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 2014  gennaio 29 Mercoledì calendario

I CONTI UCRAINI (IN ROSSO). E IL PRESTITO DI MOSCA


DAL NOSTRO INVIATO KIEV — Nella migliore delle ipotesi a giugno lo Stato ucraino non sarà in grado di pagare i dipendenti pubblici e i pensionati. A meno che non arrivino aiuti dall’estero. Secondo le stime servono almeno 15 miliardi di dollari. Una cifra consistente, ma non impossibile a livello internazionale.
Nei mesi scorsi il governo di Kiev è tornato a rivolgersi al Fondo monetario internazionale, inserendo il capitolo prestiti nel negoziato di associazione commerciale con la Ue. Negli ultimi anni l’Ucraina non si è dimostrata un debitore affidabile. E Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, ha risposto alla maniera degli anni ’90, quando l’istituto internazionale affossava i Paesi che dichiarava di voler soccorrere. Volete un prestito di 15 miliardi? Benissimo, come garanzia, però, vogliamo, tra l’altro, che riduciate i sussidi alle famiglie per pagare la bolletta. Una voce di uscita che vale il 7% del bilancio statale. Peccato che quasi tutti i 45 milioni di abitanti del Paese siano già costretti in una trappola: bassi stipendi, prezzi quasi occidentali (specie a Kiev). Il salario medio, nella capitale, si aggira sui 300 euro: una somma appena sufficiente per fare la spesa e pagare l’affitto. Abolire le sovvenzioni sul riscaldamento significherebbe chiedere alle famiglie di arrangiarsi con un inverno perennemente sotto zero (ieri meno 15, oggi annunciati meno 25 gradi).
Il presidente Yanukovich non ha accettato le condizioni del Fmi. E i primi a riconoscere che non avesse tutti i torti sono i diplomatici di diversi Paesi europei. Per mesi i negoziatori dell’Unione europea, a cominciare dal commissario all’allargamento Stefan Füle (Repubblica ceca) hanno fatto pressioni sull’istituto di Washington, rassicurando, nello stesso tempo, gli interlocutori di Kiev. Parole. La posizione di Lagarde non si è spostata di un centimetro.
L’Ue, intesa come organismo comunitario, può fare poco. I margini finanziari del bilancio di Bruxelles sono ridotti. Nei prossimi sette anni l’Ue destinerà solo un miliardo di euro all’Ucraina. Gli Stati nazionali, forse, potrebbero sforzarsi di più. Soprattutto quelli come Germania, Gran Bretagna, Francia, la stessa Italia che hanno interesse ad aprire un ampio mercato alle proprie aziende. Così L’Ucraina si è ritrovata al crocevia dello scontro sotterraneo tra Unione europea e Russia. A Bruxelles, ormai da anni, nessuno pensa che possa continuare la politica di allargamento ad altri Stati. Tutti, però, sono concentrati sull’estensione del mercato unico: libera circolazione di merci e servizi. Il vero, incontestato vantaggio dell’Ue. I negoziati per l’ingresso nel «club» sono stati sostituiti dagli accordi di associazione. Ma la differenza è sostanziale: a chi voleva entrare l’Ue chiedeva sacrifici ed erogava finanziamenti; oggi i sacrifici sono rimasti, ma i finanziamenti sono spariti.
Nel caso dell’Ucraina, poi, la bozza di accordo prevede «l’allineamento agli standard europei» dell’industria di base, siderurgia, aeronautica-spaziale. In pratica una ristrutturazione socialmente dolorosa in cambio di benefici per l’economia ucraina da incassare fra due-tre anni. I conti finali di Yanukovich (al netto dell’affarismo e della corruzione soffocante nel Paese) sono stati molto diversi da quelli attesi da Bruxelles. La Russia ha avuto buon gioco a inserirsi. Da quando è tornato al potere, nel 2012, Putin coltiva un disegno opposto e simmetrico a quello della Ue: un’unione doganale «euroasiatica» tra gli ex Stati dell’Urss con Mosca in posizione dominante. Finora hanno aderito solo Bielorussia e Kazakistan. Ma il vero partner pregiato sarebbe l’Ucraina. Ecco perché il leader russo si è subito offerto di sottoscrivere i bond per tre miliardi di dollari emessi dal governo di Kiev. Con l’impegno ad arrivare a quota 15 miliardi, sorpassando i dubbi di Christine Lagarde.