Pierluigi Battista, Corriere della Sera 29/1/2014, 29 gennaio 2014
L ’INSULTO CHE COPRE IL VUOTO DI PENSIERO
Oggi la palma del vincitore nel concorso abusivo «Quindici minuti di celebrità» spetta al deputato M5S Giorgio Sorial. Non sapevano più quale invettiva inventarsi per ingiuriare Giorgio Napolitano. Ma nell’arsenale degli insulti hanno ritrovato una vecchia conoscenza del lessico oltranzista italiano: «boia». Sorial si è immolato per il bene del suo Movimento e ha deciso di spararla più grossa che poteva. Ha dato del «boia» al capo dello Stato. Un parlamentare. Un uomo delle istituzioni.
La scelta è tra archiviare quest’ennesima scelleratezza verbale nel repertorio delle sciocchezze cui non dare peso eccessivo, oppure prendere atto di ciò che tutti i cittadini avvertono di fronte a manifestazioni così insensate di estremismo politico: il segno di un imbarbarimento che non ha niente a che fare con la sana conflittualità politica.
Nel cuore della Seconda Repubblica, a parte ovviamente l’incoercibile volgarità dei singoli esternatori, dei campioni della sciocchezza politica che albergano trasversalmente in tutti gli schieramenti, era la Lega ad aggiudicarsi il non invidiabile primato dell’insulto sistematico, dell’atto inconsulto che potesse avere eco mediatica e costituire motivo di «scandalo». Con l’ingresso del Movimento 5 Stelle questo primato leghista è stato fortemente insidiato. Dal deputato che non vuole rendere omaggio agli italiani vittime della strage di Nassiriya a quello che profetizza un futuro oramai vicinissimo in cui l’intera popolazione verrà controllata con un microchip fino a quello che sposa le tesi «negazioniste» sugli attentati dell’11 settembre o al membro della Giunta per le autorizzazioni che insulta il senatore che sta per essere giudicato, è tutto un fiorire di eccessi che oramai, come accade con gli organismi intossicati, ha bisogno di dose sempre più massicce di oltranzismo verbale.
Ecco, dare del «boia» al capo dello Stato non è solo una sventura lessicale, ma la manifestazione di una sindrome dell’urlo che non sembra avere fine. Certo, se Grillo e Casaleggio, di solito così solerti nel bacchettare ogni espressione di dissenso anche timidamente formulato «nella Rete», prendessero le distanze da simili follie, sarebbe un primo segnale di ravvedimento. Ma nella loro campagna per l’«impeachment» di Napolitano, vista la manifesta infondatezza delle accuse che dovrebbero inchiodarlo, è probabile che l’invettiva prenda il posto del ragionamento. Non è la prima volta, e tutti ricordano il caso di Francesco Cossiga, che viene richiesto l’«impeachment» del capo dello Stato. Non fu una delle pagine più brillanti della sinistra italiana. Anzi, fu una delle sue peggiori. Ma è la prima volta che la mancanza del senso delle istituzioni viene praticata a teorizzata come virtù.
Già quando Napolitano fu votato per la seconda volta al Quirinale, nel movimento di Grillo si gridò apertamente al «golpe» e vennero convocate manifestazioni «oceaniche» che poi ridimensionarono drasticamente le loro ambizioni. Era un assurdo politico quel giorno, ed è un assurdo politico che si continui a chiedere, accompagnando l’azione demolitrice con epiteti come quelli fatti propri dal cittadino Sorial, la messa in stato d’accusa di un Presidente che non voleva essere rieletto e che è stato chiamato al Quirinale per la seconda volta dopo la desolante prova di dabbenaggine politica mostrata dai partiti dopo l’esito elettorale del febbraio di un anno fa. Oggi si fa ancora in tempo a chiedere scusa per un’espressione tanto grottesca. E forse si fa ancora in tempo a frenare la deriva di un «impeachment» richiesto, ma privo di ogni base politica e giuridica. Resta la degenerazione del linguaggio politico: ci vorrà molto tempo per tentare di risanarlo.