Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 28/1/2014, 28 gennaio 2014
COSÌ MADRID SI È RIALZATA
Le esportazioni sostengono l’economia, gli analisti rivedono al rialzo le previsioni di crescita. Dal lavoro arrivano timidi segnali di risveglio: il tasso di disoccupazione resta altissimo, sopra il 26%, ma per la prima volta dal 2007 scende il numero dei disoccupati. Dopo essere stata travolta dal crollo del settore immobiliare e dal conseguente default del sistema delle casse di risparmio la Spagna si sta rialzando.
Con molti errori, alcune riforme e misure di pesante austerity il governo di Madrid ha fatto più di altri e sta anche raccogliendo i risultati dell’obbedienza alla Ue e alla linea rigorista della Germania. Il deficit del 2013 è stato contenuto al 6,5% del Pil come promesso ai partner europei e per il momento il debito sopra il 90% non viene considerato un problema. Mariano Rajoy ha sempre potuto contare sul sostegno di un’ampia maggioranza in Parlamento, senza alcuna incertezza sulla durata della legislatura fino al 2015: un vantaggio riconosciuto dagli investitori. «La Spagna probabilmente continuerà a fare meglio dell’Italia, perché quest’ultima ha fatto meno progressi nelle riforme strutturali, presenta maggiore incertezza politica e ha problemi di competitività», dice Giada Giani di Citi Research.
Per il ministro delle Finanze, Luis de Guindos, la Spagna dopo essere uscita dalla recessione nel secondo trimestre del 2013 «crescerà almeno dello 0,7% quest’anno». Ma per gli analisti di Citi Research «il Pil potrebbe aumentare dello 0,9% nel 2014 e poi dell’1,1% nel 2015. Barclays stima una crescita dell’1% già quest’anno, Morgan Stanley arriva all’1,2% in caso di scenari internazionali favorevoli».
Le esportazioni - cresciute del 5,4% nei primi undici mesi del 2013 - sostengono la ripresa, ma la capacità produttiva si è sviluppata sfruttando anche gli investimenti diretti dall’estero. Negli ultimi quattro anni la Spagna ha ricevuto 105 miliardi di euro di investimenti diretti dall’estero, nel solo settore automobilistico i grandi gruppi - da Ford a Renault, da Peugeot-Citroën a Nissan - hanno investito 5 miliardi in due anni per rafforzare i loro stabilimenti facendo della Spagna il secondo Paese produttore in Europa dietro solo alla Germania.
In molti hanno scelto di investire in Spagna anche guardando alle riforme di Madrid: oltre alle banche risanate con i 41 miliardi di euro ricevuti dall’Esm, il governo ha conquistato la fiducia internazionale con le nuove regole del lavoro. La riforma della contrattazione collettiva ha aumentato la flessibilità e ha introdotto deroghe agli accordi nazionali, oltre a rendere più facili e meno costosi i licenziamenti per le imprese in crisi. «La retribuzione per dipendente – spiegano a Citi Research – è scesa dello 0,3% nel 2012 e dello 0,5% in media nel 2013. Non solo nella pubblica amministrazioni ma anche nelle imprese private di molti settori»: il costo del lavoro è calato a causa dell’elevatissima disoccupazione, ma «anche la riforma potrebbe avere contribuito a questa evoluzione».
Ora l’attesa in Spagna è per l’annunciata riforma della corporate tax e dell’Irpef. Se Rajoy manterrà le promesse tagliando le aliquote si potrà dire che la fase due, quella dello sviluppo, in Spagna è davvero iniziata.