Walter Mazzarri, la Repubblica 29/1/2014, 29 gennaio 2014
“QUELLA SERA CON MOURINHO DIVENNI IL CUSTODE DELL’INTER”
Lo devo a Moratti. Giù le mani dal fortino, ci sono io a protezione. Anche della privacy di chi per una vita si è dedicato al club, e infatti al presidente che mi ha voluto non ho mai chiesto nulla del magnate indonesiano Thohir e del cambio nel pacchetto di maggioranza della società. La proprietà va rispettata, al di là delle quote che detiene, da qualunque parte del mondo arrivi, chiunque siano i suoi rappresentanti. Non sapevo niente di cosa stesse accadendo ai piani alti, neppure lo immaginavo. Moratti mi ha contattato, mi ha voluto, senza mai accennare all’argomento. Le voci erano insistenti, i giornali gli dedicavano pagine intere, i tg delle principali televisioni diversi servizi, però non era affar mio, quindi non mi sono informato con il diretto interessato. Neppure la squadra doveva indagare: «Ragazzi, noi siamo dipendenti
dell’Inter, abbiamo il dovere di interpretare bene il nostro ruolo. Pensiamo solo a ciò che davvero ci compete, al campo e a vincere le partite attraverso il bel gioco».
Sono il guardiano dell’Inter in un periodo storico delicato. Lavoro da dentro, controllo le mura. Gli intrusi non sono graditi, i nemici non sono ammessi. Se attaccano, difendo e rispondo. Pretendo rispetto per i nostri colori, per una storia che adesso è anche mia. Ero avversario, sono nerazzurro. Ne abbiamo parlato io e Mourinho, da uomini veri, senza veli intellettuali. Un colloquio alla pari.
«Mister, se in passato ci siamo punzecchiati quando eri tu ad allenare l’Inter...». «Mister, ma lascia stare il passato, sappiamo entrambi come vanno certe cose. Si usano tutte le armi per far rendere il proprio gruppo. La verità è che siamo fatti così». «Grazie, mi hai tolto dall’imbarazzo».
Lo spogliatoio del Lucas OilStadium, casa dei Colts nella Nfl — il professionistico di football americano — assomigliava a una città. Enorme, con mille luci. Nel pancione dello stadio c’era tutto. In un angolo spiccavamo noi due, José e io, piccoli solo all’apparenza. Il 2 agosto 2013 il calendario estivo ci aveva portato a Indianapo-lis, in programma la partita contro il Chelsea. Partecipavamo alla Guinness Cup, trofeo con il nome di una birra. Allenatori doppio malto. Parlavamo da uomini, mi è piaciuto. È stata una bella chiacchierata. Ci siamo conosciuti finalmente come persone. «Walter, abbiamo idee tattiche diverse, ma sappiamo entrambi molto chiaramente dove vogliamo arrivare». «José, siamo artisti ». «E difendiamo il gruppo anche a livello psicologico». «Si vede che le tue squadre non mollano e hanno un’identità». «Anche le tue. E ricordati, quello dell’Inter è un grande ambiente». «Me ne sto accorgendo».
Mourinho, tramite un sms inviato al nostro direttore sportivo Marco Branca, già al momento del mio arrivo ad Appiano Gentile si era detto felice per la scelta. Mi aveva fatto l’in bocca al lupo per interposta persona. Quella sera, nell’Indiana, il cerchio si è chiuso. Stavamo bene. Abbiamo trascorso insieme più di mezz’ora, da soli, a un certo punto Peppe Santoro ha chiesto permesso, appariva quasi trafelato, portatore di una comunicazione importante: » Scusate se disturbo, ma la partita starebbe per iniziare...».
Ce ne stavamo quasi dimenticando, il tempo si era fermato, mentre noi correvamo veloci. Sapevamo di aver poco tempo a disposizione, non volevamo sprecare neppure un secondo. Quante cose da dirci. Quante sensazioni intorno alle quali confrontarci. Il prima e il dopo nel medesimo calendario, l’Inter come filo conduttore. Mourinho e Mazzarri, stessa iniziale, stesso numero di lettere. M come Milano. M come il Meglio, che deve ancora venire.
“DA RAGAZZO NESSUNA VACANZA PORTAVO IL PANE CON MIO PADRE” –
Sono il maniaco dei particolari. Spesso vengo scambiato per antipatico, ma è giunto il momento di demolire questo stereotipo sbagliato, di togliermi di dosso una definizione che non rispecchia la realtà. E se lo sembro, è solo perché faccio di tutto per far rendere al meglio la squadra che alleno, durante la settimana come la domenica, forse è per questo che non risulto simpatico agli avversari, stesso motivo per cui piaccio ai miei giocatori e ai miei tifosi: prima ci sono i miei ragazzi e il resto viene dopo. Per difenderli sono pronto a tutto.
… Mi sento spesso un incompreso, sebbene pienamente realizzato. Anzi, un INCOMPRESO, con tutte le lettere maiuscole, ma ben felice di esserlo. Un diverso, un idealista, uno che odia stare con il gregge. Un fuoriposto. Quello che da giovane, nella Primavera della Fiorentina, chiamavano Lupo Solitario: ero il capitano e d’estate non facevo vacanze, perché dovevo andare a consegnare il pane con mio padre. Mi alzavo alle cinque del mattino, mi addormentavo in spiaggia due ore al pomeriggio, mi risvegliavo ustionato dal sole ma non mi lamentavo, per rispetto del babbo, per cui il tempo era un lusso che non si poteva sprecare in riva al mare. Un modo di essere che mi ha aiutato a scalare e allenare il mio talento, dal basso, senza scorciatoie, senza regali in cambio. … La gavetta costa, ma alla finepaga. Primavera del Bologna, Acireale, Pistoiese,Livorno, Reggina, Sampdoria e Napoli e Inter: ecco il mio percorso da autodidatta, sempre con poco budget a disposizione, e se mi devo riconoscere un pregio, è la capacità di spingere tutti oltre il limite, a partire da me stesso. Se la mia squadra vale 100 e ottengo 90, ho fatto male. Se la mia squadra vale 90e ottengo 100, ho fatto benino. Se la mia squadra vale 100 e ottengo 100, ho fatto quello per cui mi hanno pagato. Se la mia squadra vale 50 e ottengo100, sono Mazzarri: anno dopo anno, scalando tutte le categorie dalle giovanili alla Champions League, sono sempre riuscito a fare il salto più in alto del previsto.