Valerio Cappelli, Corriere della Sera 29/1/2014, 29 gennaio 2014
«FILM SULL’AIDS, HO CONVINTO HOLLYWOOD DOPO 137 NO»
ROMA — Il cowboy è cambiato, non fa più commedie romantiche a torso nudo, non va più dietro alle ragazze in modo ossessivo. Matthew McConaughey è, con Leonardo DiCaprio, il favorito agli Oscar come migliore interprete.
«L’altro ieri ho incontrato Paolo Sorrentino, non ho ancora visto La grande bellezza, ci siamo detti ciao, ci vediamo agli Oscar, cose che in genere non si dicono mai. Io non vivo nell’atmosfera di aspettativa, mi godo il periodo, giro il mondo, oggi sono qui, poi Londra e Berlino. Ma non faccio promozione, questo film non ne ha bisogno, parla da solo, ed è importante per i giovani che non hanno idea di cosa volesse dire avere l’Aids in passato, ti guardavano come un lebbroso, un appestato, una malattia di cui non si parlava».
In Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée (nelle sale dal 30 gennaio, l’attore vinse il premio al Festival romano), Matthew McConaughey è un elettricista e un cowboy da rodeo, un bifolco texano, rozzo e ottuso, un etero che contrae il virus Hiv per un rapporto non protetto. I medici gli danno 30 giorni di vita: grazie alla sua perseveranza, Ron, così si chiamava, ha vissuto altri sette anni. Una storia vera degli anni 80. «La cosa più difficile di questo film è stato realizzarlo — dice l’attore —. Ho ricevuto la sceneggiatura cinque anni fa, sono andato a bussare a non so quanti produttori e ho collezionato 137 rifiuti. Sembrava che ci fossero i soldi, e poi sparivano. Provate ad andare agli Studios, quando leggono che è un film d’epoca, sull’Aids, e con un protagonista omofobico, pensano che i quattrini non li vedranno mai. Eppure è costato solo cinque milioni di dollari».
Lui nel frattempo per il ruolo dimagriva, «in quattro mesi ho perso 23 chili, ho vissuto da eremita, non andavo agli eventi sociali. A mano a mano che il corpo di Ron rinsecchiva, prosperava il suo desiderio di vivere. Alla comunità gay il film è piaciuto molto». Hollywood dà molta importanza agli attori che si trasformano fisicamente... «Di per sé, non lo trovo un segno di buona arte, questo non è un film di Matthew McConaughey che diventa magro, ma parla del mio personaggio».
Nelle corsie d’ospedale incontra un uomo che voleva vivere la sua vita come una donna, non come un travestito, interpretato dall’attore e rocker Jared Leto: «Sul set non ci interessava chiacchierare, non c’era tempo, né voglia, né interesse a parlare della nostra vita privata». Quando è cambiato lei come attore? «Mi piaceva il lavoro ma dopo i 40 anni ho avuto bisogno di ricalibrarmi. Ho cominciato a dire no a film d’azione e commedie. Poi non mi hanno più chiamato. Con mia moglie ci siamo detti che grazie a Dio soldi in banca ne avevamo e da mangiare sulla tavola non mancava. La famiglia ha pesato, quanto più un uomo si sente a casa tanto più è in grado di volare alto. Volevo ruoli che mi facessero mancare il terreno sotto i piedi. Sono diventato una specie di buona idea per ruoli diversi e sono arrivati i film di Friedkin e Soderbergh».