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 2014  gennaio 28 Martedì calendario

DAI FARAONI A EBAY, LA TENTAZIONE INFINITA DEL FURTO SACRO

Tutte le religioni amano le reliquie. Nell’antico Egitto, per esempio, il Serapeo di Alessandria conservava la mummia del bue Api; in Grecia vi era una testa di Orfeo a Lesbo e le ossa di Teseo ad Atene, a Roma si faceva visita alla tomba di Romolo nel Foro o alla sua casa accanto al Palatino. Nello Sri Lanka si venera un dente del Buddha; analoga attenzione si ha a Bijapur nel Deccan per un pelo della barba di Maometto, mentre a Rohri nel Sind si conserva un suo capello. I furti sono remoti quanto le stesse reliquie e cominciano ufficialmente con i ladri di tombe nell’Egitto dei faraoni. Un problema antichissimo se già il codice di Hammurabi stabiliva la pena di morte per chi avesse rubato o ricettato proprietà del dio.
Il cristianesimo non fece (e non fa) eccezione: la reliquia di Giovanni Paolo II sottratta in Abruzzo si può accostare alle centinaia di notizie che rivelano quanto il fenomeno sia attivo. Del resto, nel marzo dello scorso anno un trentenne incensurato rubò 57 sacri lacerti in sei mesi e, tramite un antiquario toscano, ne «legalizzava» la vendita su eBay: i due furono fermati alla Stazione Centrale di Milano mentre si scambiavano una borsa piena di frammenti sacri, tra cui un pezzo del cilicio di Carlo Borromeo. Non è un primato soltanto italiano. Nel marzo 2012 le cronache riportavano fatti riguardanti le chiese d’Irlanda, che subirono tre furti notevoli: il cuore di San Laurence O’Toole del 1180 (primo arcivescovo irlandese di Dublino e patrono della città), tre frammenti della vera croce e un reliquiario con la mandibola di santa Brigida. Già al tempo di Carlo Magno, come documenta il saggio di Patrick J. Geary Furta sacra (tradotto da Vita e Pensiero), trafugare reliquie era attività redditizia. L’età di mezzo aggiunse non poca fantasia: lo testimonia la novella del Decameron di Boccaccio dedicata a frate Cipolla da Frosolone, raccontata da Dioneo (è l’ultima della sesta giornata). Questo simpatico confratello di sant’Antonio promette agli abitanti di Certaldo che avrebbe loro mostrato una piuma dell’arcangelo Gabriele, da lui stesso recuperata. I furti poi furono anche «legali». Dopo aver castigato Milano, l’imperatore Federico Barbarossa si impossessò delle reliquie dei Magi conservate in Sant’Eustorgio. Nel 1164 finirono nel Duomo di Colonia.
Nel mirino ci fu anche Padre Pio: nell’agosto del 2010 si cercò di rubarne capelli, guanti e un drappo da lui usato, ma la teca blindata resistette; mentre la reliquia del mento di sant’Antonio, venerata nella basilica di Padova, fu «prelevata» da Felice Maniero (e ritrovata nel dicembre 1991) per costringere lo Stato a scendere a patti. Due scrittori — correvano gli anni di Stalin — di poco conto, Kataev e Lidin, durante la traslazione della salma di Gogol rubarono un pezzo della sua giacca miracolosamente rimasta intatta; tuttavia quel che impressionò i presenti fu la mancanza del cranio. Il Kgb accertò che il furto sarebbe stato fatto anni prima da un ricco moscovita, Aleksej Bakruscin, che arrivò a raccogliere un milione di reperti teatrali. Anche Voltaire fu vittima dei veneratori di reliquie laiche e appena spirò gli estrassero cuore e cervello: il primo è alla Biblioteca Nazionale, il secondo alla Comédie Française. E che dire di Descartes, il nostro Cartesio? Morì in Svezia ma quando il suo corpo arrivò a Parigi mancava di testa e a Saint-Germain-des-Prés il suo cadavere non ce l’ha ancora (è al Museo dell’Uomo). Galileo: altra vittima. Nel 1737 la sua salma fu trasferita nella basilica di Santa Croce a Firenze. Durante la traslazione un suo ammiratore, Anton Francesco Gori, gli recise il dito medio della mano destra, per conservarlo come reliquia. Il frammento passò poi ad Angelo Maria Bandini, quindi ad altri, infine fu acquistato dal Museo di Storia della Scienza del capoluogo toscano.
Giordano Ronchi, addetto alle reliquie del Duomo di Milano, ci confidava che quasi ogni giorno riceve richieste dall’America Latina, dalle Filippine, dagli Usa e anche dalla Polonia per ottenere sacri reperti, dei quali la cattedrale è ricca, anche se ne ha circa un quarto rispetto ai tempi dei Borromei. E Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo, aggiunge con saggezza: «Il culto delle reliquie deve mantenersi in equilibrio tra la serietà del riferimento critico alla realtà storica del santo venerato e l’affetto pieno di venerazione per il santo evocato».