Giovanni Pons, la Repubblica 29/1/2014, 29 gennaio 2014
«LE VENDITE LUXOTTICA PUNTANO QUOTA 10 MILIARDI RENZI SPINGA LE RIFORME»
Dottor Guerra, ieri sera avete annunciato un fatturato di 7,3 miliardi per il 2013, il nuovo record. Come fate a crescere anche in periodi di crisi?
«É il risultato di un lavoro eccezionale delle nostre persone, di un portafoglio marchi completo grazie anche al rilancio delle collezioni Giorgio Armani che sono state ben apprezzate in tutti i mercati. E dell’integrazione verticale che è uno dei nostri maggiori punti di forza. In questo modo siamo riusciti a ottenere risultati solidi e positivi in tutti i paesi del mondo, con tutti i marchi e tutte le business unit. All’inizio del 2013 abbiamo un po’ sofferto in Spagna, che ha iniziato con un meno 18% nel primo trimestre ma alla fine dell’anno abbiamo quasi completamente recuperato. La vera sorpresa è stata per noi l’Europa, che ha chiuso a più 11% e con l’area mediterranea che da aprile-maggio ha smesso di perdere e ha ripreso un trend di crescita. L’Italia ha contribuito positivamente con un +3-4% e non è mai stata negativa negli ultimi cinque anni».
Gli analisti finanziari dicono che la vostra forza sta nella diversificazione. Non risentite della crisi dei mercati emergenti?
«In effetti ormai siamo presenti in maniera capillare in molti paesi del mondo. Gli Stati Uniti rappresentano circa il 55% del fatturato complessivo e veniamo da quattro anni di crescita solida nonostante i consumatori ultimamente siano distratti dall’acquisto di beni durevoli. Nei paesi a crescita rapida, come chiamiamo noi gli ex emergenti, abbiamo dedicato grandi sforzi a Brasile, Messico, Turchia, India e Cina ma vi sono ancora potenzialità di crescita eccezionali. Possono raddoppiare. E’ chiaro che dove vi sono instabilità politiche, come oggi in Thailandia, le vendite soffrono».
Di questo passo dove volete arrivare, quali sono i prossimi obbiettivi?
«Possiamo affermare che il 2014 sarà la continuazione del 2013, con una crescita organica dei ricavi nell’ordine del 5-10%, che si tradurrà in un raddoppio della velocità di crescita dei profitti. Ma continuiamo ad essere ambiziosi e nei prossimi tre anni aspiriamo a raggiungere i 10 miliardi di fatturato».
S&P prevede 400 milioni di investimenti nell’anno in corso, in quali aree vi concentrerete?
«La maggior parte riguarderà la tecnologia. La vera sfida per noi si chiama trasformazione digitale dell’azienda, mentre un 5-10% degli investimenti andrà in aumento della capacità produttiva. Luxottica deve diventare una sfera di cristallo in grado di dialogare a 360 gradi con il cliente. Abbiamo assunto 200 persone in giro per il mondo per sviluppare una costante ricerca nel mondo digitale».
Qual è il significato della recente acquisizione di Glasses.com?
«L’azienda con sede a Salt Lake City ha sviluppato una tecnologia
proprietaria che permette al cliente di scegliere e acquistare l’occhiale senza doverlo indossare, attraverso una applicazione 3D tryon. È un’azienda a metà tra il digitale e l’e-commerce che può diventare esplosiva per il nostro futuro e per l’evoluzione del settore».
Quanto investirete in acquisizioni nel 2014?
«La media annuale è di circa 200 milioni anche se nel 2013 siamo stati un po’ più bassi. Vi sono una serie di catene e marchi in giro per il mondo che ci interessano e di cui finalizzeremo l’acquisto al momento opportuno. Sul fronte licenze potrebbe esserci una novità a breve a cui corrisponderà un mancato rinnovo di una già in casa. La nostra strategia è quella di portare avanti una crescita per linee interne e con acquisizioni bilanciata e sostenibile nel medio lungo periodo».
Lei si è presentato alla Leopolda a Firenze in vista delle primarie del Pd ed è subito diventato un renziano di ferro. Qual è stato il motivo di quell’apparizione?
«A mio parere gli imprenditori e i gestori di grande aziende, attraverso il loro lavoro, sono anch’essi protagonisti della politica in modo attivo. La politica non deve più essere monopolio dei politici. Ognuno deve fare la sua parte per cercare di dare a tutti un’opportunità di evoluzione culturale».
Vuol dire che ciò che si sperimenta nelle aziende può essere una guida anche per il settore pubblico?
«Cinque anni fa in Luxottica abbiamo sperimentato un welfare innovativo, composto da spese sanitarie, carrello della spesa, percorso scolastico per i figli dei dipendenti, il tutto per dare serenità alle famiglie. L’ultimo contratto integrativo che abbiamo concluso è stato rivoluzionario, abbiamo avuto a che fare con tutti i sindacati con grande naturalezza. Puntiamo ad allevare nuove generazioni in giro per il mondo, in Italia ci sono eccellenze che il mondo ci invidia. Ciò che manca è lo standard, il livello medio, sotto le eccellenze c’è il vuoto».
Condivide l’accelerazione che Renzi sta cercando di imprimere alle riforme?
«Sì condivido. Occorre saper programmare a tre-cinque anni.
Se bisogna attrarre investimenti dall’estero non basta la legge elettorale, occorre riformare la giustizia civile e i suoi tempi, investire sulla scuola e le università, mettere a punto un piano energetico di lungo periodo. E con l’agenda digitale focalizzarsi su quattro punti da realizzare in 12 mesi».
Secondo lei il Jobs Act proposto da Renzi va nella giusta direzione?
«Al suo interno vi sono tanti paragrafi che sono condivisibili ma una riforma del mercato del lavoro deve andare insieme a una revisione degli ammortizzatori sociali, altrimenti al contratto unico non si arriva. Ma nella situazione di crisi attuale non ci sono alternative alla cassa integrazione, anche se in prospettiva quella straordinaria e in deroga non serve e va contro la dignità dei lavoratori».
Non trova che i manager in media siano pagati troppo e che l’attuale sistema stia creando diseguaglianze troppo ampie?
«I compensi dei manager sono composti da retribuzioni fisse e variabili, le seconde devono essere legate ad obbiettivi gestionali su un orizzonte di almeno tre anni. È vero comunque che l’incremento complessivo di ricchezza non si è distribuito al meglio, ci devono essere sistemi di riequilibrio, come per esempio la patrimoniale».
Caso Electrolux: il taglio dei salari è in generale l’unica strada per evitare una delocalizzazione o ci sono altre vie?
«E’ una proposta irricevibile senza né se né ma. Detto questo fa impressione vedersi spiattellare dei numeri così crudi sulla competitività di un sistema industriale».
Nessuna tentazione di fare il salto verso la politica?
«No, lavoro nell’azienda più bella del mondo».