Alain Elkann, La Stampa 26/1/2014, 26 gennaio 2014
BASTA RICETTE IL MONDO CHIEDE VALORI PLURALI
[Fabrizio Barca]
A New York nevica fitto fitto, le strade sono praticamente bloccate, l’atmosfera è ovattata: incontro Fabrizio Barca nell’ufficio di Riccardo Viale, direttore dell’Istituto italiano di cultura. Barca è abbronzato, ha una giacca a vento arancione ed è appena tornato dalla Patagonia dove ha fatto una settimana di trekking.
Ha tenuto una conferenza all’Onu, organizzata dall’Istituto italiano di cultura, sulle disuguaglianze nel mondo. Cosa ha detto?
«Ho parlato del fatto che non basta essere consapevoli che la disuguaglianza è cresciuta moltissimo, soprattutto nei Paesi anglosassoni: l’aumento non ha solo effetti negativi su chi è povero, ma anche sul capitalismo in generale».
In che senso?
«Nel senso che l’impoverimento della classe media è uno dei fattori più significativi della crisi. E cioè l’incapacità di ripagare i propri debiti. Anche in Europa l’impoverimento, che gli inglesi hanno capito bene prima di tutti, è un elemento di sgretolamento del tessuto sociale, anche con rischi di derive antidemocratiche».
E allora cosa bisogna fare?
«Viviamo ancora sotto la cappa dell’ideologia dominante nell’ultimo trentennio, l’illusione che si possa affrontare il problema dell’ineguaglianza se si disegnano istituzioni perfette. Bisogna invece cambiare la logica di come si fa la policy. Dobbiamo ritornare all’idea che i valori sono plurali e che non esiste un’unica possibile visione. Bisogna accettare il fatto che tutte quelle rassicurazioni che ci siamo dati attraverso l’invenzione del brevetto - la tutela dei valori del capitale immateriale - non possono essere una protezione assoluta. Bisogna proteggere ma con buonsenso, insomma bisogna essere più modesti e va tutelata la diffusione, ci vuole più elasticità: accettare il conflitto e l’ammissione di diversità e di valori normativi pluralisti. Non ci sono soluzioni perfette e il compito delle politiche economiche è costruire degli indirizzi generali e metterli sul tavolo di un pubblico confronto. Ogni luogo, dal Kenya all’Italia del Sud all’Oregon, può avere un indirizzo generale, ma questo indirizzo dev’essere tradotto in una politica adatta a quel particolare luogo. Il metodo moderno è avere un indirizzo generale che accetti che ogni luogo abbia visioni diverse. Bisogna quindi costruire un percorso di pubblico confronto».
Come sta oggi il mondo?
«Il mondo riscopre la pluralità. La classe dirigente dei 30-40enni è cresciuta ed è in una fase iper-illuminista. Adesso si capisce che i valori sono relativi e che la classe dirigente è impreparata perché non vi sono più certezze. Non era mai successo che una crisi come quella del 2008 non producesse un rivolgimento culturale».
Cosa succede oggi nell’economia?
«Nonostante non sia stato risolto uno solo dei problemi che hanno causato la crisi, la gestione americana è stata saggia. L’America ha emesso una montagna di denaro pubblico impiegandolo dignitosamente e non dando importanza al debito pubblico. Inoltre gli Stati Uniti hanno potuto giocare sul cambio. L’Europa non può governare il cambio perché non ha un ministro del Tesoro, sebbene abbia uno straordinario governatore della Banca Centrale quale Mario Draghi. Lui non ha la legittimità per governare il cambio che ha invece il ministro del tesoro degli Stati Uniti e l’Europa ha un cambio troppo forte, cosa che ha penalizzato l’economia».
Lei in Italia ha rinunciato alla politica?
«No, ho lanciato un progetto, “Luoghi idea(lì)”, che consiste nel far diventare il Partito Democratico - in cinque luoghi d’Italia che verranno scelti - lo spazio capace di coagulare il confronto e trovare soluzioni. Con un gruppo di giovani proveremo ad accompagnare la leadership del Partito Democratico nel diventare uno spazio intermedio».
Qual è la sua idea?
«Il partito - ad esempio il Partito Democratico - è un’associazione libera separata dallo Stato. Io credo che la trasformazione in passato dei partiti politici in statocentrici li abbia delegittimati di fronte ai cittadini. La mia speranza è quindi che i partiti (con un gioco dal basso e dall’alto) tornino a diventare luoghi dove i giovani dedicano tempo alla politica, come si potrebbe dedicare a istituzioni volontarie quali, ad esempio, Medici senza frontiere».
L’Europa è debole perché non ha un governo e l’unione monetaria non è stata seguita da un’integrazione politica?
«I cittadini vedono che hanno perso la cittadinanza nazionale senza guadagnare una cittadinanza europea. L’Europa va male, ma dobbiamo rilanciare l’integrazione politica e, come dice Mario Monti, una fiscalità europea. Mi auguro che la sinistra europea abbia una politica in tal senso: le cose non vanno bene, ma bisogna andare avanti e non basta soltanto aggiustarle».
E l’Italia?
«Se si riuscissero a risolvere 4 o 5 punti fondamentali le cose andrebbero molto meglio».
Quali sono i punti fondamentali?
«Il primo è la scuola, il secondo la ricerca, il terzo la cura dell’infanzia e degli anziani (welfare), poi le città. La valorizzazione delle città italiane. Non pensiamo di risolvere i problemi solo attraverso le regole del mercato del lavoro».