Massimo Gaggi, Corriere della Sera 29/1/2014, 29 gennaio 2014
DECRETO DI OBAMA: SALARI MINIMI SU DEL 40%
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — L’annuncio di un aumento consistente (da 7,25 a 10,10 dollari l’ora) del salario minimo dei lavoratori in forza ai contractor del governo Usa. L’aiuto per chi ha perso il lavoro da molto tempo che verrà dall’accordo coi capi di alcuni grandi gruppi(dalla At&T alla Procter & Gamble) che, nella scelta dei nuovi assunti, si sono impegnati a non discriminare i disoccupati di «lungo corso». Più qualche altra misura su temi importanti (formazione professionale, tutele per i pensionati) ma di impatto limitato perché basate non su leggi ma su ordini esecutivi della Casa Bianca. Di concreto, nel discorso sullo stato dell’Unione 2014, non c’è molto altro.
L’era dell’oratoria piena di fiducia e di orgoglio, delle agende traboccanti di impegni ambiziosi, è ormai solo un ricordo: oggi, più che promettere, Barack Obama lancia messaggi e prepara battaglie ideali — prima fra tutte quella per la riduzione delle diseguaglianze nella società americana — sulle quali vuole costruire la sua eredità politica e morale. Ma, se anche le parole del presidente sono nobili, i messaggi lanciati non hanno certo la forza di quella «guerra alla povertà» dichiarata esattamente mezzo secolo da Lyndon Johnson nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, subito dopo l’assassinio di Kennedy.
Un annuncio allora seguito dal varo di un sistema di welfare all’americana passato sotto il nome di «Great Society». Ieri Obama ha volato molto più basso perché, come ha detto lui stesso in una recente (e franca) intervista al New Yorker , «quello che ho imparato stando alla Casa Bianca è che un presidente è solo lo staffettista di una gara di nuoto a squadre che attraversa un fiume pieno di rapide. E quel fiume è la storia».
Quello che Barack Obama ha letto nella notte davanti al Congresso riunito in seduta comune per questo appuntamento annuale è stato un discorso giocato su un doppio binario. La riaffermazione della volontà di collaborare con Camera e Senato, se ce ne sono le condizioni, certo. Ma «se il Parlamento rimane paralizzato, devo cercare di fare da solo». E quindi, avanti tutta con gli ordini esecutivi per cercare di riattivare l’economia e venire incontro ai più bisognosi. Ma anche questi interventi cambieranno poco: l’aumento del salario minimo, ad esempio, tocca solo due dei circa 140 milioni di lavoratori Usa e non si applica ai contratti attualmente in vigore: solo a quelli totalmente nuovi. Insomma, un intervento di forte impatto simbolico (Obama appoggia anche la proposta di legge democratica di un aumento universale della paga minima) ma poco efficace.
Oltretutto l’impegno a portare avanti una misura di questo tipo il presidente l’aveva già preso nel discorso di una anno fa, ma l’opposizione dei repubblicani, soprattutto alla Camera, ha vanificato i suoi progetti non solo sulle retribuzioni ma anche sulla riforma dell’immigrazione e il controllo delle armi dopo la strage dei bambini di Newtown.
Quanto alla crescita delle diseguaglianze nella società americana, Obama ha ragione di essere allarmato per lo schiacciamento del ceto medio e relativo pericolo di tensioni sociali, ma i repubblicani ribattono che sotto la sua presidenza la polarizzazione dei redditi non si è ridotta: anzi è aumentata. Perché, aggiungono, più che dalle politiche fiscali pro-ricchi di Bush, le diseguaglianze sono state alimentate da una politica monetaria permissiva, attuata con il benestare della Casa Bianca, che ha salvato Wall Street, e ridato fiato alla finanza, alla Borsa al mercato immobiliare: tutti fenomeni che beneficiano soprattutto chi è già benestante.
Quanto alla politica estera, impegni ribaditi per il nucleare iraniano, i tentativi di pace in Medio Oriente, la difesa degli alleati in Asia, il ritiro dall’Afghanistan. Anche qui poca enfasi perché agli americani interessa soprattutto l’economia e, dalla Siria ai negoziati falliti a Kabul, le cose all’estero non stanno andando benissimo.