Vladimiro Polchi, la Repubblica 29/1/2014, 29 gennaio 2014
LA FAVOLA DI RADWAN DA MIGRANTE A MILIARDARIO
ROMA «Dietro di noi c’è il mare. Non possiamo più tornare indietro. Anche quando raggiungiamo il porto, continuiamo a remare ». Radwan Khawatmi pare aver trovato la formula magica che trasforma un povero migrante in un imprenditore di successo: «Flessibilità e determinazione ». Il segreto? «Chi lascia la propria casa, spezza i legami con la terra originaria e la famiglia. In questo Paese si gioca tutto. Per questo deve avere una marcia in più. La nostra fame è insaziabile ». Per sfamarsi Khawatmi ha messo su un impero da cinquecento dipendenti, con un giro d’affari che supera i 60milioni di euro l’anno.
«Sono nato nel 1952 ad Aleppo, in Siria – racconta Radwan – non lontano da casa mia un gruppo di ricercatori italiani riportò alla luce l’antica città di Ebla. Da ragazzino andavo spesso a vedere gli scavi e ammiravo quei vostri archeologi. Così cominciai a sognare l’Italia, la sua cultura, lasua storia, la sua musica. Convinsi mio padre a lasciarmi andare. Finite le superiori, mi imbarcai su un mercantile russo e sbarcai a Napoli nel 1970. Poi mi sono immerso negli studi. Facevo base a Parma, ma mi sono laureato in Economia e commercio negli Stati Uniti».
A Parma, Radwan incontra la donna della sua vita: Nuccia. «Ci siamo sposati nel ’75, io mussulmano, lei cattolica. Ci siamo detti sì in chiesa, con rito cristiano ». Due anni dopo Khawatmi prende la cittadinanza italiana. Oggi ha due figli. Il primo con Nuccia: Alessandro, 36 anni. E Francois di 4 anni con la seconda moglie, sempre italiana.
Finiti gli studi, Khawatmi trova lavoro come impiegato all’Indesit. Parla inglese, francese, arabo e naturalmente italiano. La sua carriera vola. In pochi anni raggiunge i vertici dell’azienda. «Era una grande industria – ricorda – con oltre 18mila dipendenti. Sono arrivato a diventare il consigliere del presidente e nel giro di tre anni ho aperto molti nuovi mercati di vendita in Medio oriente».
Poi il grande salto. Radwan è ambizioso e inarrestabile. Molla tutto e si mette in proprio. «Avevo accumulato una grande esperienza. Ero pronto ad aprire un’impresa tutta mia». La creatura di Radwan si chiama “Hirux International”, azienda leader nella produzione e vendita di elettrodomestici. Il suo mercato di conquista? Il Medio Oriente. La sua specialità è prendere imprese in crisi e rimetterle in moto. In pratica, molti marchi del made in Italy devono a lui, siriano, la loro sopravvivenza nei mercati orientali. Non è un caso se infatti Radwan vinca la prima edizione del MoneyGram Award 2009, come miglior imprenditore straniero dell’anno. Non è tutto.
«Pochi anni fa – aggiunge con orgoglio Radwan – siamo diventati licenziatari del prestigioso marchio francese Thomson e ora produciamo anche televisioni e gioielli di alta tecnologia». Il suo prossimo progetto è di «investire nel distretto di Ancona in crisi e lanciare un polo industriale nelle Marche».
Oggi quel giovane ragazzo sbarcato da solo a Napoli fattura oltre 60 milioni di euro e dà lavoro con le sue aziende a oltre cinquecento persone: «In Italia ho oltre cinquanta dipendenti, in gran parte italiani». Pare un paradosso, ma è cosi: non sempre gli stranieri tolgono lavoro agli italiani, talvolta lo danno.
Dieci anni fa Khawatmi fonda il “Movimento nuovi italiani” per sostenere il ruolo dei lavoratori immigrati nel nostro Paese: «Lo scorso anno gli stranieri in Italia hanno prodotto l’11,8% del Pil – afferma – con i loro contributi stanno salvando le casse dell’Inps. Dovete capire che spesso a partire è la meglio gioventù del Paese d’origine, ragazzi che hanno studiato e si sono preparati. Due esempi: oggi il 75% della manodopera specializzata delle concerie è straniera, così come il 52% di quella impiegata nell’industria dell’acciaio».
Non solo. «I migranti – sostiene Khawatmi – spesso lavorano di più dei colleghi italiani, fanno turni più pesanti, sono più flessibili. E tutto questo dietro una busta paga inferiore in media del 35% a quella degli italiani». Insomma, «è giunto il momento di capire – conclude Radwan – che finora abbiamo assolto ai nostri doveri. Adesso è arrivato il momento di parlare di diritti, a partire dal diritto di voto amministrativo».