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 2014  gennaio 27 Lunedì calendario

PALLINATO SU ANGIOLA ARMELLINI PER IL FOGLIO DEI FOGLI 27 GENNAIO 2014


Le tasse le pagano solo i plebei» (Leona Helmsley, 93 anni, imperatrice immobiliare di New York) [1].

Angiola Armellini, 56 anni, imprenditrice, regina dei salotti romani, ex compagna di Bruno Tabacci e figlia del palazzinaro Renato. Secondo la Guardia di finanza tra il 2003 e il 2012 ha nascosto al fisco un tesoro di oltre 2,1 miliardi di euro. Risulta infatti proprietaria di 1.243 immobili, di cui tre alberghi, 1.230 case a Roma, le altre a Sezze e Pomezia, in provincia di Latina, che non ha mai denunciato nella dichiarazione dei redditi e di cui non ha tanto meno mai versato Ici e Imu per diversi milioni di euro. Come se non bastasse, ha evaso le tasse per 190 milioni di euro [2].

I milleduecento e rotti appartamenti, individuati dalla tributaria al termine di un’indagine durata un anno e mezzo [3].

La Armellini, «elegantissima, definita dai nemici (le persone che non saluta) una radical chic che sempre strizza l’occhio ai salotti di sinistra, fino al 2008 ha fatto coppia con l’ex Dc, ora Centro democratico, Bruno Tabacci» [4].

Alcune dichiarazioni di Tabacci a Marco Bresolin della Stampa a proposito della Armellini: «Non sento la signora da sei anni»; «Magari mi sarà pure capitato di parlarci nel 2011, ma solo per gli auguri di Natale...»; «Sapevo che era una signora ricca, e allora? Non sono mai stato il suo consulente finanziario né il suo commercialista»; «Senta, la Armellini è una bella signora. Lo sa che ai suoi incontri partecipava tutta la bella Roma che conta? Non era una che aveva la nomea di essere una frodatrice fiscale. Non è mica la signora Ruby...» [5].

«Non è Ruby. Se fossero vere le accuse, sarebbe molto peggio. Poiché la signora Rubacuori, al secolo Karima El Marough, sarà anche stata una prostituta e si sarà fatta retribuire per i suoi preziosi servigi. Ma, se ha rubato soldi, li ha presi a Silvio Berlusconi e altri malcapitati. Non ha sottratto due miliardi e cento milioni di euro al fisco, cioè allo Stato, cioè a noi. Ma, in base al Tabacci-pensiero, è meglio evadere cifre astronomiche che passare per la nipote di Mubarak» [6].

Angiola Armellini è presidente della Fondazione Renato Armellini, istituita in ricordo del padre morto a 63 anni per un infarto in mare dopo una vita assai più pericolosa. Nel ’77 arrestato per bancarotta fraudolenta, nel ’78 per truffa aggravata e nel ’79 per lottizzazioni abusive a Pomezia, nell’80 è vittima di un sequestro: un commando fa irruzione nei suoi uffici di via Laurentina e lo porta via con una pistola puntata alla tempia. Viene rilasciato dopo 263 giorni in Calabria in seguito al pagamento di un riscatto – si vociferò di 4 miliardi delle vecchie lire – alla ’ndrangheta. Nel ’93 un nuovo blitz turba lui e la sua famiglia: cinque ladri armati entrano nella bella villa all’Eur e si fanno consegnare i soldi della cassaforte [7].

A sedici anni Angiola, reagendo ai banditi, riuscì a sfuggire a un tentativo di rapimento [8].

Giuliano Gallo sul Corriere della sera, nel 1996, a proposito di Renato Armellini: «Il suo capolavoro assoluto, il punto più alto della sua creatività, è forse il palazzo di via Marco Papio 15, al Tuscolano: sette piani, 108 appartamenti, tre scale. Un edificio del 1968, a suo modo leggendario. I primi inquilini, che avevano pagato per il privilegio di entrarci un milione e 800 mila lire a vano (trent’anni fa), ne avevano scoperto fin dal primo giorno le sorprendenti caratteristiche. La luce, ad esempio: le prese erano tutte al loro posto, ma mancava l’allaccio con la rete esterna. Quanto a cucinare, nemmeno a parlarne: negli appartamenti mancavano le canne fumarie. Ma la cosa più straordinaria erano i rubinetti dell’acqua: erano solo cementati nel muro, senza il collegamento con i tubi. A suo modo era un genio, Renato Armellini. Un genio protervo e sfuggente, spietato come un mercante di schiavi, spregiudicato come un giocatore di poker professionista. E avido. Di un’avidità senza limiti» [9].

