Leonardo Coen, Il Fatto Quotidiano 26/1/2014, 26 gennaio 2014
COSACCHI DELLO ZAR: DIETRO LA SICUREZZA IL FANTASMA DELLA GUERRA ETNICA
Ottocentoventi Kubanskoe Kazachje Vojsko. I Cosacchi di Kuban. Parevano seppelliti dalle circostanze della Storia, l’avvento di Lenin e di Stalin aveva segnato la fine dei Cosacchi – visti come i più fedeli servitori dello zarismo – e invece sono stati resuscitati. Anzi, adesso rappresentano un’influente forza politica, tale da indurre i dirigenti locali ad enfatizzare, per impadronirsene, l’immagine che avevano sempre incarnato. Ossia quella di uomini anima e corpo votati al loro Paese. Poteva Putin rinunciare al loro impiego nelle sue Putiniadi? Così, li hanno spediti a pattugliare Sochi e a Krasnaja Poliana, nelle valli delle Olimpiadi. Commettendo un errore imperdonabile. Già. Perché quelle sono anche le valli dei Circassi. E i Cosacchi di Kuban hanno risvegliato memorie sinistre, ombre di un passato che nessuno ha mai dimenticato. Metà popolo dei Circassi un secolo e mezzo fa venne sterminato e deportato dall’esercito zarista: un milione e mezzo di vittime. Giusto quest’anno si consuma l’anniversario dei 150 anni di quel genocidio che la Russia non ha mai voluto riconoscere, tantomeno l’Urss e neanche la repubblica postcomunista. I cosacchi dello zar, organizzati in reggimenti di montagna, furono la punta di diamante delle truppe russe, una milizia feroce e implacabile. Lev Tolstoj scrisse che i cosacchi furono creati dalla “frontiere”, e che l’Impero Russo è stato creato dai cosacchi. Caterina II la Grande gli concesse di fondare Krasnodar, nel XVIII secolo, oggi capitale dell’oblast – la regione –- di Sochi.
COSACCO È l’attuale governatore Alexander Nikolajevic Tkachiov: fiero della sua appartenenza, più volte ha deplorato l’aumento demografico dei musulmani nelle regioni caucasiche e in un discorso ha rivendicato il ritorno dei Cosacchi al servizio dello Stato. Non solo: il 18 gennaio ha detto che gli vuole concedere il porto d’armi traumatiche (la fonte è ufficiale, Ria-Novosti, la principale agenzia di stampa russa). Quando Putin ha cominciato a sciare sulle piste di Krasnaja Poliana, otto anni fa, i Cosacchi di Kuban (dal nome del fiume di Krasnodar) ricostituirono e ai cosacchi fu affidata la difesa delle terre russe contro le incursioni dei guerrieri caucasici. Oggi, i Cosacchi di Kuban ufficialmente sono raggruppati in una associazione non governativa che però opera insieme alle forze di polizia (condividono lo stesso stipendio mensile di 25mila rubli, 500 Euro). Secondo la legge, non godono dei poteri istituzionali delle forze dell’ordine.
In teoria. Nei fatti, pare che sia così. Dmitry Shevchenko, coordinatore di Ekovakta – l’Osservatorio ecologico sul Caucaso del Nord, un’organizzazione che ha denunciato le devastazioni ambientali olimpiche – mi dice: “La gente comincia a non sopportare più il fatto che i cosacchi tentino di accreditarsi come un potere costituito, sia per via della loro aggressività nei confronti degli immigrati irregolari , sia perché spesso e volentieri se la pigliano con chi non ha una fisionomia slava. E perché hanno la pretesa di controllare i documenti di identità. Inoltre ci sono stati parecchi casi in cui hanno pestato i gay. Lo stesso ataman dei Cosacchi, Nikolai Doluda, ha invitato i suoi a ‘rompergli il culo e a farglielo bruciare come i fuochi dei Pionieri Sovietici’ (i boy scout comunisti, ndr)”. Nel mirino cosacco ci sono pure i dissidenti. Un paio d’anni, ricorda Shevchenko, fecero un’irruzione nella redazione radiofonica di Elektron, che aveva osato descriverli in un modo che a loro non piaceva. Poco per volta, il fastidio della gente di Sochi si è trasformato in irritazione. C’è poi una preoccupazione di carattere politico: il rischio cioè che i Cosacchi vengano percepiti come l’unica forza che si oppone all’espansione dei caucasici nella regione di Krasnodar, il braccio destro del nazionalismo. E questo non farebbe altro che alimentare il conflitto etnico. Un discorso antico. Infatti, i discendenti dei Circassi sopravvissuti al genocidio sono più che inquieti. Gridano alla discriminazione: “I Cosacchi di Kuban possono tranquillamente entrare ed uscire dai siti olimpici mentre ai Circassi impediscono di entrare a Sochi”, scrivono i militanti di No Sochi 2014 sul loro sito Internet.
ANCOR PIÙ impressionati sono i residenti locali di Krasnaja Poliana, dove si svolgeranno le prove di sci. Il nome della località, che in russo significa “Radura rossa”, rievoca drammaticamente il sangue dei Circassi che venne versato a fiumi. Il 21 maggio del 1864 i Russi festeggiarono a Krasanja Poliana la fine della guerra coi Circassi, sconfitti, sterminati e deportati o costretti a fuggire nell’Impero Ottomano. Vedere sciare sulle piste della stazione sciistica che Putin vorrebbe far diventare la capitale dello sci caucasico, addolora la diaspora circassa (il 90 per cento vive lontano dalle valli che considerano la loro patria): “È immorale fare la festa dello sport sopra la terra dove sono stati massacrati i nostri antenati”. Ha prevalso la ragion di Stato e del business a cinque cerchi olimpici. A badare che nessuno rovini gli slalom e le discese di Krasnaja, fiori all’occhiello dei Giochi, ci sono venticinque Cosacchi, i più addestrati tra gli 820 della “spedizione” di Sochi. Coi loro colbacchi di astrakan neri, gli stivaloni ancor più neri e lucidi, le bretelle di cuoio, la fondina del coltello sulla destra del cinturone, e il bekieshi, il pastrano color della cenere, non sono presenze anacronistiche per far credere ad una rinascita di antiche tradizioni, ma tutto ciò non ha niente a che vedere con la tradizione. È solo un maldestro tentativo di imporre alla popolazione miti esistenti prima della rivoluzione bolscevica. Per ingraziarsi il neozar Putin.