Umberto Gentiloni, La Stampa 26/1/2014, 26 gennaio 2014
LA SCUOLA DOVE IL TEMPO SI È FERMATO: AL 1942
Una scuola abbandonata in un piccolo paese della Slovacchia - Bardejov, 600 chilometri a Est di Bratislava - è un luogo senza tempo: tutto è fermo al 1942 quando gli alunni con le loro famiglie vennero fatti salire sui convogli diretti ad Auschwitz. Storie di vite spezzate, di memorie dimenticate o perdute per sempre. Una popolazione di circa 6 mila abitanti, quasi la metà di religione ebraica; la scuola elementare è alle spalle della sinagoga, poco distante dal centro del paese. Gli oggetti sono ancora lì, testimoni silenziosi: banchi, lampadine, cassetti, sedie ma soprattutto libri accumulati su scaffali che si reggono a malapena in piedi. Da oltre settant’anni sono depositati tra la polvere trasformandosi in figure di carta che come in un viaggio a ritroso fanno pensare al legno, alla corteccia dei tronchi d’albero. Libri che ci guardano come se potessero raccontare ciò che avveniva in quello spazio.
Le dittature hanno paura del libro, della cultura e della libertà che lo sostiene: titoli bruciati nei roghi dai nazisti nel 1933, messi all’indice o distrutti dalle censure dei regimi comunisti. È capitato a un fotografo, Yuri Dojc, di tornare sui luoghi della sua famiglia, di viaggiare dal Canada, dove vive, alla ricerca delle proprie radici, di un mondo che aveva ascoltato nei racconti dei genitori. «Dopo la morte di mio padre ho cominciato a cercare, volevo capire ciò che era avvenuto allora su quella terra. Ero andato via dopo l’invasione sovietica del 1968 e continuavo a pensare alla vecchia Europa». Yuri conosce per caso una donna sopravvissuta alla deportazione che lo accompagna alla ricerca di storie e volti di una tragedia lontana. «Ne ho incontrati e fotografati più di 150 spostandomi attraverso i piccoli centri abitati della Slovacchia a partire dal 1997. Nei loro occhi vedevo la distruzione di un popolo, i segni della paura che non li faceva parlare, mi fissavano silenziosi».
Dieci anni dopo viene preso per mano da un uomo che con insistenza lo conduce verso un luogo misterioso. Con emozione mette piede nella piccola scuola - è il 6 marzo del 2006 -, con lui una produttrice, Katya Krausova, alle prese con il progetto di un documentario sulla Shoah. Hanno fretta di andar via ma la scuola senza tempo li coinvolge: si guardano intorno, cercano di capire come sia stato possibile un improvviso balzo nel passato di oltre sette decenni in uno spazio così raccolto. Tornerà spesso in quelle stanze cercando di fissare immagini di memorie possibili a partire dai libri e dalle tracce della carta accumulata sulle pareti; poi sono venute le mostre Last Folio: Washington, New York, Cambridge, Bruxelles e ora la Biblioteca Nazionale di Roma sotto l’egida dell’Ambasciata della Repubblica Slovacca e di quella canadese.
I libri e la loro trasformazione sono parte del racconto. «Per anni un uomo ha continuato a frequentare la piccola scuola dei bambini, pregando ogni giorno lì dentro, da solo. Poi è morto e ha chiesto a un inquilino del suo palazzo, un signore distinto, molto devoto, di religione protestante, di occuparsi della scuola e di quel mondo che non esiste più». L’ambiente è secco e così la carta si è potuta in parte salvare dagli attacchi dell’umidità e dei piccoli animali che si nascondono tra le pagine o nelle intercapedini di mobili antichi. Tra i libri meglio conservati Yuri scova quello che apparteneva a suo nonno Jakub, è una grande emozione, quasi che il cerchio del tempo possa chiudersi in uno spazio di tre generazioni transitate nei locali della scuola. La storia della piccola scuola maschile finisce con le vite dei bambini che la popolavano, nel 1942. Il libri sono parte di quel passato, preziosi custodi di un tempo perduto.