Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 26/1/2014, 26 gennaio 2014
ITALCEMENTI, UNA LUNGA CORSA TRA ITALIA E GLOBALIZZAZIONE
La storia di Italcementi e della famiglia Pesenti come un romanzo - umano e imprenditoriale - denso di colpi di scena, di successi e di attese, di scossoni e di riprese. Una storia che, per una volta nel capitalismo italiano, a un certo punto non si esaurisce ma prosegue, vivificata oggi da una dimensione internazionale sospesa fra Bergamo e i mercati globali.
Si forma e si nutre nella placenta della prima industrializzazione post-unitaria. L’8 febbraio 1864, la Società Bergamasca per la fabbricazione del cemento e della calce idraulica realizza la prima "cottura" in un piccolo forno di una villa di Scanzo. Questo cemento idraulico dimostra ottime qualità tanto che viene adoperato nel 1867 per il ponte a sedici arcate sul fiume Adda a Rivolta d’Adda, nel 1868 per la stazione ferroviaria di Santa Lucia a Venezia e nel 1869 per il Canale di Suez in Egitto.
All’inizio del Novecento il gruppo ha 12 cementerie, produce un paio di milioni di quintali prodotti all’anno e ha 1.200 addetti: a consolidare questa sua fisionomia tutt’altro che irrilevante sono le commesse di una età giolittiana che ha uno dei suoi cardini nella costruzione di infrastrutture che devono modernizzare e collegare meglio il Paese.
I Pesenti escono dalla tempesta di acciaio della prima guerra mondiale e dal caos del biennio rosso che prelude all’instaurazione del regime mussoliniano scegliendo nel 1925 - gesto di modernizzazione anticipatrice - di quotarsi alla Borsa di Milano. Nel 1927, a sessant’anni dalla fondazione, il loro gruppo ha 33 cementerie, produce 18 milioni di quintali per esercizio e ha il 44% del mercato nazionale. Allora - secondo una caratteristica che si riprodurrà nei decenni successivi - viene stabilita la regola informale che comanda un Pesenti alla volta: è Cesare, un tecnico sopraffino specialista di cemento armato e semi-armato.
Dopo le macerie e la violenza della seconda guerra mondiale, Italcementi cresce con e nel boom economico - il Grattacielo Pirelli di Giò Ponti a Milano nel 1956 e ogni anno un pezzo nuovo dell’Autostrada del Sole da costruire - diventando uno dei protagonisti di un Paese che si sta trasformando - con una inconsapevole felicità e una rude voglia di fare - uno dei motori dello sviluppo mondiale. Quella Italia, al di là di una modernizzazione secolarizzante, resta anche una grande provincia cattolica. Un cattolicesimo pragmatico che costituisce bene la cifra dei Pesenti. I quali, quando decidono di regalare un asilo per cento bimbi più un oratorio, una cappella e un convitto per le suore a Sotto il Monte, paese di Giovanni XXIII, ricevono dal Papa una lettera commossa: «Abbiamo motivo di immaginare che per la circostanza, quasi attratte dall’onda festosa delle campane del colle San Giovanni, della chiesa parrocchiale e di S. Maria di Brusico, sarà come un convenire lietissimo di anime che dal cielo e dalla terra esultano assieme ai cari nostri conterranei, e li incoraggiano al ben volere e al ben fare per il presente e per l’avvenire».
Allora la figura di riferimento è Carlo Pesenti, propugnatore nell’Italia degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta di una serie di diversificazioni in capo alla holding Italmobiliare - dall’editoria alle assicurazioni, dalle banche all’auto (la Lancia tra il 1956 e il 1969) - che trasformano la famiglia bergamasca in uno dei principali fuochi del potere italiano, in alcuni passaggi in cooperazione in altri in conflitto con il resto dell’establishment, in particolare con gli Agnelli.
Nel 1984, alla morte di Carlo, il figlio Giampiero sceglie di tornare a fare soprattutto - se non solo - cemento e di avvicinarsi a Enrico Cuccia, tanto che nel 1988 diventerà presidente di Gemina (con vicepresidente uno degli uomini della finanza Fiat, Francesco Paolo Mattioli). Alla fine degli anni Ottanta, però, inizia quella internazionalizzazione che consentirà al gruppo di emanciparsi da ogni diretta cogenza italiana, nella esattezza dei conti e dei bilanci e nella opacità del gioco del potere. Italcementi rileva alcune quote di società americane. Ma è soprattutto nel 1992 che acquisisce Ciments Français, di dimensione doppia rispetto alla sua. Il peso dell’Italia sui ricavi scende dal 97% al 27,5%, mentre le 51 cementerie si trovano ora in 13 Paesi.
Dunque, il gruppo bergamasco attraversa gli anni Novanta e non muore, sopravvivendo alla maledizione storica di un decennio in cui molte famiglie del capitalismo italiano hanno visto ridimensionare le loro attività produttive e manifatturiere, mentre una parte della grande economia pubblica veniva smantellata per eccesso di marcescenza o era privatizzata secondo logiche di break up degli aggregati industriali di matrice Iri che hanno favorito la rimodulazione del nostro tessuto produttivo su dimensioni sub-ottimali medie e medio-piccole.
Superata così la prova degli anni Novanta, nel 2004 è diventato consigliere delegato Carlo Pesenti, figlio di Giampiero e rappresentante della quinta generazione, il quale ha finora caratterizzato la sua attività, oltre che con l’internazionalizzazione, anche con una efficienza energetica informata di tecnologie green. Non a caso, quest’anno sarà inaugurata la cementeria di Rezzato, in provincia di Brescia, costruita nel 1964 - anno del centenario - e riconvertita alla piena ecosostenibilità con un investimento da 150 milioni di euro, il nuovo capitolo centocinquant’anni dopo l’inizio di questa storia.