Marco Consoli, Focus 2/2014, 27 gennaio 2014
VI SVELO IL FASCINO SEGRETO DELLE CREATURE ORRIBILI
[Shane Mahan]
1 Lei ha contribuito a realizzare creature terrificanti per film come Alien, Predator, Leviathan, La mummia e molte altre pellicole. Perché per i mostri proviamo allo stesso tempo attrazione e repulsione?
Se abitassi in un luogo in cui non esistono elefanti, la prima volta che ne vedessi uno rimarrei affascinato e terrorizzato. Nell’antica Grecia le persone credevano di poter incontrare la Medusa o l’Idra. Oggi non è più così, perciò andiamo al cinema a vedere generi come horror, fantascienza, avventura: da un lato siamo alla ricerca del mistero e della meraviglia, e dall’altro soddisfiamo il desiderio di essere spaventati collettivamente, come in una strana forma di cameratismo. E ci sono due tipi di spettatori: chi spera che Freddy Krueger (il protagonista della saga cinematografica Nightmare, ndr) squarti le persone, e chi spera che sia fermato. Quando si crea un mostro bisogna tenere conto delle diverse sensibilità.
2 A che cosa vi ispirate per dare vita alle vostre creature?
Dipende dalle richieste del regista, ma spesso si fa riferimento alla mitologia di varie epoche: quando devi inventare un essere metà uomo e metà animale, che sia un lupo mannaro o un Minotauro, sai che è già stato fatto migliaia di anni fa dagli Egizi con Horus, o dai Greci, che davano agli dèi le doti degli animali, come il coraggio del leone o la forza del toro.
3 In quanti modi può spaventarci un mostro?
Chi scrive una sceneggiatura sa già quali paure vuole stimolare con un demone, un fantasma o un alieno. Però nel crearlo non abbiamo una vera guida che dica quale stato d’animo susciterà la nostra creatura. Quindi si procede seguendo l’istinto, dialogando con regista e sceneggiatore. E per spaventare c’è bisogno di una costruzione di senso attorno al mostro, data dagli attori, dalla regia, dalle musiche e dalle inquadrature. Per esempio, gli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo suscitano stupore e rassicurano, mentre quello di Alien, con l’acido al posto del sangue e le zanne per mangiare il cervello, crea terrore. A volte si vuole provocare repulsione, altre volte dare un senso di inquietudine o di raccapriccio. Spesso le persone sono spaventate da una creatura che vedono appena, come un fantasma, o che è verosimile, come una persona posseduta.
4 Quanto la conoscenza scientifica influenza la creazione di un mostro?
Moltissimo. Per esempio per Jurassic Park abbiamo lavorato fianco a fianco con i paleontologi. Ma anche per altri mostri è servito conoscere e riferirsi all’anatomia animale. In John Carter i marziani hanno parti di elefanti, rinoceronti, ecc. Tutto questo serve a rendere le creature più credibili; perché chi guarda, per provare paura, deve potersi relazionare con qualcosa che conosce. Non a caso, una delle richieste più consuete di un regista che non è del tutto soddisfatto dell’aspetto di un mostro che abbiamo creato è di renderlo “riconoscibile”. Per esempio, inserendo in lui qualcosa che assomigli di più a un volto.
5 In che cosa consiste il suo lavoro?
La gran parte è creare il trucco da applicare sul corpo o sul viso del personaggio, come per denti, occhi, nasi. Per le protesi si parte da un calco scolpito in argilla, anche se i materiali di oggi sono più sofisticati di un tempo. Spesso usiamo il computer per disegnare sculture digitali e produrre poi gli elementi da applicare sul corpo dell’attore, come è accaduto per le tute di Iron Man o Robocop.
Ma vale sempre la regola aurea che dice che nell’horror meno fai vedere e più spaventi, perché ciò che non si vede è riempito dall’immaginazione degli spettatori. Così, quando alla fine il mostro appare, la sensazione di paura è amplificata.
Marco Consoli