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 2014  gennaio 28 Martedì calendario

OBAMA AFFOGA NEI DEBITI, TORNA L’INCUBO DEFAULT

Dall’altra parte dell’oceano c’è un mostro che cresce insaziabile a vista d’occhio. È il debito federale degli Stati Uniti che si ingrossa di ben 10.000 dollari al secondo, cioè 36 milioni ogni ora, e che ieri sera sfiorava 17.338 miliardi di dollari. Ogni americano, compresi i bambini, ha un debito di 54.000 dollari. Proprio oggi il presidente Barack Obama terrà il suo discorso sullo stato dell’Unione. Cercherà, senza troppo successo,di tranquillizzare gli animi all’avvicinarsi della scadenza del 7 febbraio, quando scadrà quella «tregua» siglata in autunno, quando già il deficit aveva fatto bloccare per 16 giorni il pagamento degli stipendi federali.
Ieri, fra i primi a dare la sveglia, c’è stato il capogruppo dei Repubblicani al Senato di Washington, Mitch Mc Connell, che ha attaccato Obama, il quale vorrebbe semplicemente aumentare ancora il «tetto» legale del debito senza discutere provvedimenti per limitare la spesa pubblica. «È irresponsabile» ha detto Mc Connell «avanzare una richiesta del genere con il livello di debito che grava sulla nostra economia. Siamo disposti ad aiutare il presidente a creare nuovi posti di lavoro, ma non intendiamo avallare più spese, più debito e maggiori regole nel mercato. Alzare il limite legale del debito dovrebbe essere l’occasione per occuparsi del problema, anziché far nulla». Obama, dal canto suo, non solo sembra per ora sordo all’ipotesi di tagli strutturali, ma intende chiedere all’opposizione, che già ha maldigerito la sua riforma sanitaria detta «Obamacare», di ripristinare i sussidi per disoccupati varati fin dall’epoca del predecessore Bush e poi scaduti lo scorso 28 dicembre.
La Casa Bianca, fiutando lo scontro, ha diramato dal suo ufficio stampa: «Il presidente vede questo 2014 come l’anno del lavoro con il Congresso quando sarà possibile, e dello scavalcamento del Congresso quando sarà necessario». Come dire: «O con me o contro di me». Proprio quest’anno comincerà a farsi sentire la spesa per l’Obamacare, stimata in 1.300 miliardi nei prossimi 9 anni. Per non parlare delle spese militari, come il programma per il caccia F-35, che gli Usa potranno comprarsi in 2.400 unità, a oltre 150 milioni l’uno, solo se altri Paesi, come l’Italia, lo compreranno parte dei costi.
Il limite legale del debito federale, che nel 2013 era stato fissato a 16.700 miliardi, è stato, come si è visto, ormai ampiamente superato e se si vuole evitare la bancarotta occorre rinegoziarlo con i parlamentari, se possibile già nella prima metà di febbraio. Quando lo scorso ottobre si era trovato un accordo per congelare la questione fino al 7 febbraio, lasciando l’economia tranquilla almeno per tutto un mese successivo al Natale e alla sperata ripresa dei consumi, si sperava di poter avere nelle casse pubbliche soldi sufficienti per tirare a campare fino a marzo, in modo da contare su un buon margine di trattativa.
Ma pochi giorni fa ci si è messo anche il segretario al Tesoro Jacob Lew, secondo cui c’è molto meno tempo del previsto: «Dalle ultime informazioni crediamo che il Tesoro possa esaurire queste misure d’emergenza già prima della fine di febbraio. In particolare, nel febbraio 2014 lo Stato vedrà uscire più soldi del solito perché proprio verso la metà del mese si concentreranno i rimborsi fiscali ai cittadini che hanno versato in più».
Le dichiarazioni, e quindi anche i rimborsi, sono slittati un po’ più in là del previsto proprio a causa del precedente “shutdown”, quello di ottobre, che aveva bloccato per un paio di settimane la macchina amministrativa degli Usa. A conferma che il continuo rimandare il problema non fa altro che peggiorare la situazione con effetti cumulativi sui mesi seguenti. È vero che il 17 gennaio il Congresso ha approvato un bilancio ordinario da 1.100 miliardi di dollari che assicurerebbe gli stipendi pubblici fino al 30 settembre, ma servirà solo a evitare fino a quella data uno “shutdown” come quello di tre mesi e mezzo fa.
Ma è il nodo del debito totale a preoccupare, facendo rischiare una bancarotta che trascinerebbe i maggiori creditori degli Usa, come la Cina e non solo.