Mauro Magatti, Corriere della Sera 28/1/2014, 28 gennaio 2014
LE FAZIONI CHE BLOCCANO I PARTITI
Semplificando il sistema politico, l’accordo siglato tra Renzi e Berlusconi ha come obiettivo di porre fine alla lunga fase di instabilità in cui, ormai da molti anni, si dibatte il nostro Paese. In questo modo, i due leader provano a risolvere un problema che non è di oggi: la tendenza a dividersi in fazioni ha segnato la cultura politica italiana nel corso dei secoli. In tutti i campi, e non solo in politica, gli italiani fanno fatica a stare insieme e tendono a dividersi. Ci possono essere molte ragioni che spiegano una tale tendenza. Dopo tutto, amiamo dire che l’Italia è il Paese della creatività. Il problema è che il risvolto negativo di tale virtù è il profilo anarchico e tendenzialmente caotico che ci caratterizza. In Italia trovare un punto di equilibrio tra creatività e ordine non è mai stata una cosa facile. Negli ultimi decenni, il problema è riesploso nel momento in cui il vincolo esterno associato alla contrapposizione Est-Ovest è venuto meno e con esso le forti divisioni ideologiche che hanno caratterizzato il XX secolo.
Il risultato è un lungo declino storico che ci ha portati alla situazione stagnante di questi anni, in cui non si riesce a prendere più nessuna decisione, dove chi si installa nei posti di potere tende a diventare inamovibile, mentre impazzano lotte intestine e guerre tra bande. Una condizione che rischia di diventare cronica. Proprio questa tendenza all’impaludamento fa sì che, in Italia, il cambiamento avvenga sempre molto faticosamente, tendenzialmente a singhiozzo, con lunghe fasi di stallo che preludono a balzi, di solito dovuti all’avvento di personalità che forzano i processi per cercare di riorganizzare il sistema.
Ora, ammettiamo che la riforma passi con piccoli aggiustamenti. La speranza di chi ha presentato la legge è che chi vince le elezioni possa governare senza dover dipendere dal contributo di alleati esterni. Non è detto che ci si arrivi, ma potrebbe accadere. Allo stato attuale, e secondo le proiezioni effettuate sulla base dei sondaggi disponibili, si potrebbe arrivare ad un Parlamento nel quale siederebbero solo tre partiti (Pd, Forza Italia, M5S). A quel punto che cosa potrebbe succedere?
È possibile immaginare due scenari.
Il primo, e più probabile, è il formarsi, nel corso della legislatura, di correnti, cioè, di fazioni, che comincerebbero una partita attorno al controllo del partito stesso e alla capacità di influenza sulla compagine governativa. Ricordiamo la Dc, grande partito di governo, che fu divorata dalle lotte interne. E così il frazionismo buttato fuori dalla porta rientrerebbe dalla finestra. Ipotesi assai probabile tenuto conto dello stato in cui versano i due principali partiti: nel Pd, gli scontri tra i renziani e i bersaniani — e non è irrilevante che queste due fazioni facciano riferimento a precisi nomi di politici — rimarrà un punto molto caldo. In Forza Italia — un unicum nel panorama delle democrazie avanzate con un fondatore-presidente-finanziatore da vent’anni in carica — continuerebbe la guerra sotterranea tra i gruppi che lottano per la successione a Berlusconi (da anni annunciata ma mai finora realizzata).
Il secondo scenario — meno probabile ma più preoccupante — è che, per evitare una tale deriva e i guasti di un risorgente frazionismo interno, si assista a un forte accentramento del potere personale del leader. Al di là delle intenzioni dei protagonisti, una tale evoluzione potrebbe risultare obbligata per tenere unito ciò che fa fatica a stare insieme. Il problema è che, nello scenario istituzionale che si sta delineando con la nuova legge, il capo del partito godrebbe di un potere molto forte. Con tutti i rischi che possono derivarne.
E allora? Intanto, sarebbe già un passo in avanti ammettere che il problema del frazionismo fa parte della nostra cultura politica e che il problema non si risolve con la bacchetta magica. Va combattuto e contrastato. Ma non si può immaginare di cancellarlo solo con una nuova legge elettorale. Sarebbe saggio che chi vuole intestarsi le riforme oggi si ricordi che molti dei disastri della Seconda Repubblica sono stati causati dall’aver introdotto riforme disarticolate, al di fuori di un disegno unitario. In secondo luogo, sarebbe consigliabile introdurre nel pacchetto della riforma alcuni accorgimenti che riducano i rischi a cui ci esponiamo. Ad esempio, rendendo obbligatorie le primarie per la scelta del candidato premier. E, più ampiamente, rendendo finalmente i partiti dei soggetti di diritto pubblico in modo da disciplinare, senza eccessi, il funzionamento di formazioni così importanti per gli assetti istituzionali. A partire dalla dinamica della democrazia e della trasparenza interne.
Su questi punti si potrà misurare, nelle prossime settimane, la lealtà dei due leader e la loro volontà di dare un contributo positivo al futuro dall’Italia. Al di là della legittima, ma insufficiente preoccupazione, di guardare al risultato delle prossime elezioni.