Massimo Franchi, L’Unità 28/1/2014, 28 gennaio 2014
ELECTROLUX: «VOLETE IL LAVORO? DIMEZZATE LE BUSTE PAGA»
Come evitare di far delocalizzare gli stabilimenti italiani in Polonia? Facile. Basta adeguare gli stipendi dei lavoratori italiani a quelli polacchi. Il ragionamento di Electrolux, la multinazionale svedese degli elettrodomestici, è stato proprio questo.
E dunque nell’atteso incontro di ieri a Mestre tra azienda-sindacati ha proposto un fortissimo taglio del costo del lavoro. Fatto della sospensione della parte variabile dei premi aziendali (stimabile in 2.700 euro l’anno), del congelamento degli scatti di anzianità e del pagamento dell’indennità di festività per chi lavora la domenica. Il tutto per un periodo indeterminato. Se non bastasse, l’azienda vuole imporre una giornata lavorativa di 6 ore, rispetto alle attuali 8, e su questo taglio vuole riparametrare (tagliandole dunque) le pause. Senza dimenticare il taglio delle ore per i permessi sindacali e delle ore di assemblea.
Fatti due conti si tratta di circa 700-800 euro per chi ha uno stipendio di 1.400 euro al mese: praticamente la metà del salario. Peggio del modello Pomigliano di Marchionne. Un piano «prendere o lasciare» che però non basterebbe a salvare lo stabilimento di Porcia, il più grande in Italia, in provincia di Pordenone. Solo ad aprile i 1.200 lavoratori avrebbero la certezza della chiusura della loro fabbrica, ma già ieri l’azienda ha fatto capire che il loro destino è segnato.
A Porcia già da ieri è scattato lo sciopero e questa mattina i sindacati terranno in ogni stabilimento le assemblee per decidere le forme più adatte di mobilitazione.
Per ora dunque sarebbero salve le fabbriche di Solaro (Milano) dove circa si producono lavastoviglie, di Forlì dove si producono forni e piani cottura e di Susegana (Treviso), dove si fanno i frigoriferi. Ma anche qui se non passasse l’idea di passare a sei ore al giorno gli esuberi sarebbero tanti: 182 (su 800 circa) a Solaro, 160 (su 900 circa) a Forlì, 331 (su circa mille) a Susegna, più 150 tra lo staff su un totale di 5.700 dipendenti. Su tutte pesa l’«investigazione» annunciata il 25 ottobre che si chiuderà ad aprile.
A Mestre i manager, guidati dall’amministratore delegato italiano Ernesto Ferrario, sono stati durissimi. Un elenco di tagli senza concedere niente ai sindacati. Il termine di paragone per gli svedesi è quello del nuovo stabilimento polacco di Olawa, Bassa Slesia. Lì lo stipendio medio è di 2.300 szloty (circa 540 euro) al mese, con costo medio orario di 11 euro (contro i 24 euro italiani).
Lì Electrolux ha appena spostato la produzione delle lavatrici Prometeo su una piattaforma praticamente uguale a quella di Porcia. Lì però Electrolux può sfruttare sgravi del 50 per cento sul capitale investito, un costo dell’energia del 30 per cento in meno, terreni chiavi in mano in 3 mesi. Una proposta simile era arrivata nelle settimane dalla Confindustria Pordenone, anche se valida per l’intero territorio provinciale, ma il cui primo banco di prova era proprio la vertenza Electrolux.
Messa a punto dal giuslavorista Tiziano Treu e dall’ex direttore generale di viale dell’Astronamia Innocenzo Cipolletta prevedeva un taglio del 20 per cento del costo del lavoro in parte ripagato tramite un welfare aziendale e territoriale. Una sorta di assist per Electrolux che si è vista la strada già aperta e non ha avuto problemi a chiedere ai sindacati di adeguarsi all’andazzo generale. Sindacati dai quali però è arrivato subito un «No» deciso e unitario.
«Per la Fiom il piano è inaccettabile - attacca il segretario nazionale Michela Spera - . Chiediamo che sia direttamente Enrico Letta a convocare il sindacato e l’azienda. Solo il presidente del Consiglio può mettere la multinazionale di fronte alle proprie responsabilità ed individuare soluzioni per ridare competitività alle produzioni italiane, per ridurre il costo del lavoro, senza tagliare salari e diritti, ma puntando su innovazione e risparmio energetico. Dobbiamo intervenire perché l’elettrodomestico è il secondo settore dopo l’automotive per addetti in Italia», sottolinea Spera. «Rifiutiamo questa ipotesi alla quale ci opponiamo fermamente - attacca Anna Trovò, segretario nazionale Fim-Cisl - . Electrolux deve modificare assolutamente i suoi progetti. Serve un forte ed immediato intervento istituzionale a tutti i livelli, servono immediatamente risposte efficaci e rapide: il governo intervenga».
«Le proposte di riorganizzazione ascoltate a Mestre confermano il rischio di desertificazione industriale - dichiara Rocco Palombella, segretario generale della Uilm - . Il settore elettrodomestico è la cartina di tornasole di questa amara realtà, la vertenza Electrolux rappresenta il “canto del cigno”. Per quanto ci riguarda questo è il tempo della lotta dura e a oltranza. Il governo, se c’è, almeno si faccia sentire», chiude Palombella. Nei giorni scorsi il presidente della Regione Friuli (dov’è lo stabilimento di Porcia), Deborah Serracchiani, aveva chiesto le dimissioni del ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, per non aver convocato il tavolo tripartito (azienda, sindacati, istituzioni) chiesto da Serracchiani e dagli altri presidenti di Regione coinvolti a fine ottobre.
«Letta e Zanonato ci convochino immediatamente per valutare assieme le proposte da rilanciare alla multinazionale: il governo non faccia il notaio della volontà svedese - ha ribadito ieri Serracchiani - ma si sappia che per il Friuli la chiusura di Porcia è una prospettiva che non prendiamo in considerazione».