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 2014  gennaio 26 Domenica calendario

DOROTEA, LA DOMESTICA TRADITA DALLA TESSERA PUNTI


L’ultimo tassello di un delitto molto spesso è il primo. Adesso che anche Dorotea De Pippo, l’ex colf della famiglia massacrata a Caselle, è finita in carcere, è facile ricordarla nel giorno in cui vennero scoperti i morti mentre accompagnava i carabinieri del Ris in quella casa dell’orrore, parlando e sorridendo quasi, con il cappotto scuro e una sciarpa rossa, e i guanti di lattice bianchi come se fosse una di loro. Dieci ore era durato quel sopralluogo. E forse sin dall’inizio le indagini hanno girato più attorno a lei che a tutti gli altri protagonisti di questa vicenda. Piccola, magra, gli occhi truccati abbastanza vistosamente in un volto segnato da tutte le rughe dei suoi 52 anni, la chioma gonfia di capelli neri, era apparsa troppo fredda e furba, proprio come la descrivevano i vicini di casa quando dicevano che lui, il Palmieri, l’assassino reo confesso, «era un taciturno che usciva per portare a spasso il suo alano gigante, salutando sempre tutti educatamente» mentre lei no, «parlava sempre troppo e metteva zizzania, era prepotente e scaltra, e lo comandava a bacchetta». Ma se alla fine Giorgio Palmieri avrebbe confessato tutto in un raptus di gelosia (con i carabinieri che continuavano a dirgli «leggi il giornale, tu sei qui che la proteggi e lei esce con uno più giovane di vent’anni»), Dorotea continua a negare con ostinazione: «Io non c’entro nulla, e quello lì non lo vedo da quando ci siamo lasciati, il primo di gennaio».
Contro di lei ci sarebbero parecchie prove: la testimonianza dell’ex confidente, un incrocio di telefonate poche ore prima del massacro, fra lei, il Palmieri e una delle vittime, la padrona di casa che l’aveva licenziata per una collanina rubata, e l’uso di tre bancomat spariti dalla casa della strage. Eppure Dorotea non ha mai perso la sua sicurezza. Nemmeno adesso, ed è questo che colpisce, come se nonostante tutto apparisse molto diversa dalla rappresentazione che ne fa la cronaca.
Quando i carabinieri tenevano sotto interrogatorio il figlio della coppia uccisa, Maurizio Allione, lei era passata con due amiche davanti alla caserma e, al giornalista che l’aveva avvicinata, aveva detto che se sospettavano di lui era «un grosso abbaglio», che lei lo conosceva bene, aveva un ottimo rapporto con i genitori e non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Parole diverse per l’ex compagno Palmieri, arrestato e torchiato per otto ore. «Come si fa a difenderlo? - diceva dalla casa del figlio 35enne, dove si era rifugiata insieme alla figlia - Per quello che ha fatto, spero solo che muoia in galera. Non so che dirle, io sono arrabbiata e sconvolta. Ha distrutto due famiglie, anche la nostra. Mia figlia sta malissimo, quasi non riesce a parlare. E pure io sono due giorni che non riesco a mangiare e dormire».
Racconta che aveva lavorato più di 4 anni come colf dagli Allione e che era stata lei a presentare il suo convivente, «quando avevano avuto bisogno di fare lavori nel sottotetto e di smaltire macerie». Non riesce a spiegarsi l’efferatezza del delitto. «I soldi? Certo, era un periodo difficile. Avevamo avuto problemi economici e per pagare i debiti avevamo chiesto un prestito al signor Allione. Però avevamo cominciato a restituirlo». Ma anche a questo gli inquirenti non credono, come non credono al fatto che i due si fossero lasciati per davvero. Faceva parte del piano. Solo che alla fine, se è tutto vero, è la demenza degli assassini, la loro insulsaggine, la cosa che colpisce di più. Lui che racconta come lei l’abbia convinto ad andare da loro a prendere altri soldi: «Per entrare lì ci vogliono delle palle». Lei che adopera subito i bancomat portati via dopo il massacro, tradita dall’uso di una tessera punti intestata alle vittime: in pratica, una firma.