Massimo Gaggi, il Corriere della Sera 28/1/2014, 28 gennaio 2014
«MARLBORO MAN» UCCISO DAL CANCRO AI POLMONI
Eric Lawson, uno degli ultimi «Marlboro Man», è scomparso qualche giorno fa a San Louis Obispo, in California, ucciso a 72 anni da una grave malattia polmonare legata al fumo. Come altri interpreti della celebre campagna pubblicitaria del gigante del tabacco Philip Morris, morti negli anni scorsi di enfisema e cancro ai polmoni.
Negli anni Cinquanta la multinazionale Usa del tabacco aveva un problema: i primi dati sui pericoli del fumo avevano spinto le industrie del settore a imboccare la strada delle sigarette col filtro, nell’illusione che questo bastasse ad eliminare gli effetti nocivi del tabacco inalato. Ma quelle della Philip Morris venivano commercializzate soprattutto con un marchio, Marlboro, allora percepito dal mercato come un prodotto destinato alle fumatrici.
Il miracolo commerciale di trasformare Marlboro in un prodotto anche e, anzi, soprattutto maschile, quasi da «macho», lo fece Leo Burnett. Dai suoi uffici di Chicago questo genio della pubblicità inventò la campagna dei «Marlboro Man»: «cow boy» che fumavano e cavalcavano spensierati nelle praterie e tra le vette delle Montagne Rocciose. Respirando a pieni polmoni, liberi e senza preoccupazioni per la salute.
Burnett aveva preparato una raffica di personaggi dalla forte impronta maschile — lupi di mare, campioni di sollevamento pesi, capomastri — da gettare nella mischia della campagna a ondate successive. Ma i «cow boy» ebbero un successo talmente fulminante, col consumo di Marlboro triplicato in breve tempo, che nessuno spodestò più il «Marlboro Man» a cavallo col cappellone e il lazo agganciato alla sella.
Erano anni senza divieti né l’obbligo di accompagnare il logo delle sigarette con messaggi tipo «il fumo uccide». E l’agenzia di Leo Burnett, che nei primi anni della campagna aveva usato attori e modelli, pian pano li sostituì con veri uomini della prateria che si muovevano in modo molto più naturale. Alcuni furono reclutati nei «ranch», altri durante un «rodeo». Fumatori veri, come Lawson, «Marlboro Man» dal 1978 all’81, che aveva il pacchetto di sigarette in tasca già a 14 anni. «Sapeva che il fumo lo stava distruggendo e in tarda età aveva cominciato a prestare la sua faccia alle campagne antifumo» ha raccontato domenica la moglie Susan annunciando la sua morte, «ma non è mai riuscito a smettere. Lo ha fatto quando era troppo tardi».
Lo stesso destino di Wayne McLaren, David McLean, morto di cancro polmonare nel 1995, Dick Hammer e David Millar (enfisema, scomparso nel 1987). L’azienda ha cercato di ridimensionare alcuni di questi casi, ma la sostanza della vicenda rimane.
Storie dolorose di un passato ormai remoto per Paesi come gli Usa o l’Italia, dove la pubblicità del fumo è stata abolita, più o meno rapidamente. Lawson si era dato ai «serial» televisivi: «Dynasty», «Baywatch», «Charlie’s Angels», «Streets od San Francisco». Ma in Paesi come la Germania e la Repubblica Ceca, l’immagine del «cow boy» con la sigaretta ha continuato a essere familiare fino a poco tempo fa e in Giappone «Marlboro Man» cavalca ancora.
Massimo Gaggi