Luisa Grion, la Repubblica 28/1/2014, 28 gennaio 2014
ELECTROLUX, TAGLI SHOCK AGLI STIPENDI
Tagliare i salari del 40 per cento a tutti i dipendenti e chiudere uno dei quattro stabilimenti, il più grande, che il gruppo ha in Italia. E questo il «sacrificio » che Electrolux, il colosso svedese degli elettrodomestici, pretende per restare qui e non delocalizzare altrove - Polonia e Ungheria - la produzione di lavatrici, piani cottura e frigoriferi. Una richiesta che il sindacato giudica un «ricatto inaccettabile »: scioperi e assemblee non bastano - precisano però Cgil, Cisl e Uil - è in gioco la politica industriale del Paese, «deve intervenire Palazzo Chigi».
Da ieri la già durissima vertenza Electrolux è diventata ancor più complessa. Il caso è scoppiato lo scorso ottobre, quando la multinazionale svedese - visto un calo dell’utile del 29 per cento - ha annunciato un taglio di 2000 posti, di cui 461 fra i 3.900 dipendenti che il gruppo ha in Italia, precisando che avrebbe aperto una indagine sulla competitività dei quattro siti nazionali: Porcia in provincia di Pordenone (1200 dipendenti); Solaro (Milano 900 addetti); Forlì con 800 lavoratori e Susegana (Treviso, 1000).
Ieri, durante un incontro con i sindacati in un hotel di Mestre il gruppo ha sferrato la sua proposta shock: per restare in Italia Electrolux chiede di portare i salari medi, oggi calcolati in 1400 euro, a 700-800 euro al mese, di tagliare dell’80 per cento i 2.700 euro di premi aziendali, bloccare gli scatti d’anzianità, diminuire a sei le ore di lavoro, non pagare le festività, dimezzare i permessi sindacali e ridurre le pause. Questo per «salvare» Solaro, Susegana e Forlì, perché per lo stabilimento di Porcia non ci sarebbe comunque niente da fare.
L’idea del vertice Electrolux è infatti quella di tagliare il costo del lavoro per ridurre il gap degli stabilimenti italiani rispetto a quello polacco e ungherese. Il costo orario dei quattro siti ammonterebbe a 24 euro contro i 7 di quelli nell’Est europeo; la manovra annunciata ridurrebbe il divario dai 3 ai 7 euro (a seconda delle produzioni dei vari stabilimenti), ma il sacrifico non basterebbe comunque a salvare il più grande degli stabilimenti, quello di Porcia. Il piano industriale presentato del gruppo prevede infatti (solo se i tagli saranno effettuati) investimenti negli altri tre siti (40 milioni per Solaro, 28 per Forlì e 22 per Susegana), ma precisa che le lavatrici prodotte nella fabbrica friulana costano comunque troppo e non reggono la concorrenza di altri marchi come Far Est, Samsung ed Lg. Niente soldi quindi per Porcia che, secondo le intenzioni del vertice aziendale, potrebbe essere salvata solo da «ulteriori potenziali proposte da parte di tutti gli attori coinvolti», denaro sonante dallo Stato e dalla Regione dunque.
I sindacati rifiutano in blocco il pacchetto: «Se non succede un miracolo entro aprile Porcia è persa e in due anni sarà la volta degli altri stabilimenti» commentano. Anna Travò, segretaria generale Cisl parla infatti di «programmi virtuali e budget poco credibili, tanto più che sono già venuti meno gli investimenti promessi per produrre il nuovo modello di frigorifero Cairo3 a Susegana». Stesso timore per Michela Spera, sindacalista Fiom che segue sul campo la questione: «Questa è una vertenza che tocca non solo gli accordi aziendali, ma anche il contratto nazionale. Va portata a Palazzo Chigi perché frutto del vuoto della politica industriale: non possiamo accettare che i lavoratori paghino da soli, sulla loro pelle, il costo di una delocalizzazione che riguarda tutto il settore». Anche per Salvatore Barone, responsabile delle politiche industriali della Cgil «questo è un caso che non ha precedenti, vengono chiesti enormi sacrifici ai lavoratori e si decide comunque la chiusura di una fabbrica».
Una richiesta, quella del tavolo nazionale, fatta sua dal presidente del Friuli Deborah Serracchiani: «Il governo non faccia il notaio della volontà svedese, Letta e Zanonato ci convochino per valutare proposte di rilancio - ha detto - chiudere Porcia è una prospettiva che non prendiamo in considerazione».
E di fatto Zanonato, ministro dello Sviluppo economico, sta lavorando per aprire un tavolo entro domani pomeriggio: «I prodotti italiani sono di buona qualità - ha precisato - ma risentono di costi produttivi che, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, sono al di sopra di quelli dei concorrenti». Di certo l’industria del «bianco» piange da anni, dal 2002 ad oggi la produzione italiana è crollata del 58 per cento: l’emergenza Electrolux si aggiunge ad un lungo elenco di aziende in difficoltà, a partire dalla Indesit. L’intero settore è in profonda crisi e Salvini, segretario della Lega Nord, ne approfitta per leggere la questione in termini anti-europei: «Non lavoratori ma schiavi - ha twittato - a questo ci hanno portato l’Unione Sovietica Europea e l’euro: per loro, si vive o si crepa nel nome del Mercato e del Profitto».