Roberto Giardina, ItaliaOggi 28/1/2014, 28 gennaio 2014
SBAGLIATO VEDERE HITLER OVUNQUE
Mi hanno invitato a un convegno sulla giornata della memoria a Roma. I tedeschi. E questo già mi rende sospetto agli italiani. Sto dall’altra parte? Si vede che il passato non passa ancora, non del tutto, non per tutti. In Israele, giustamente, hanno deciso di condannare l’abuso del termine «nazismo».
Si banalizza, e si creano pericolosi equivoci per i giovani. Parlarne a sproposito, in fondo, offende le vittime. Gli ebrei, e non solo loro.
Lo scrittore Martin Walser fu quasi linciato quando anni fa ammonì a non tirare fuori Hitler ogni volta che veniva bruciato un chiosco di kebab in Germania. Ma ci voleva poco a capire che cosa intendesse, e accusarlo, a sua volta, di razzismo era un’idiozia. E ora si cita il III Reich anche per criticare la politica di Frau Merkel. A Londra, i vignettisti la ritraggono con i baffetti del Führer o con l’elmo chiodato di Bismarck sulla bionda chioma. Povera signora. Ed è un insulto per le vittime e per i sopravvissuti. Lei vuole conquistare l’Europa con l’euro, e ci sta riuscendo, mentre Adolf fallì con i panzer. Anche il Führer, si ricorda, aveva progettato una moneta unica, dopo la guerra, per i territori assoggettati. Come dire, una moneta unica europea. Questo è vero, ma era un’idea anche di Napoleone Bonaparte, con cui Sarkozy e Mitterand avevano in comune (quasi) la statura. E pure Hollande non è un gigante, in tutti i sensi. Se si tirano fuori questi argomenti, vuol dire che si è con le spalle al muro.
Qualcuno sostiene che se la Germania pagasse i danni di guerra alla Grecia, Atene sarebbe fuori dai guai. Per la verità, fatti calcoli, con rivalutazione e interessi composti, si arriverebbe a una settantina di miliardi, un decimo di quanto occorre ad Atene. Poi, i tedeschi li hanno pagati. In un congresso a Londra, nel febbraio del ’53, a cui parteciparono 65 paesi, anche noi e la Grecia, si decise che alla neonata Repubblica Federale sarebbe bastato versare il 5%. Allora, la Germania era un baluardo contro l’impero del male sovietico, e si chiuse un occhio. E, se dovessero pagare i connazionali di Frau Angela, dovremmo saldare il debito anche noi. Abbiamo dimenticato che eravamo alleati di Adolf, e che in Grecia li chiamammo noi in aiuto. Nella giornata della memoria dovremmo ricordare tutto, non solo quel che ci fa comodo. Già dimenticate le manifestazioni in onore di Priebke, qualche mese fa?
Quest’anno, inoltre, ricorre il centenario della Grande Guerra, che cominciò senza di noi nel 1914. Noi impiegammo dieci mesi a deciderci: neutrali, con Vienna e Berlino, o con Parigi e gli inglesi? A un certo punto, per nove giorni tra la fine di aprile e l’inizio di maggio 1915, dopo il patto «segreto» di Londra, fummo alleati di tutti. Sono usciti centinaia di saggi sulla guerra, e, per la verità, in volumi di mille pagine spesso agli italiani dedicano una ventina di righe. Non eravamo poi così secondari, se in quella lunga neutralità eravamo corteggiati da tutti? Ma nessuno in Germania o in Austria ci taccia ancora di «traditori». Gli storici seri non ci pensano neanche. E, poi, Conrad, il capo di stato maggiore della Felix Austria, aveva progettato un «colpo di mano» per risolvere il problema dell’Italietta, nel 1909 nei giorni seguenti al terremoto di Messina, per coglierci in un momento di difficoltà. Come parlare di lealtà. Però, forse, dovremmo smetterla di celebrare ancora a novembre il giorno della nostra vittoria nel 1918. Da queste parti se ne meravigliano. Non siamo ormai tutti uniti in Europa, pur litigando? E dove si combatté cent’anni fa, sulle pianure della Francia, o sulle Alpi, morendo a decine migliaia per conquistare dieci metri, oggi si corre in autostrada per andare in vacanza. La memoria è vitale, ma c’è modo e modo di ricordare.