanno bombardamento ». Riina: «E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e dico e non ne parliamo più».
Nota: sarebbe utile sentire anche il tono con cui Riina pronuncia la frase, perché ha tutta l’aria di una canzonatura. Dopodiché Riina esterna più che altro la sua impotenza: «Ci hanno chiesto di rinforzare, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile (incomprensibile) ucciderlo (incomprensibile) una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari...».
IL PAPELLO CHE NON C’È
Poi c’è la questione del papello, ossia le richieste che Cosa nostra avrebbe fatto allo Stato per bloccare i massacri dal 1992 in poi. La maggioranza dei giornali ha riportato questa frase del 13 agosto, pagina 7 delle intercettazioni: «La cosa si fermò, tre quattro mesi.... ma non è che si è fermata... comunque... io l’appunto gliel’ho lasciato». Che appunto? E a chi? Non è chiaro, ma è chiarissimo che gli stessi giornali non sono stati interessati ad altre parti del colloquio, se non con taglia e cuci non sempre giustificati. Nel passeggio dell’8 novembre, Riina dice: «Una partita di sbirri c’è... i tragediatori. Giovanni Brusca dice che io gli ho detto... Brusca fa una dichiarazione cattiva, “mi ha detto Riina che gli ha presentato il papello”, ma questo papello non si trova, non c’è... sono andati a fare tutte le indagini sui miei figli, le mie sorelle, a mia moglie, a mia madre...». Lorusso: «E non hanno trovato nessun riscontro...». Riina: «A mio fratello, a tutti, ai bambini... non risulta, non risulta... perciò questo (Giovanni Brusca, ndr) è un pallista, è un pallista che io gli ho detto questo, questo papello, questo papello... gli ho detto: interessati per tuo padre, no che gli ho dato il papello ». Al minuto 44 dell’intercettazione, poi, Riina dice che «il papello fu una cosa detta da lui (Brusca, ndr) e studiata da lui, sentimento suo», mentre Lorusso aggiunge: «Ciancimino, padre e figlio, fotocopia di qua e di là... normografo... ha fatto un collage e solo un collage...».
Riina aveva parlato di Massimo Ciancimino anche il giorno prima, 12 agosto: «“Io, mio padre, il colonnello Mori convincemmo a Provenzano a far arrestare Riina”. Ma santo cielo... tu, tu Ciancimino, sei un folle in catene, tu sei un folle in catene...». Riina demolisce, cioè, uno dei pilastri della «trattativa» cara ad Antonio Ingroia e Nino Di Matteo.
LA TRATTATIVA CHE NON C’È
Il quale Di Matteo è stato il primo a tradurre i deliri di Riina in termini di sicura condanna a morte: «Se mi torcono un capello, questa volta c’è la prova, è lì...». E tutto è successo «quando, anche dopo il rinvio a giudizio, abbiamo deciso di non fermarci con l’in - chiesta». Quella sulla trattativa. Una trattativa derisa sempre da loro, Lorusso e Riina, nel loro passeggio dell’8 novembre. Lorusso: «Diceva che c’era un connubio tra politica e mafia... Non c’era nessuna trattativa, non è che c’era una trattativa, in passato... ». Riina: «Sì, sì... ». Lorusso: «C’era una connivenza, così, tra mafia e politica, quando poi la politica ha tradito l’ha mafia l’ha punito... questo era... c’era una connivenza come c’è sempre stata in tutto il mondo tra politica e mafia...Questo è quello che ruota in tutto il castello accusatorio della trattativa stato-mafia. Se invece si deve dire che c’era la trattativa stato-mafia... allora...». Riina: «No, ma non c’è... chi c’è andato a trattare?... Quello è stato assolto un sacco di volte... il generale...». Lorusso: «Il generale... Mori». Riina: «È Mori, noialtri, non è che ci fa di arbitro». Poi - si legge a pagina 19 - non si sente più niente per via del rumore: pare sia partito un tagliaerba lì vicino, fuori dal carcere di Opera.