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 2014  gennaio 26 Domenica calendario

I NOSTRI SOLDI NON VALGONO PIÙ NIENTE


Cambio, euro, dolares, reales, cambio, cambio, cambio. Ehi, bello, vuoi cambiare?». Il ragazzo che ripete la cantilena ha l’aspetto tipico di uno spacciatore. Tuta di nylon, orecchini fluo e un profumo eccessivo, solo che nelle sue tasche non ci sono polveri o pastiglie, ma banconote, almeno quattro valute diverse. «Quanto costa l’euro, amigo?». Tredici e cinquanta. Quattordici e settanta. Quindici. Ognuno ha il suo prezzo. Se sei un commerciante, un impiegato o un turista nell’Argentina di questa fine gennaio 2014, hai visto il peso diventarti carta straccia tra le mani (-125% in un giorno) e hai sentito il ministro dell’Economia promettere che lunedì ti lascerà comprare i dollari, per mettere al sicuro i tuoi risparmi. Nel frattempo, mentre decidi se crederci o no, ci sono 72 ore di attesa, dubbi e necessità.
Emanuel fa il cambiavalute clandestino da circa due anni. Più o meno da quando il governo di Cristina Kirchner ha deciso di vietare a lui e a tutti i suoi concittadini di comprare monete estere, se non in piccole quantità, per frenare l’emorragia di dollari dalle casse della Banca Centrale. Nel gergo della finanza locale è un arbolito, un alberello, che sta sul marciapiede a far gli scambi. Ha lo sguardo onesto, un flirt con la fioraia all’angolo e una certa antipatia per la polizia fiscale: «Non mi lasciano lavorare». Da quando venerdì mattina i ministri Capitanich e Kicilloff hanno annunciato che il freno cambiario sarà allentato, ha visto le sue banconote straniere perdere il 3% del valore, ma i clienti non sono calati e ride se gli si chiede chi guadagna di più tra lui e il commesso del negozio qui accanto.
Eppure, anche quel commesso potrebbe essere a sua volta un arbolito. Quelle che gli argentini chiamano «caverne» del cambio clandestino, infatti, si nascondono dietro le attività più diverse. Quattro turisti comaschi, che hanno appena trascorso 20 giorni in Patagonia, sono venuti nella city a cambiare 10 euro per le ultime spese prima della partenza. Appena arrivati, il tour operator di Livorno li ha accompagnati in un negozio di souvenir alla Boca, dove per ricordo si sono portati via una mazzetta di banconote. «Lì cambiare è più sicuro rispetto alla strada - dicono quasi divertiti dalla situazione - ma il prezzo è peggiore».
Tutto sommato, a loro è andata anche bene. Edgar, un cileno corpulento, è stato mandato in macelleria. «Ho comprato un pollo con 100 dollari e di resto mi hanno dato 952 pesos, cioè, mi hanno scalato il costo del pollo. Se ci pensavo prima cambiavo di più, perché adesso mi tocca comprarne un altro». Emanuel, il macellaio e tutti i loro colleghi esistono perché esiste il bisogno di investire in beni durevoli. Le restrizioni al cambio, invece, sono state messe perché con le esportazioni basse e una forte domanda interna di dollari, le riserve si stavano prosciugando (-30% nel 2013).
L’alternativa alle banconote e all’oro sono le case o le automobili. Il ceppo sui dollari ha bloccato le vendite nel mercato del mattone, che prima funzionava solo coi biglietti verdi e adesso scambia quasi solo contratti d’affitto corti e facili da adeguare all’inflazione. D’altra parte, i concessionari auto saranno aperti come al solito nel week-end, ma senza poter vendere. «Faccio vedere la macchina, ma non posso dire il prezzo. Realmente non ho idea di quanto costi finché non aprirà la Borsa lunedì», racconta Eduardo, 36 anni nel settore. Dall’altro lato della strada, Gaston gli fa eco: «Ieri ne ho venduta una e adesso non so cosa dirà il capo. La gente insiste per comprare. È convinta che la prossima settimana l’auto varrà più dei pesos che ci ha speso, ma noi non capiamo se ci conviene o no.
Abituati e quasi rassegnati alle crisi cicliche, gli argentini sbuffano, imprecano e sperano, ma sembrano tutti d’accordo su una cosa: questa volta non è dura come nel 2001, quando il default gettò il Paese nel caos. O almeno sembra, visto che anche i procuratori di calcio hanno spento i cellulari: «Questa settimana non si muoverà niente - dice Ezequiel Manera, manager di José El Principito Sosa, passato per il Napoli e ora all’Atletico Madrid - ma non preoccupatevi, i grandi campioni si trattano sempre, anche con una guerra in corso».