Alessandra Rubenni, l’Unità 28/1/2014, 28 gennaio 2014
COME SALVARE LE COLOMBE
Lì per lì non è bastato pensare alle leggi di natura. Sono rimasti un po’ tutti a bocca aperta di fronte alla fine di quella colomba, proprio nel cielo di piazza San Pietro. La più sfortunata tra le due liberate dopo l’Angelus che l’altro ieri dalla finestra di Papa Francesco si è lanciata nel suo ultimo volto, per essere ghermita da un gabbiano, in combutta con una cornacchia. La più candida tra le tradizioni trasformata in una scena di caccia, con tanto di coda polemica. Ieri l’Enpa, l’ente nazionale protezione animali, ha scritto una lettera aperta al Papa per chiedere di «non utilizzare più gli animali e la loro vita per tradizioni ormai superate». Ma per Enrico Alleva, etologo dell’Accademia dei Lincei, basta qualche piccolo accorgimento per evitare che quelle colombe si ritrovino a svolazzare spaesate, per poi finire tra le grinfie di qualche predatore.
Professor Alleva, che cosa è successo domenica a San Pietro?
«Un evento banale e per alcuni aspetti non particolarmente raro. Si osservano di continuo predazioni di gabbiani su colombi urbani, soprattutto giovani attorno al mese di età, ovvero usciti da poco dal nido, oppure individui malati, per esempio quelli molto magri perché infestati da parassiti. È più raro che una cornacchia attacchi un colombo, perché è una preda di dimensioni cospicue. Ma ci sono osservazioni di gattini neonati attaccati da gabbiani e cornacchie in associazione».
È normale che questi uccelli si alleino per predare?
«Molte specie animali si associano per sfruttare meglio le risorse ambientali, soprattutto quelle nutritive. Per esempio una rosetta di pane di solito viene attaccata prima dai passeri e da altri uccelli con un becco conico e robusto, poi sbocconcellata dai colombi. Infine resta la parte inferiore, dura e secca: ho osservato nel cortile della mia abitazione, nei pressi dell’Università La Sapienza, cornacchie che prendevano questi dischi secchi e duri e li bagnavano in acqua per renderli più facilmente ingeribili. Insomma, la rosetta viene disintegrata da tre specie di uccelli».
La scena di caccia però ha fatto una grossa impressione.
«Il caso del gabbiano è paradigmatico. Trattandosi di una specie che vive sulle rive rocciose del mare si è specializzata anche nell’aspettare uccelli di piccole o medie dimensioni che arrivano stremati dopo le lunghe traversate migratorie. Nel caso delle quaglie migratrici, ad esempio, i gabbiani le aspettano scrutando il mare, le avvistano da lontano, volano loro incontro e poi le abbattono in acqua con un colpo secco d’ala. Una volta caduta in acqua la quaglia, ormai incapace di volare, è facile da sopprimere».
Ma come dice l’Enpa, il lancio delle colombe condanna questi uccelli a morte certa?
«Quello che è successo in piazza San Pietro è che le colombe, uscite improvvisamente alla luce e frastornate dal viaggio in furgone, hanno mostrato un volo incerto, disorientato: i gabbiani le avranno scorte e scambiandole per individui malati si saranno immediatamente gettati all’inseguimento. Le cornacchie, che appartengono alle famiglia di corvi e che fra gli uccelli insieme ai pappagalli sono i cervelloni, le avranno imitate. La prossima volta bisognerà far riposare le colombe, magari dissetandole, e monitorare il loro comportamento nelle ceste prima della liberazione. Di solito i colombofili professionisti o semiprofessionisti, per esempio quelli che usano i colombi viaggiatori per le gare, stanno ben attenti a evitare incidenti di questo tipo. Nella mia esperienza i colombi viaggiatori rilasciati in una foresta ben conosciuta da Papa Ratzinger, la Foresta nera, spesso sono vittime dei rapaci astori, dei falchi dalle ali larghe e tozze che vivono nelle foreste e che li decimano».