«Figlio di Annibale, muratore marchigiano emigrato a Roma durante il fascismo, Renato Armellini, morto il 18 agosto ’93 all’Argentario, mentre faceva il bagno davanti alla sua villa alla Giannella, era arrivato appena a strappare un diploma da geometra. Ma una volta divenuto ricco aveva cominciato a farsi chiamare “ingegnere”. L’unica sua debolezza, assieme a quella di dare alle sue società nomi presi dalla mitologia: Fillade, Pelopia, Ecerno, Ixia, Firogena... Alla fine ne aveva messe in piedi 130: un mirabolante sistema di scatole cinesi, che tutto assieme valeva almeno 1.500 miliardi. E le scatole avevano contribuito a cementare la Capitale: 3 mila e 600 appartamenti, 90 mila metri cubi. In spregio ad ogni regola, ad ogni vincolo urbanistico. Per vendere le sue orribili creature, Renato Armellini ricorreva ad ogni mezzo: bustarelle, pressioni, blandizie» [9].

«Sia chiaro: la figlia del palazzinaro Renato Armellini, il “re del mattone” per il quale fu adattato (“Quod non fecerunt barbari, fecerunt Armellini”) un antico e feroce adagio contro la famiglia Barberini, è innocente finché non sarà condannata nei tre gradi di giudizio. Auguri. Come ricorda il Messaggero, tuttavia, non solo il padre finì in numerose inchieste giudiziarie per bancarotta e truffa, e si sa che le colpe non possono ricadere sui figli, ma lei stessa “nel 1991, assieme al padre e alla sorella Francesca, era rimasta coinvolta in una frode fiscale e falso in bilancio per oltre 500 miliardi di lire. E ancora, nel 1996, assieme all’ex marito Alessandro Mei, in una bancarotta fraudolenta da 200 miliardi di lire”. Insomma, non è nuova a grattacapi del genere» [1].

«Un’Ansa del 1996 ricorda: “Un’amnistia ‘salva’ dal fisco gli eredi del costruttore Armellini. La settima sezione del Tribunale di Roma ha infatti concesso l’amnistia ad Angiola, Francesca ed Alessandra Armellini, figlie di Renato, imputate di evasione fiscale e falso in bilancio per avere occultato – secondo quanto afferma l’associazione Codacons in un comunicato – profitti per circa 1.000 miliardi di lire. In seguito a una denuncia di un collaboratore di Armellini gli inquirenti indagarono su quattro società che attraverso un gioco di fusioni e accorpamenti e false partecipazioni avrebbero occultato profitti di un’attività edilizia molto vasta: ben 2.500 appartamenti costruiti e venduti nella Capitale. La Guardia di finanza accertò nel 1988 l’evasione fiscale e le falsità compiute per nascondere i profitti. Le eredi di Renato Armellini hanno ottenuto un condono per 10 miliardi rateizzati al posto dei 350 miliardi evasi. Nel corso del processo i difensori hanno sostenuto che la somma sborsata dagli Armellini era sufficiente perché nessun ufficio fiscale aveva inviato un avviso di accertamento dei redditi evasi. Così come nessun giudice aveva inviato entro il novembre ’92 un decreto di citazione a giudizio. In casi del genere, hanno spiegato gli avvocati, il condono si ottiene pagando un’imposta sul 20% di quanto dichiarato nella denuncia dei redditi”» [1].

Nel 1996 il Codacons, avvertendo che avrebbe denunciato tutti, chiedeva furente come mai «queste fortune capitano solo ai palazzinari? Come mai l’ufficio delle imposte ha omesso di notificare agli Armellini gli avvisi di accertamento per i profitti occultati? Come mai il giudice istruttore ha lasciato trascorrere due anni prima di ordinare il rinvio a giudizio? Come mai il presidente della settima sezione ha lasciato passare un altro anno prima di citare a giudizio gli Armellini?”» [1].

«L’abilità di madame Armellini è di sicuro notevole, anche se è da censurare sotto il profilo etico, poiché pagare i tributi è un dovere (non certo un piacere). Un’abilità talmente grande da lasciarci a bocca aperta. Noi, infatti, come forse chi ci legge, non siamo mai stati in grado di far passare in cavalleria nemmeno lo straccio di un monolocale; lei invece (genio del male?) è stata così brava da aver nascosto addirittura 1.243 alloggi sui quali non ha mai – e sottolineo mai – versato un centesimo all’erario. […] bisognerà comprendere come sia stato possibile che oltre un migliaio di appartamenti siano sfuggiti agli aguzzini delle tasse, gli stessi che a noi non perdonano neanche un euro, neanche una piastrella, neanche un mattone omesso dalla denuncia dei redditi. Probabilmente è vero che se evadi o eludi per pochi spiccioli sei un ladro, mentre se evadi per milioni, anzi miliardi, sei uno che sa stare al mondo. Significa che il mondo si è capovolto?» (Vittorio Feltri) [10].

(a cura di Roberta Mercuri)

Fonti: [1] Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 23/1 [2] Tutti i giornali del 21/1 [3] Peppe Rinaldi, Libero, 21/1 [4] Raffaella Troili, Il Messaggero 21/1 [5] Marco Bresolin, La Stampa 23/1 [6] Francesco Borgonovo, Libero 24/1 [7] Raffaella Troili, Il Messaggero 21/1, Grazia Longo, La Stampa 21/1 [8] La Repubblica, 21/1 [9] Giuliano Gallo, Corriere della Sera 5/7/1996 [10] Vittorio Feltri, Il Giornale 22/1.